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Vecchio 09-09-2011, 13.15.10   #1
LeggereDeleuze
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Domanda su Heidegger - Essere e Tempo

Premesso che parlo dell'Heidegger di Essere e Tempo - quello sucessivo ha dato diversa soluzione al problema - ma:

l'esserci, prima dell'invenzione del linguaggio (con linguaggio non intendo una semiosi qualsiasi, intendo quello molto epurato, il linguaggio moderno diciamo), si trovava in uno stato fondamentalmente inautentico?

Mi sembra impossibile, perche` e` proprio attraverso il linguaggio che l'esserci sperimenta le possibilita` che non gli sono proprie (cioe`, etimologicamente: eigentlich [autentico] - eigen [proprio]), immaginandole con l'astrazione, ovvero sperimenta l'inautenticita`.

Se era in uno stato fondamentalmente (cioe` nel suo darsi strutturale come progetto gettato) autentico, allora ecco giustificata la sua (dell'uomo primitivo) paura ossessiva della morte di cui parla anche Freud.
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Vecchio 11-09-2011, 23.15.08   #2
danielebv
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Riferimento: Domanda su Heidegger

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Originalmente inviato da LeggereDeleuze
Premesso che parlo dell'Heidegger di Essere e Tempo - quello sucessivo ha dato diversa soluzione al problema - ma:

l'esserci, prima dell'invenzione del linguaggio (con linguaggio non intendo una semiosi qualsiasi, intendo quello molto epurato, il linguaggio moderno diciamo), si trovava in uno stato fondamentalmente inautentico?

Mi sembra impossibile, perche` e` proprio attraverso il linguaggio che l'esserci sperimenta le possibilita` che non gli sono proprie (cioe`, etimologicamente: eigentlich [autentico] - eigen [proprio]), immaginandole con l'astrazione, ovvero sperimenta l'inautenticita`.

Se era in uno stato fondamentalmente (cioe` nel suo darsi strutturale come progetto gettato) autentico, allora ecco giustificata la sua (dell'uomo primitivo) paura ossessiva della morte di cui parla anche Freud.

premetto che non sono uno studioso di heidegger ma concedimi un paio di osservazioni per quello che ho metabolizzato io del suo pensiero:
ha senso parlare di un esserci prelinguistico? Non è forse il linguaggio un "prius logico" in heidegger rispetto all'esserci?
ha senso parlare di stato autentico e inautentico separandoli dalla loro co-appartenenza? l'analisi che ne viene fatta li isola necessariamente secondo la semplice presenza a scopo esplicativo ma non credo si possa pensare che l'autenticità e l'inautenticità si possano alternare come ad es. i colori di un semaforo
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Vecchio 12-09-2011, 12.06.19   #3
LeggereDeleuze
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Riferimento: Domanda su Heidegger

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Originalmente inviato da danielebv
premetto che non sono uno studioso di heidegger ma concedimi un paio di osservazioni per quello che ho metabolizzato io del suo pensiero:
ha senso parlare di un esserci prelinguistico? Non è forse il linguaggio un "prius logico" in heidegger rispetto all'esserci?
ha senso parlare di stato autentico e inautentico separandoli dalla loro co-appartenenza? l'analisi che ne viene fatta li isola necessariamente secondo la semplice presenza a scopo esplicativo ma non credo si possa pensare che l'autenticità e l'inautenticità si possano alternare come ad es. i colori di un semaforo

Non ha senso parlare di un dasein prelinguistico per come si struttura il nostro essere-nel-mondo in questo momento storico, ma penso che Heidegger avrebbe pensato ad una differente struttura degli esistenziali se il linguaggio considerato fosse di tipo primitivo, ovvero piu` come una serie di segni.
Ha senso parlare di un dasein fondamentalmente autentico o inautentico. Noi, ad esempio, proprio per la struttura del nostro linguaggio, siamo fondamentalmente inautentici, perche` veniamo a contatto con un mondo principalmente pensato nella struttura del linguaggio. Specifico meglio: sappiamo che il mondo e` un rimandarsi di strumenti. Il linguaggio evidenzia la pura struttura di rimando di questi strumenti.
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Vecchio 12-09-2011, 13.58.54   #4
nemesi1
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Riferimento: Domanda su Heidegger

Entro in punta di piedi in questa discussione perché ho tutto da imparare. Volevo fare una domanda. Si può dire che considerare il prelinguistico sia un'operazione decostruzionista del dasein heideggeriano? Estendo ancora (ed azzardo molto) si può fare un parallelo tra dasein heideggeriano e lo strutturalista Io(-sintomo) lacaniano?

