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05-11-2013, 00.35.20 | #43 |
Ospite abituale
Data registrazione: 12-01-2013
Messaggi: 331
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Riferimento: La verità è ciò che si dice
Il problema di Eco è che confonde la semiologia con la semiotica, come giustamente fa notare l'intellettuale Calciolari, la denotazione non è la connotazione.
la tecnica del segno, non è la logica del segno: a me pare di una banalità sconcertante. la logica non può fare a meno del concetto, come si fa a dire che la verità (che appunto è un concetto tra l'altro) risiede nella lingua?? Certo abbiamo bisogno della semiotica per non cadere nel metafisico(la distinzione tra segno-simbolo-oggetto e tra interprete-interpretante(mezzo)-interpretato: ma poi non possiamo dimenticare l'origine del pensare. Eco allievo di Peirce, sì ma pessimo. (nonostante nelle lacrime dell'ornitorinco di kant abbia corretto parzialmente, cioè lasciandola intendere, la sua posizione o riposizione col kantismo) Non a caso l'esito (che tu chiami soprendente, e ti credo!) è proprio quello di fraintendere completamente l'oggetto kantiano con una forma fittizia (che per lui è reale) linguistica. Possiamo anche vederlo sotto il problema fondamentale dello spazio/tempo hegeliano(ovvero l'intuizione trascendente) : Eco non lo indaga (inferenzialmente) ma lo descrive come se fosse un problema analitico di "nominazione della lista". Ovvero ne rimuove la problematica di base a mio parere. Ma veramente Mauro pensi che la verità risiede solo orizzontalmente? Facciamo la lista della spesa come fanno gli americani?(che va anche bene, va da sè) Ma tutto il problema degli universali apriori kantiani?! |
05-11-2013, 20.28.27 | #44 |
Ospite abituale
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Messaggi: 381
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Riferimento: La verità è ciò che si dice
@ Ceccodario
Per intenderci, bisogna che io faccia una premessa (sennò non si capisce di che stiamo parlando). Nella risposta a Epicurus dicevo che Eco, con quella affermazione, intendeva provocare e, forse, provocar-si. Questo perchè, da seguace di Peirce (il quale afferma che il "pensato", prima ancora che il "detto", inserisce l'"oggetto" - di tale pensiero - all'interno di una catena segnica), non avrebbe potuto affermare che quel che ha affermato. Ora, se ciò che possimo conoscere è solo il fenomeno (come una grandissima parte della filosofia contemporanea sostiene), cioè il già-pensato (cioè ancora il già-interpretato), la "aletheia" (che deve essere necessariamente assoluta, come giustamente affermi) va, per così dire, a farsi friggere. Va a farsi friggere nel senso che viene necessariamente relegata nella sfera dell'"in sè", o dell'"evento verticale" (per dirla con Peirce). E la sua conoscibilità assume i contorni astratti della "trascendenza" (una trascendenza intesa in senso kantiano, o heideggeriano, come di un soggetto che appunto "trascende" verso l'oggetto). Non a caso, lo stesso Peirce parla della conoscenza dell'"evento verticale" (l'oggetto) sostanzialmente negli stessi termini, e dunque poco o nulla aggiungendo. E allora partiamo da questo presupposto (ti inviterei comunque a leggere le mie risposte a Epicurus): Ecco sostiene che la verità è ciò che si dice, ma la sua sembra più una provocazione rivolta alla "vulgata" filosofica contemporanea (fra l'altro avrei voluto analizzare meglio quanto Eco dice ne: "La soglia e l'infinito", ma nessuno è sembrato esserne interessato - c'è un passaggio che, a mio avviso, dimostra inequivocabilmente che quella è stata una provocazione). Diciamo quindi che non solo io (che ho un concetto "aristotelico" della verità, cioè come corrispondenza dell'enunciato all'oggetto "primo") non mi sento dentro a nessun paradosso, ma nemmeno Eco credo lo sia. Quindi ecco, da "qui" comincerei il discorso. Ma il discorso non è così semplice, perchè effettivamente ciò che possiamo conoscere è solo il fenomeno, e quindi questo "dis-velare" è un disvelare cosa? Forse un disvelare il fenomeno? Sarebbe insensato. E d'altra parte le fandonie si ri-costituiscono sempre: quasi mai emerge una verità incontrovertibile. ciao |
04-01-2014, 17.49.40 | #45 |
Ospite
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Messaggi: 12
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Riferimento: La verità è ciò che si dice
Buon anno a tutti,
Casualmente ho “sfogliato” i vari interventi sul tema in oggetto e li reputo molto interessanti. Conoscevo, sulla verità, un’affermazione diversa da quella citata da Eco; “la verità è ciò che si crede che sia”. Si possono, per mille ragioni, “dire delle cose”, ovvero esternare delle affermazioni, non sempre corrispondenti al proprio convincimento o alla propria credenza e quindi secondo la “propria verità”. Ritenere che l’affermazione “gli ebrei mangiavano i bambini” possa essere vera o falsa (non vera) non dovrebbe essere analizzata con dovizia ? Si usa un criterio del Tertium non datur e quindi è solo vera o solo falsa ? Un’affermazione può essere parzialmente vera ? La parola Ebrei è un plurale, ne bastano due. E’ mai successo che due ebrei abbiano mangiato dei bambini ? Leggendo un testo dell’arte della guerra di Sun Tsu (se la memoria non mi inganna) si raccontava che in una città cinese in assedio, la fame portava a scambiarsi i propri figli, per non mangiarsi i propri. Quindi l’affermazione “i cinesi mangiano i figli”, se il racconto corrisponde al vero, non è falsa. Non si precisa però in quale circostanza, quanti, in quale epoca, i figli propri o degli altri ecc… ma l’affermazione “i cinesi mangiano i figli” è in assoluto vera ? Possiamo ipotizzare che almeno due cinesi l’abbiano fatto ? Ovviamente non ci autorizza a pensare che tutti i cinesi l’abbiano fatto. Quindi cos’è una verità ? La verità funziona, a mio avviso, come per la religione: se tutti ci credono diventa vera, ma rimane una credenza, nulla di più. Anche una verità matematica è tale (Wittgenstein). Essa è vera solo nel contesto del sistema inferenziale adottato mediante una convenzione. Tutti sanno che la somma degli angoli interni di un triangolo è di 180 gradi. E’ vero per le geometrie Euclidee ma non per tutte. Essendo gli umani fatti di linguaggio, non possono muovere il proprio pensiero se non in questo. È il linguaggio che ci "costringe" a cercare la verità, cioè quella conclusione di una sequenza che non contraddice la premessa che l'ha costruita. Se si considera come si pensa, ci si accorgerà che si parte da una premessa, ritenuta vera, e attraverso passaggi coerenti, cioè non auto contraddittori si trae una conclusione. Se non esistono regole di convenzione che a loro volta non sono una verità, la coerenza dei passaggi argomentativi è spesso soggettiva e quindi anche la conclusione. Quindi la conclusione è vera all’interno di quel particolare contesto linguistico. Grazie |