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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
28-09-2011, 00.47.48 | #12 | |
Ospite
Data registrazione: 09-09-2011
Messaggi: 22
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Riferimento: Domanda su Heidegger
Citazione:
Mi hai preso troppo alla lettera; per Heidegger di Essere e tempo intendevo l'Heidegger intento a ricercare gli esistenziali, la struttura dell'esserci. Insomma, l'Heidegger di prima della kerhe. (forse avrei dovuto dire così ) So che è necessaria per l'Heidegger fenomenologo la struttura del dasein. Ma facciamo l'esperimento mentale, e pensiamo ad un uomo primitivo che non entri in rapporto col "si" attraverso il linguaggio. Come avrebbe risolto l'Heidegger di Essere e tempo questo gedankenexperiment? Comunque la domanda che è nata dalla tua risposta è probabilmente più interessante della mia domanda iniziale. Sono molto curioso di leggere di più! |
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23-03-2012, 19.48.13 | #13 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 24-08-2011
Messaggi: 75
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Riferimento: Domanda su Heidegger
Citazione:
Mi correva l'obbligo di ottemperare con una risposta al debito contratto e, pur con notevole ritardo, spero comunque di fare cosa gradita. Innanzitutto c’è da premettere un fondamentale discorso sulla difficoltà nel ritenere che il linguaggio moderno sia improntato all’oggettività rispetto al linguaggio del primitivo che sarebbe forse più segnato dal simbolismo, dall’allusività, dalla metafora e dal “pensiero poetante”, perché o l’oggettività è un concetto moderno e allora non si può fare un confronto con un contesto altro che ne sia privo come quello primitivo, o appartiene anche al linguaggio del primitivo e allora di nuovo non si può fare un confronto perché non c’è differenza tra quest’ultimo e il linguaggio moderno. Se i due linguaggi appartengono a contesti diversi, la regola vuole che non si possano astrarre elementi dall’uno per confrontarli con quelli dell’altro. Certo, nella pratica lo si fa spessissimo, ma a meno di voler ridiscutere il valore della contestualizzazione, si tratta sempre di equivoci. Pur avendo dovuto indicare da parte mia la difficoltà cui accennavo, è un discorso che in questo topic preferirei tenere da parte. Heidegger è stato alle prese con il contesto inautentico della semplice presenza e ha fatto coincidere il portato storico di questo concetto con la storia culturale dell’Occidente da Platone in poi. Prima ancora della svolta in cui chiarirà meglio l’esistenza di una storia alienata della metafisica, già in Essere e tempo ha in mente un percorso storico-teoretico in cui si manifesta un tradimento del senso dell’essere che ha le sue tappe fondamentali in Aristotele, Cartesio e Kant. Non ha ancora scoperto i presocratici, quindi non invita ancora a ritornare all’identificazione che secondo lui operano i primi filosofi tra essere e presenza, ma comunque già nel suo opus magnum si può inferire un periodo antecedente ad Aristotele in cui non c’è quel tradimento accennato. Che non ci sia non significa però che ci sia un senso autentico dell’essere. Può voler dire ad esempio che la questione non si pone ancora, o non si pone ancora nei termini di temporalità in autentica (semplice presenza) o temporalità autentica. Noto che insisti molto sul rapporto tra linguaggio e comportamento inautentico. Pur ribadendo che in Essere e tempo non è il linguaggio o il tipo di linguaggio che immette nell’inautenticità (tanto è vero che non è un diverso tipo di linguaggio o un’assenza del linguaggio che fa uscire dall’inautentico), ma la mancanza della decisione per l’autenticità, c’è però un senso che facendo leva sul nostro libro può darti in qualche modo ragione. Nasciamo sempre nell’inautenticità perché la decisione di cui sopra è per forza posteriore alla nascita, ma non entriamo mai in rapporto con l’inautenticità in maniera neutra, bensì sempre attraverso