Ultima modifica di nemesi1 : 12-09-2011 alle ore 16.25.31.
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Vecchio 12-09-2011, 16.22.29   #5
LeggereDeleuze
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Riferimento: Domanda su Heidegger

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Originalmente inviato da nemesi1
Entro in punta di piedi in questa discussione perché ho tutto da imparare. Volevo fare una domanda. Si può dire che considerare il prelinguistico sia un'operazione decostruttivista del dasein heideggeriano? Estendo ancora (ed azzardo molto) si può fare un parallelo tra dasein heideggeriano e lo strutturalista Io(-sintomo) lacaniano?
Beh dipende in che senso "costruttivista": quale dualita` mostra? In generale credo sarebbe un parallellismo forzato, ma se hai in mente qualcosa di piu` specifico esprimiti e possiamo approfondire!

Per quanto riguarda l'Io lacaniano, dovrei pensarci. Pero` nel concetto di dasein non appare (o comunque non e` predominante) l'Io di cui parla la psicoanalisi in generale: infatti, un Io si contrappone sempre ad un conosciuto, ad un oggetto, conserva in un certo modo il dualismo cartesiano che Heidegger tanto critico`. Pero` se pensiamo all'Io nel senso specifico di Lacan non so` cosa potrebbe uscire fuori Qualcuno ha qualche idea?
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Vecchio 12-09-2011, 17.45.53   #6
nemesi1
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Riferimento: Domanda su Heidegger

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Originalmente inviato da LeggereDeleuze
Beh dipende in che senso "costruttivista": quale dualita` mostra? In generale credo sarebbe un parallellismo forzato, ma se hai in mente qualcosa di piu` specifico esprimiti e possiamo approfondire!

La dualità autentico-inautentico che esprimi nel primo post.
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Vecchio 18-09-2011, 15.40.46   #7
il Seve
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Riferimento: Domanda su Heidegger

Per il mio primo post, saluto innanzitutto il forum e auguro buona chiarezza e rigore argomentativo a tutti.

Mi sembra che sia sfuggito a cosa si riferisce precipuamente la coppia autentico/inautentico. In Essere e tempo, Heidegger connota come autentico quell'atteggiamento verso tutte le cose che si conforma alla possibilità più propria dell'esserci, che poi è la morte. (La morte non è un evento esperito, nè qualcosa che ci è davanti come un oggetto o una teoria o una dimostrazione matematica. Heidegger la definisce come la semplice possibilità dell'impossibilità dell'esserci, e questo la rende unica tra le possibilità. Ma non è qualcosa nè di esperito nè di dedotto, perchè è destino del significato dell'esserci come essere storico e cioè come essere che inizia e finisce.)

Autentico o inautentico è quindi lo sguardo sulle cose: lo sguardo autentico immette nella verità fondamentale dell'esserci che è quella di una finitezza che rimanda alla mortalità (fermo restando che, al di fuori di Heidegger, non è l'unico modo di concepire la finitezza). Lo sguardo inautentico, per quanto funzionale a progetti di vita impegnati, genera finalità che girano a vuoto perchè non colgono la finalità principale della finitezza dell'esserci che è quella di essere nel tempo, cioè di morire.

Ma per Heidegger di Essere e tempo, farsi conformi alla verità non è nè qualcosa che capita a caso, nè qualcosa di destinato: se vogliamo, possiamo anche dire che ciò lo rende in qualche modo congruente all'ideologia nazista che si profilerà qualche anno dopo la pubblicazione di Essere e tempo, perchè in questa fase del pensiero del filosofo la verità si fa con una decisione.

