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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
10-01-2013, 21.01.00 | #13 |
Ospite abituale
Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
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Riferimento: L'immagine e la verità
@ CVC
Non credi che la crudeltà sia più che altro dovuta ad un senso di onnipotenza? Voglio dire ad un senso per cui l'"Altro", soprattutto la sua vita, ci appartiene in quanto "noi" siamo i forti? Nella crudeltà io vedo un rapporto assolutamente diretto con l'"Altro"; un rapporto che direi di vera e propria vicinanza. Nel caso che ci interessa io questa "vicinanza" non la vedo. Anzi, vedo una sostanziale "lontananza". L'"Altro" ci è lontano nella misura in cui la sua sofferenza; la sua stessa morte; è un qualcosa che non ci riguarda se non dal lato della considerazione che la sua sofferenza e la sua morte non sono la nostra. Ecco perchè, a mio avviso, neanche si può parlare di vera e propria indifferenza. ciao |
12-01-2013, 22.38.29 | #14 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-01-2011
Messaggi: 747
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Riferimento: L'immagine e la verità
Citazione:
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13-01-2013, 13.26.00 | #15 | |
______
Data registrazione: 02-02-2003
Messaggi: 2,614
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Riferimento: L'immagine e la verità
Citazione:
Io penso invece che sia proprio il bisogno profondo e spesso inconscio al volerne essere toccati ad animare la reale spinta interiore, come se una delle ultime possibilità di individuare la propria identità reale sia quella di porsi di fronte ai propri limiti potendo cogliere inderogabile quella risposta immediata l’unica capace di restituirci a quella dimensione diretta dove il livello di comprensione del nostro essere emerge puro; non è la catarsi della tragedia greca né la sua infanzia dell’arena nell’antica Roma ma l’impulso radice di una prima coscienza che spinge alla luce. Se il reale senso dell’identità è seppellito sotto il cumulo di visioni sociali e morali solo una virtuale simulazione che chiami in gioco le nostre pulsioni primarie è in grado di scendere a sfiorare la coscienza più profonda del nostro essere aggirandone le conflittualità che ne bloccherebbero l’accesso diretto. Protetta la maschera della nostra identità dall’aspetto di simulazione siamo allora in grado di giungere ad una prima verifica di fronte allo specchio del nostro essere emerso alla luce della coscienza sotto l’aspetto di contenuto simbolico, un po’ come avviene nel linguaggio dei sogni dove la comunicazione è possibile poiché creduta involontaria. Differente (seppure di poco) è la linea del fotografo citato dove la coscienza della simulazione si erge come a ponte fra mondi di simbolo come se l’apparato fotografico inteso come prolungamento dell’arto del potere d’interazione compiesse celato il sacrilegio (efferato) dell’immolazione (in-diretta) per mano altrui. A mancare è una “cultura del dolore” ? O non è semplicemente la mancanza di una coscienza diretta a mancare? Se attraverso il pensiero estrapolo ciò che verrebbe ad animare l’agire preparo nel mondo invisibile del potere quella prima luce di coscienza. Nemmeno siamo lontani noi (qui a discuterne) da quella interazione simulata se è vero (e lo è) che il mondo dell’essere che è interazione non può che apparire attraverso la luce della coscienza resa in essere null’altro che dal gioco di specchi del nostro porci a linguaggio a monte di quella. |
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13-01-2013, 15.45.41 | #16 |
Ospite abituale
Data registrazione: 17-12-2011
Messaggi: 899
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Riferimento: L'immagine e la verità
Un’interpretazione di crudeltà fu data dallo scrittore Primo Levi nei lager nazisti di come venivano trattati gli ebrei e che visse in prima persona.
Non erano nemmeno visti come una razza inferiore umana, nemmeno come animali, erano bestie da laboratorio e carne da macello, da gasare o da bruciare. Perché per riuscire un uomo a compiere ciò che si è fatto scientemente nei lager bisogna togliere qualunque forma di umanità che possa far provare compassione verso la vittima. Allora l’ebreo non ha un nome, ha un numero stampato sul braccio, sono corpi materiali informi che non assomigliano più a umani. Devono assomigliare a bestie per essere trattati da bestie. Il carnefice ha buon gioco quindi allorché riesce a togliere qualunque apparenza, forma, empatia, che possa vedere nell’altro un riflesso di sé, una similitudine. Gli ebrei erano “altro”, nulla di umano…e così li sterminavano. Questo purtroppo riesce a compiere l’ uomo. |