la mediazione del linguaggio. Quindi in questo senso entriamo in rapporto col “si” attraverso il linguaggio, e in questo senso è possibile che un diverso tipo di linguaggio (conseguente alla solita decisione) immetta nell’autenticità. Ma questo non significa che il linguaggio del primitivo sia più adeguato a farlo, perché per Heidegger il primitivo non sa nulla della decisione anticipatrice della morte e vive sempre il rapporto a quest’ultima nell’inautenticità. Heidegger sa che il risultato dell’analitica esistenziale è quanto si deve dire se si lascia parlare il proprio vissuto. Questo è molto genericamente il metodo della fenomenologia. Ma il filosofo sa anche che l’orizzonte dell’esserci è intrascendibile ed è storico. E ciò significa che quello che è scritto in Essere e tempo è altrettanto storico e non costituisce un contesto di senso altrettanto intrascendibile. Cioè non è una verità ultima. Come si sa Heidegger ha interrotto la stesura di Essere e tempo da un lato perché, come spiega nella Lettera sull’umanismo, il linguaggio si è dimostrato essere molto di più che un utilizzabile ontico, e dall’altro perché, dopo la disfatta del nazismo e la sua disfatta politica personale in un tempo molto più breve, gli è scemata notevolmente la fiducia nell’uomo di poter portare in luce la verità attraverso delle decisioni. Il linguaggio è così passato da strumento nelle mani dell’uomo ad accadimento libero mediante il quale l’essere (il senso complessivo delle cose) viene in luce (e viene luce per l’uomo) nella maniera più accessibile. Da qui la considerazione del linguaggio come dimora in cui l’essere si manifesta più pienamente e si trasmette, e l’invito ad una maggiore considerazione delle forme più alte di linguaggio come la poesia. Il linguaggio, specie quello della poesia, è però spesso sfuggente: non è l’essere, quindi la sua manifestazione non è la manifestazione della verità, ma indica quest’ultima e solo in questo tentativo di indicarla il linguaggio non può essere ambiguo, cioè non può al contempo non voler indicare ciò che intende. Ma qui siamo oltre Heidegger e ci incamminiamo sul tortuoso sentiero di quella tematica che tratta il linguaggio come trascendentale ultimo. Emanuele Severino è uno dei pochi a ritenere che il linguaggio sia solo un filtro di fatto e temporaneo nell’accesso alla verità. Certamente ogni cosa ci si manifesta all’interno di una struttura di rimandi governata da regole, nessuna delle quali ha una validità assoluta. Cos’è questa penna che vedo sul tavolo? E’ qualcosa che di fatto si manifesta sempre all’interno di segni che possono essere tanto le parole della lingua naturale quanto i concetti appresi, e ognuno dei quali ha senso solo perché rimanda ad un contesto che lo spiega e da cui non può essere astratto. Per quanto descriva questa penna, ogni aspetto non si presenta di fatto da sé, ma accompagnato sempre da segni inseriti in una catena di rimandi infiniti che rende impossibile raggiungere il significato ultimo della cosa stessa, la cosa pura e semplice. Ciò di cui facciamo esperienza è solo un gioco di specchi che rimandando l’un l’altro la presenza delle cose, non permette di farla apparire nella sua univoca luce. Severino obietta che il differimento della presenza della cosa non può darsi né di fatto né di diritto. Nessun differimento può di fatto operare all’infinito, ed è quindi necessario che, fermandosi in una tappa, si consideri quest’ultima come qualcosa che non rinvii più ulteriormente, cioè si consideri non più come segno. Oltre che di fatto, è impossibile di diritto che i rimandi da una formulazione linguistica ad un’altra manifestino solo se stessi e non ciò che li rende segni, cioè la cosa. Infatti, in quanto differenze linguistiche di una specifica catena di rimandi, hanno tutti in comune il rimando alla cosa specifica di cui sono segni. Quindi se appaiono come segni, allora appare anche ciò di cui sono segni. E se è vero che ogni segno rimanda a suo modo alla cosa, ciò non vale a dire che il