Questo significa non solo, come ripeto, che non è qualcosa che capita così, come un semplice accadimento estraneo all'impossessamento da parte dell'esserci tramite un suo progetto, nè qualcosa che debba accadere necessariamente. Ma significa anche che può non accadere mai e lasciare l'intera vita nella certezza di non riconoscersi mai per quella che è, cioè percorso storico, contingente, caduco, effimero, finito, transeunte, ecc. ecc.

Per quel che riguarda il linguaggio in questo libro, per Heidegger non è ancora l'orizzonte intrascendibile dell'essere. Heidegger dirà in seguito che "il linguaggio è la casa dell'essere", ma in Essere e tempo, l'essere possiede ancora la possibilità di andare fuori a fare due passi. Questo lo si evince considerando che, per parafrasare un famoso inciso della Lettera sull'umanismo, in questa fase, pur essendo Essere e tempo esplicitamente un'indagine sul senso dell'essere, c'è innanzitutto l'esserci, perchè appunto a determinare la verità o meno è una decisione dell'esserci stesso. (Nelle fasi successive della filosofia di Heidegger, come si sa, le cose si ribalteranno e cambierà di senso anche il linguaggio.)
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Vecchio 24-09-2011, 13.34.48   #8
LeggereDeleuze
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Riferimento: Domanda su Heidegger

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Originalmente inviato da il Seve
Per il mio primo post, saluto innanzitutto il forum e auguro buona chiarezza e rigore argomentativo a tutti.

Mi sembra che sia sfuggito a cosa si riferisce precipuamente la coppia autentico/inautentico. In Essere e tempo, Heidegger connota come autentico quell'atteggiamento verso tutte le cose che si conforma alla possibilità più propria dell'esserci, che poi è la morte. (La morte non è un evento esperito, nè qualcosa che ci è davanti come un oggetto o una teoria o una dimostrazione matematica. Heidegger la definisce come la semplice possibilità dell'impossibilità dell'esserci, e questo la rende unica tra le possibilità. Ma non è qualcosa nè di esperito nè di dedotto, perchè è destino del significato dell'esserci come essere storico e cioè come essere che inizia e finisce.)

Autentico o inautentico è quindi lo sguardo sulle cose: lo sguardo autentico immette nella verità fondamentale dell'esserci che è quella di una finitezza che rimanda alla mortalità (fermo restando che, al di fuori di Heidegger, non è l'unico modo di concepire la finitezza). Lo sguardo inautentico, per quanto funzionale a progetti di vita impegnati, genera finalità che girano a vuoto perchè non colgono la finalità principale della finitezza dell'esserci che è quella di essere nel tempo, cioè di morire.

Ma per Heidegger di Essere e tempo, farsi conformi alla verità non è nè qualcosa che capita a caso, nè qualcosa di destinato: se vogliamo, possiamo anche dire che ciò lo rende in qualche modo congruente all'ideologia nazista che si profilerà qualche anno dopo la pubblicazione di Essere e tempo, perchè in questa fase del pensiero del filosofo la verità si fa con una decisione.

Questo significa non solo, come ripeto, che non è qualcosa che capita così, come un semplice accadimento estraneo all'impossessamento da parte dell'esserci tramite un suo progetto, nè qualcosa che debba accadere necessariamente. Ma significa anche che può non accadere mai e lasciare l'intera vita nella certezza di non riconoscersi mai per quella che è, cioè percorso storico, contingente, caduco, effimero, finito, transeunte, ecc. ecc.

Per quel che riguarda il linguaggio in questo libro, per Heidegger non è ancora l'orizzonte intrascendibile dell'essere. Heidegger dirà in seguito che "il linguaggio è la casa dell'essere", ma in Essere e tempo, l'essere possiede ancora la possibilità di andare fuori a fare due passi. Questo lo si evince considerando che, per parafrasare un famoso inciso della Lettera sull'umanismo, in questa fase, pur essendo Essere e tempo esplicitamente un'indagine sul senso dell'essere, c'è innanzitutto l'esserci, perchè appunto a determinare la verità o meno è una decisione dell'esserci stesso. (Nelle fasi successive della filosofia di Heidegger, come si sa, le cose si ribalteranno e cambierà di senso anche il linguaggio.)

