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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
09-04-2012, 16.31.30 | #14 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
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Riferimento: Difesa filosofica del caso come necessità
Citazione:
Non vorrei metter ancora più caos al discorso, ma il caos e il caso (ontologico) sono due concetti differenti. Anche differenti sono i termini di caso epistemologico e caso ontologico. Credo che Marius si riferisse al caso ontologico. Dopo di che, condivido con Giorgiosan il fatto che i termini: caso (ontologico) e necessità siano tra loro incompatibili. Bene ha fatto, secondo me, Giorgiosan quando (ricordando quel che per noi è necessario sapere per comprendere il mondo) sintetizza: la realtà (cosi!) non è razionalizzabile e non è possibile ipotizzare alcunché. Quindi il caso ontologico non può essere utilizzato in quanto funzione necessaria della realtà senza dover ammettere che ciò è incomprensibile e quindi fuori ragione. Brevemente la differenza fra caso ontologico ed epistemologico. Il caso "epi" possiamo accostarlo al caos e ricordare solo l'effetto farfalla. Ci troviamo comunque all'interno di una teoria "deterministica". Per il caso ontologico invece ci troviamo all'interno di una interpretazione della meccanica.quantistica. Per me rimane ancora solo una "interpretazione" (ma di questo non discuto). Chiaramente in questo caso saremmo all'interno di una teoria indeterministica, nel senso puro del termine. Anche qui spesso il concetto di indeterminato è applicato anche alla teoria del caos, ma episteme e ontologico dovrebbero ridarci l'idea precisa di quel che vogliamo intendere. |
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10-04-2012, 09.28.11 | #15 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
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Riferimento: Difesa filosofica del caso come necessità
Citazione:
Anch'io avevo "trascurato" il titolo del topic. Avevo anche capito lo scopo di Marius (anche se lui ne parla nel 2009) ma per un fatto psicologico non l'avevo tenuto in conto. Devo perciò far finta! Come se fossi un avvocato senza scrupoli che deve difendere gli assassini. Anche se so che questi sono assassini, per lavoro devo cercare di tirarli fuori dalla galera. Allo stesso modo ora faccio finta di essere un filosofo che deve difendere la tesi del caso come necessità. ci provo: Ogni evento A necessita di a1-a2-a3- ... eventi secondari. L'evento a1 necessita di b1-b2-b3... eventi secondari e così di seguito. Quindi A è effetto di a1-a2...b1-b2... ecc. e queste ultime sono le cause di A. La sequenza di cause non sarebbe necessaria se ci fosse una teoria T che le eliminasse. Siccome eliminare un problema è sempre benevolo per la nostra psicologia, e siccome la sequenza di cause risulterebbe infinita, la teoria T diventa necessaria per eliminare il problema. La teoria T dovrebbe affermare che il primo effetto non ha una causa, cioè sarebbe incausato, quindi la teoria T è necessaria al fine di eliminare gli infiniti (un po' fastidiosi per la nostra psicologia). Ecco che per un motivo strettamente psicologico, il caso è necessario. Mi sono soffermato sulla psicologia e non sulla filosofia pura (che poi cosa vuol significare non si sa) in quanto ci sarebbe una stretta connessione tra il filosofo, la sua psicologia e il risultato del suo pensiero filosofico. Il mio lavoro di avvocato del diavolo mi deve permettere di non essere costretto a far quel che io credo sia piu giusto, ma solo a fare bene il mio lavoro. Se faccio uscire dalla galera un assassino, forse per qualcuno non avrò fatto una cosa giusta, ma sicuramente dirà che ho fatto bene il mio lavoro. Un ragionamento filosofico è quindi alcune volte inconsciamente il risultato di una visione psicologica del mondo (come se non si fosse avvocati del diavolo), altre volte è un atto dovuto al fine di far bene il proprio lavoro. Quindi, per concludere, il caso è una necessità... psicologica. Il giudice forse mi darebbe ragione e lascierebbe libero la teoria del caso continuare ad ammazzare gente. Io però, ricordate, ho fatto solo il mio lavoro! |
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10-04-2012, 12.46.04 | #16 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-09-2004
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Riferimento: Difesa filosofica del caso come necessità
Citazione:
E’ evidente che caos e caso sono concetti diversi ed io, infatti, non li ho usati come sinonimi. Essi sono, però, strettamente correlati . Ho usato caos per “nominare” complessivamente un universo in cui i rapporti fra gli enti sono casuali ovvero senza relazione causa-effetto. Il termine caos è nato, infatti, nella cosmologia greca per definire uno stato diverso e precedente al cosmo ordinato. Analogo, ma non identico, è il suo significato in fisica dove rappresenta la condizione a cui tende un sistema quando le sue leggi implicano una evoluzione imprevedibile e irregolare …. ma questa non è una definizione coerente (sul piano filosofico) perché caos è relazionato a legge … invece caos è relazionato a “caso” come assenza del rapporto causa-effetto, nella mia riflessione. Avendo utilizzato la coppia causa-effetto il mio discorso è (metafisco) ontologico. Il "caso" e la sua rappresentazione complessiva ,"caos", non possono essere di ordine ontologico ma solo indicate come pura negazione del rapporto metafisico causa-effetto, come puoi leggere nel mio post. Mentre le estreme conseguenze della inesistenza del rapporto causa-effetto nell’universo sono manifestamente, di ordine epistemologico e mostrano o credono di mostrare l’assurdità dell’ipotesi “caso”. Il “caso” nella mia opinione filosofica non può avere alcun fondamento ontologico semplicemente perché il caso “non è”. La vexata questio della quantistica merita un 3d tutto suo. Comunque farò seguire a questo un altro post al riguardo per esprimere la mia opinione. Ultima modifica di Giorgiosan : 11-04-2012 alle ore 08.47.39. |
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10-04-2012, 18.10.31 | #17 |
Ospite abituale
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Riferimento: Difesa filosofica del caso come necessità
Contro un avvocato senza scrupoli a me non rimane che il ruolo di accusatore.