significato della cosa si dissemina in infiniti rimandi diversi, perché per dire ciò si deve intendere che si stia parlando della stessa cosa, che dunque appare con una parte di identità univoca pur nella molteplicità di prospettive appartenenti ad ogni elemento della catena di rimandi. Se il nesso tra linguaggio e cose non è necessario, ma solo di fatto, allora è possibile che venga il tempo in cui le cose non si presenteranno più nella forma di segni, ma si daranno nella loro presenza pura. Per chi conosce già la filosofia di Severino, questo tempo viene dopo la morte, ma questo è un altro discorso. |
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23-03-2012, 19.49.12 | #14 |
Ospite abituale
Data registrazione: 24-08-2011
Messaggi: 75
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Riferimento: Domanda su Heidegger
Nel primo Heidegger l’autenticità indicava ciò che vi è di più proprio, e ciò che vi è più proprio nell’uomo è la sua storicità, la sua morte. Autentico è dunque ciò che corrisponde alla verità di qualcosa. Ma al di là di Heidegger e della filosofia contemporanea, la verità non si presenta come qualcosa di storico, perché la verità storica sarebbe messa in difficoltà quando si chiedesse se sia essa stessa storica o no. Infatti se non è storica allora smentisce il suo contenuto, se lo è smentisce la sua forma, che è quella di essere valida al di là di ogni contesto storico, a pena di ammettere che altrimenti sono possibili verità non storiche in altri contesti storici diversi dal suo. E all’interno di una verità non storica nemmeno l’uomo può essere visto come un essere storico, mortale, caduco, ecc. Infatti un uomo pensato in questo modo non può essere in rapporto alla verità. Quindi la mente che vede la verità manifestarsi, non solo non è storica, mortale, caduca, ecc., ma affinché non sovrapponga se stessa all’apparire autentico della verità e quindi sia impossibilitata a riconoscere quell’apparire, deve essere quell’apparire stesso. Ora, anche tutto ciò che ho poco meno abbozzato richiederebbe un discorso appropriato, che naturalmente qui sarebbe fuori tema.
Per concludere ciò che mi si chiedeva, devo accennare brevemente al rapporto dell’uomo con la morte. Lo sguardo che abbraccia la verità delle cose può essere solo la verità. Dunque o l’uomo è la verità o non può nemmeno sapere se è in errore (che infatti prevede di sapere la verità). Ma la verità è immortale e contiene al suo interno anche la povera credenza della mortalità dell’uomo, che per quanto dominante al momento, è solo uno dei contenuti manifesti che inoltre ha cominciato ad apparire ad un certo momento e non può quindi essere una condizione immutabile ed eterna dell’apparire di ogni vissuto. E dal momento che l’uomo è l’apparire della verità stessa, è anch’egli immortale. Questo significa che qualsiasi credenza nell’esistenza della morte non ha verità a cominciare dall’assunzione che si presenti appunto come credenza, non essendo manifesto nessun legame con una verità ultima. Il cadavere o il suo disfacimento non ci dicono ancora nulla sulla natura della morte perché non appare il legame tra il cadavere e l’io che si sarebbe spento. Anzi, non appare mai alcun legame tra alcun io e alcun cosiddetto corpo. Non solo perché degli altri io non facciamo esperienza, ma anche perché nell’unico io di cui facciamo esperienza sappiamo che il cosiddetto corpo che tra molti altri vediamo più in sincrono con l’unica volontà che ci appare, è legato a tale volontà da una semplice correlazione di fatto, ma non sappiamo se tra questo corpo e la volontà vi sia un legame necessario al di là di un legame empirico. Naturalmente, quanto espresso negli ultimi due capoversi si apre ad una trattazione più ampia che qui era fuori luogo fare. |
28-03-2012, 23.49.14 | #15 |
Ospite abituale
Data registrazione: 17-12-2011
Messaggi: 899
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Riferimento: Domanda su Heidegger
Farei alcune considerazioni sugli interessanti contenuti nella discussione.