"Si e` visto che l'essere gettato e` l'effettivita` dell'esserci, cioe` il fatto che esso ha gia` sempre un certo modo globale di rapportarsi al mondo comprendendolo, modo globale che e` attestato nella situazione affettiva e nella comprensione. Ora, come si attua concretamente per l'esserci questo originario possesso di una preliminare prensione e comprensione globale del mondo? Nella quotidianita` media a cui l'analitica esistenziale si attiene come suo punto di partenza, la preliminare comprensione del mondo che costituisce l'esserci si attua come partecipazione irriflessa e acritica a un certo mondo storico-sociale, ai suoi pregiudizi, alle sue propensione e ai suoi rifiuti, al modo "comune" di vedere e giudicare le cose. Se cioe` ci domandiamo cosa significhi, in concreto, che l'esserci ha gia` da sempre una certa comprensione del mondo, anche emotivamente qualificata, la prima risposta che troviamo e` che, di fatto, l'esserci incontra il mondo gia` sempre alla luce ci certe idee che ha respirato nell'ambiente sociale in cui si trova a vivere. Abbiamo gia` osservato che l'uomo non impara ad usare il mondo, come totalita` di strumenti, provando di fatto ad adoperare tutti gli strumenti singoli; egli vede usare gli strumenti dagli altri, e ancora piu` ne sente parlare" (G.Vattimo) Ovvero, l'uomo, attraverso il linguaggio che gli presenta il mondo come struttura di rimandi strumentali, entra in rapporto col "si" che lo costituisce come fondamentalmente inautentico. Infatti, noi siamo inautentici anche prima di porci la domanda sulla morte. Certo, c'e` un aspetto della inautenticita` che riguarda una posizione "volontaria" del soggetto (che non risponde alla voce della coscienza), ma c'e` un aspetto della inautenticita` che riguarda la struttura dell'esserci prima ancora di qualsiasi decisione: questo aspetto strutturale fonda l'esserci gia` da sempre. In questo senso, non e` sfuggito il senso della coppia autentico/inautentico, e l'argomentazione che tu molto giustamente fai e` contenuta nella mia domanda iniziale.
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Vecchio 26-09-2011, 10.55.54   #9
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Certo, c'e` un aspetto della inautenticita` che riguarda una posizione "volontaria" del soggetto (che non risponde alla voce della coscienza), ma c'e` un aspetto della inautenticita` che riguarda la struttura dell'esserci prima ancora di qualsiasi decisione: questo aspetto strutturale fonda l'esserci gia` da sempre.

Sì, sono daccordo. Ma che l'esserci acceda alla propria inautenticità attraverso il linguaggio, non significa che l'inautenticità (e l'autenticità) si riferisca al linguaggio. La coppia si riferisce invece all'atteggiamento verso le cose tramite l'atteggiamento verso la morte.

Spero che la mia precisazione sia basata sulla corretta interpretazione del tuo pensiero, altrimenti vedrò di correggermi.
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Vecchio 27-09-2011, 12.12.19   #10
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Sì, sono daccordo. Ma che l'esserci acceda alla propria inautenticità attraverso il linguaggio, non significa che l'inautenticità (e l'autenticità) si riferisca al linguaggio. La coppia si riferisce invece all'atteggiamento verso le cose tramite l'atteggiamento verso la morte.

Spero che la mia precisazione sia basata sulla corretta interpretazione del tuo pensiero, altrimenti vedrò di correggermi.

Sono d'accordo quando dici che l'inautenticità esiste indipendentemente dal linguaggio. Ma la mia domanda iniziale era appunto legata a questo: in mancanza di linguaggio moderno, cioè senza possibilità di essere originariamente strutturati verso il mondo nel modo del "si" inautentico, come si inscriverebbe l'esserci nell'ambito del dualismo autenticità\inautenticità? Il rapporto verso la morte è mediato dalla struttura linguistica; il mancanza di questa, da che cosa viene mediato? Oppure, in mancanza di linguaggio, l'uomo è in qualche modo costretto ad intrattenere sempre un rapporto autentico con la morte, non esistendo un "si muore" a cui riferirsi ed essendo perciò costretto a vivere sempre nel "io muoio"?
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