Riferimento: Quando deciderò di morire.
Non è giusto dimenticare che la vita è, prima di tutto, un dovere. Dovere in quanto "responsabilità" irriducibile a nient'altro.
Ciascuno di noi deve rispondere alle aspettative di tutti coloro le cui aspettative, prima che stabilire legittime, ritiene di non poter non apprezzare e stimare.
E poi a quelle di tutti gli altri le cui aspettative, prima che apprezzare e stimare, sente di volere e dovere corrispondere per amore.
"Il grande mistero della vita è il dolore che noi cagioniamo" scriveva Constant.
"Non far soffrire" è un dovere limitato solo dall'impossibilità materiale di impedirlo sempre e per tutti.
Decidere di morire per noia, per stanchezza o per ogni altra declinazione del vuoto di esistere è l'esercizio più edonistico ed estremo dell'egoismo borghese.
Degrado umano e degenerazione sociale.
La vita non è sacra per chi la rappresenta nella commedia umana che anima le scene del mondo... La vita è sacra nel suo essere un crogiuolo puntiforme delle esistenze di tanti e, indirettamente, di tutti!
Facile, troppo facile, lasciare la scena quando tutti applaudono oppure tutti fischiano e disapprovano... Dipendesse da questo soltanto io, personalmente, sarei terra da trent'anni almeno.
"Devi saperti immergere, devi imparare:/ un giorno è gioia, un altro giorno affanno/ non desistere, andartene non puoi/ quando è mancata all'Ora la sua luce. (...)" (Apreslude, Benn).
Scusate, ma io percepisco davvero qualcosa di degenerato e di socialmente morboso in questa idea (che non è l'eutanasia, assolutamente!): che un essere umano, quando stanco e stufo, oppure annoiato se ne vada così come è venuto...
Nessuno se ne va al modo in cui è venuto: nascere e morire non hanno in comune neppure la contraddizione degli estremi. Si nasce in troppi modi diversi: per caso, per calcolo, per amore, per infortunio, per disperazione...
Si muore in altrettanti modi diversi.
Ma dal momento in cui noi scopriamo di avere il possesso dell'agire di un corpo per l'intero scorcio di una esistenza, le ragioni per cui siamo nati passano in subordine: il nostro sentire, il sapere ed il dovere prevalgono.
E questo dovere e questa responsabilità mi ripetono, con peso di pietre, che io non posso interrompere il vortice della molteplicità delle coscienze che intervengono intorno alla mia vita. Nè pretendendo di fermarle (impossibile!), nè agendo come un'ameba che vuol solo scorrere via inosservata (altrettanto impossibile!).
Quando avevo 14 anni, una sera dissi a mio padre: "Perchè mi hai messo al mondo, perchè? Io non ti ho chiesto nulla!"
Stavamo litigando, quindi la scena era movimentata. Mio padre invece si rasserenò.
"Io volevo un figlio, quando lo decisi con tua madre. Volevo un figlio e basta: potevi essere tu, oppure infiniti altri e diversi."
Attesi. "Ora so che eri tu, ma non lo prevedevo prima. E, in ogni caso, ricorda: l'amore di tuo padre è grande proprio perchè non ti ha scelto."
Aveva ragione, e fu uno per cui rifiutai la morte.
|