Heidegger è contro l’organizzazione industriale plaudita dal positivismo e attacca l’oggettività metafisica della tradizione. Sottolinierei, oltre a quello detto giustamente da Il Seve, “il progetto gettato”, perché è questo che fa di Heidegger una esistenzialista. L ‘uomo è nel mondo per modificarlo, trasformalo o mantenerlo;quì sta l’esistenzialismo in quanto interessati al mondo . La conoscenza non è l’amore per la verità, bensì la finalità di un progetto con le sue aspettative e desideri.. Da questo deriva l’impegno di Heidegger e più tardi di Sartre nella politica e nella cultura. Noi siamo in un progetto caratterizzato da un’eredità dato dalla storia , dall’appartenenza a una cultura;questa è la base della conoscenza, perché mossi dalle aspettative. Il linguaggio serve per comunicarci gli essenti. Nel concetto dell’”apriori” kantiano il mondo non è ordinato in sé , è la nostra mente che ordina il mondo . La differenza di Heidegger con Kant è che il nostro essere è collocato in una cultura in un orizzonte storico che ha aspettative. L’esistenzialismo è anche opposto al vedere il mondo come puro specchio della natura, dove si tratterebbe di “pulire lo specchio”,oggettivamente senza storicità, libertà, aspettative, desideri. Heidegger attacca questa visione , questa tradizione metafisica. Invece l’uomo è l’essere che si concreta nel mondo e se ne prende la responsabilità. Noi non siamo nel mondo per osservarlo, ma per progettarci. Ed è quì che entra l’autenticità e l’inautenticità, sottolineata giustamente da Il Seve: il pensarsi per la morte. Il pensiero di Heidegger è una chiamata storica , non è la verità. L’interpretazione, l’ermeneutica è una risposta ad un appello storico culturale. Noi non siamo solo occhi puri nel mondo, ma soggetti che pensano e comunicano. Il linguaggio di Heidegger è mediato dall’arte del proprio tempo. Perché le arti soprattutto la pittura e la musica rompono con la tradizione: l’anarchismo del dadaismo, e il cubismo di Picasso ( la tridimensionalità sulla tela bidimensionale), la musica dodecafonica , il sincopato del jazz. Sono i linguaggi che entrano in conflitto con la classicità della tradizione e avviene trasversalmente nelle sperimentazioni e avanguardie grazie anche all’influenza della psicanalisi e delle scoperte scientifiche soprattutto nella fisica. La domanda iniziale posta dalla discussione quindi è antitetica perché Heidegger attacca quella metafisica oggettiva della tradizione tentando anche con il linguaggio. Una domanda semmai è: il linguaggio delle arti e del pensiero si sono sostituiti ai contenuti? Dove non si riesce a scardinare e vincere la “classicità” nel contenuto, si inventa un linguaggio? Heidegger non vincerà con la poesia e il “secondo” Wittgenstein ammetterà che il linguaggio popolare vince i tentativi analitici dei formalismi. Rorty nel post modernismo ( e su questo sito c’è un lungo articolo in Riflessioni) dice addirittura di non argomentare, di inventare metafore spiazzanti. Se l’uomo non riesce ad oggettivare la realtà , in quanto la percepisce verosimile e a sua volta pensa un mondo che non è la realtà, si è propensi che sia la comunicazione del linguaggio la verità? Ma il linguaggio può essere sfuggente ,autoreferenziale, spesso retorico e privo di contenuti: proprio come è divenuta l’arte con i suoi linguaggi. Dove sta la verità? L’uomo o il mondo percepito o la relazione fra soggetto e oggetto e cioè il linguaggio. Il pensiero ha circumnavigato queste tre vie e le cercherà ancora. Non veniamo dal nulla per ritornare al nulla, venire dalla polvere per tornare alla polvere. Siamo eterni e ogni momento è un fotogramma eterno di questo film che è la nostra vita. Ma siamo quindi portatori di verità? Siamo condannati a riconoscerci allora e cercare attraverso la conoscenza , ma che cosa c’è di oltre la nostra materialità corporea finita? Dobbiamo inventarci un nuovo termine anche quì per scongiurare il tabù della tradizione per non dire che siamo anche spirito? |
31-03-2012, 15.29.39 | #16 | |
Ospite
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Riferimento: Domanda su Heidegger
Citazione:
Penso però che inautenticità e autenticità esistano indipendentemente dal linguaggio, in questo caso quello moderno. entrambi infatti sono modi dell'esistenza che appartengono alla nostra apertura/corrispondenza costitutiva e originaria con l'essere. Tale coappartenenza ci fornisce quel ''senso'' che viene prima di qualsiasi linguaggio. O meglio, siamo immersi nel senso che è già un linguaggio. Casomai il punto è che nella forma inautentica dell'esistenza viene a mancare quella consapevolezzadell'apertura del ci nell'essere che ci mantiene nella nostra essenza originaria (l'evento). per cui il rapporto con la morte non è sempre autentico, ma lo diviene quando è esperita l'originarietà della nosytra essenza. |
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03-04-2012, 16.22.19 | #17 |
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Riferimento: Domanda su Heidegger
Ciao ragazzi. Ne approfitto della discussione su Heidegger per porre un quesito forse elementare che però non mi entra proprio in testa.
Parlando della temporalità, Heidegger illustra tre aspetti nei quali la temporalità si annuncia, cioè l'avvenire, l'essere-già e la presentificazione. Dice poi che l'aspetto dell'avvenire (l'essere-avanti-a-sé) ha un primato sugli altri. Perché? |
05-04-2012, 01.15.57 | #18 |
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Riferimento: Domanda su Heidegger - Essere e Tempo
Benvenuto EternoRitorno.
Se hai letto tutta la discussione come premessa forse può aiutarti il seguente scritto. Il tema della temporalità in Heidegger è visto come concetto che dona senso all’essere dell’esserci stesso, dove senso significa: “Ciò rispetto a cui ha luogo il progetto primario, ciò in base a cui qualcosa può essere compreso nella sua possibilità così com’è”. Alla temporalità deve essere tolta la concezione quotidiana e convenzionale del tempo inteso come linearità che scorre e può essere misurato. Per Heidegger il tempo non può essere un insieme articolato di passato, presente e futuro.La temporalità si articola secondo tre altri momenti da lui definiti “E-STASI”,sono appunto: l’avvenire, l’essere-stato e la presentificazione. L’avvenire è quella modalità che rende l’esserci autentico quando esiste in virtù del suo poter-essere. L’avvenire fonda l’estasi dell’esser-stato e quest’ultimo da vita alla gettatezza dell’esserci, solo l’ente che è stato attraverso l’avvenire può raggiungere ciò che è veramente. Il presentificare è la modalità temporale che permette all’ente di stabilire e mantenere rapporti con il mondo. L’esserci è sempre, un esser-presso, il presentificare permette la comprensione di questo esser-presso. Heidegger mostra le contrapposizioni inautentiche della temporalità, alle tre estasi. All’avvenire autentico che definisce “anticipazione”, contrappone l’aspettare. Al presente autentico che è l’attimo contrappone il termine presentazione dove il presente perde il suo essere-divenire movimento e si fissa in un tempo unico e misurabile. Infine all’esser-stato che in forma autentica si manifesta con la ripetizione dove l’esserci comprende la propria finitezza e ritrova il suo essere-più-proprio, viene contrapposto l’oblio come modalità di fuga da se stesso: “Fuggendo innanzi al più proprio esser-stato,rifugiandosi nei rapporti intramondani e accettando le offerte del sì”. Poi Heidegger ripensa tutta la sua analitica esistenziale mettendola in rapporto con la temporalità. Riprende il tema delle emozioni come la paura e l’angoscia, la deiezione, per rianalizzare l’essere-nel-mondo. |