Devo dire che l’illustre avvocato della difesa ha avuto il buon senso di non citare Hume per fargli screditare il rapporto causa-effetto invocando il suo argomento: il rapporto causa-effetto è null’altro che un soggettivo stato d'animo di attesa a causa del quale dopo un evento ci aspettiamo che segua l’altro evento di cui abbiamo avuto precedentemente esperienza. Sarà anche un soggettivo stato d’animo però quando un fenomeno è universale e costante e inevitabile su piano dialettico, assume una veste che diciamo metafisica od ontologica. Allora è più intrigante la proposta di Kant che considera la causalità una forma pura innata che pur lasciandomi perplesso suona assai più vero…simile. Ora ai tempi nostri ci sono stati illustri scienziati-filosofi, empiristi estremi, che conseguenti con la loro opinione hanno ipotizzato una scienza ed una filosofia con un compito puramente descrittivo nello studiare e nel circoscrivere l’esperienza pura. La coerenza teoretica però non tiene fino in fondo perché, Mach, massimo esponente dell’ empiriocriticismo, si vede costretto a spostare la causalità dal piano materiale a quello spirituale. Proviamo adesso a confutare l’arringa-post dell’illustre difensore della Casualità. Ontologicamente dell’evento A possiamo solo affermare che abbia una causa a, in questa affermazione è compresa anche la possibilità di concause a1, a2, … an …. però dal punto di vista ontologico non cambia alcunché. In seguito il furbo avvocato afferma: … La sequenza di cause non sarebbe necessaria se ci fosse una teoria T che le eliminasse. Siccome eliminare un problema è sempre benevolo per la nostra psicologia, e siccome la sequenza di cause risulterebbe infinita, la teoria T diventa necessaria per eliminare il problema. Questo argomento è una specie di petizione di principio (ovvero circulus in probanda) vale a dire che la soluzione consisterebbe in una riproposizione implicita (T) di quello che si doveva dimostrare. Il problema poi non è più: causalità sì o no, ma diventa “eliminare i problemi” e la "morale" è: per questo fine tutto fa brodo! .....che ha un illustre sostenitore in Feyerabend e che potrebbe anche applicarsi alla filosofia.... Ciao Dubbio. Ultima modifica di Giorgiosan : 11-04-2012 alle ore 08.52.55. |
11-04-2012, 09.06.38 | #18 | |||
Ospite abituale
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Riferimento: Difesa filosofica del caso come necessità
Citazione:
E a me quello del difensore Citazione:
[mi rivolgo al giudice] Signor Giudice, l'avvocato accusatore pretende di elevare il suo giudizio ad una forma universale. Nessuno dovrebbe però pretendere che i propri sani giudizi siano universali, altrimenti non ci sarebbe nemmeno la "necessità" di un Suo giudizio. Quindi siamo qui non per accettare giudizi ma per discutere nel loro merito. Citazione:
Il mio collega avvocato, addentrandosi nel merito della mia arringa difensiva, ha dovuto riproporre quel che io precedentemente ho voluto negargli in quanto oggetto solo del giudizio di un giudice. Non può quindi ricominciare dicendo che l'evento A non può che avere concause a1-a2, b1-b2. Questo è proprio l'oggetto del nostro contendere. Ed il giudice è qui per controllare le nostre tesi. La mia tesi è di natura psicologica. Siccome credo che gli infiniti, nella fattispecie: le cause infinite, sono "fastidiose", esse è necessario eliminarle. a Lei la parola |
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11-04-2012, 16.28.50 | #19 | |
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Riferimento: Difesa filosofica del caso come necessità
Citazione:
Obiezioneeee! La sezione "psicologia" del forum Riflessioni è stata chiusa. E pertanto non possono essere prese in considerazione argomenti di tal genere ma sicuramente non possono costituire una prova in questo ambito ( ontologico, gnoseologico, fenomenologico). Storiella conclusione. Un giudice sedette in udienza. Il primo argomentò così: la verità è bla bla bla. Il giudice sentenziò: hai ragione! Il secondo argomentò così: la verità non è bla bla bla, al contrario è alb alb alb! Il giudice sentenziò: hai ragione! Sconcertato un terzo gli disse: ma non è possibile che sia vero bla, bla, bla ed anche non bla, bla, bla.. Il giudice sentenziò: hai ragione pure tu! Tutti se ne andarono convinti di aver ragione. |
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11-04-2012, 20.30.17 | #20 |
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Riferimento: Difesa filosofica del caso come necessità
Ottimo Paul11, sono contento della tua posizione nei confronti del dialogo.
Non commenterò ora ciò che hanno aggiunto gli altri in seguito a quello che hai scritto per non creare troppo caos. Non commenterò nemmeno le cose che hai detto in merito al libero arbitrio, se non ciò che riguarda il valore dell'esistenza e l'etica. Quello che mi interessa è questo: una delle dimostrazioni dell'esistenza della libertà (il cui concentto è inscritto in quello di contingenza il quale racchiude anche quello di caso) si snoda attraverso la considerazione della perdita di valore (sebbene questo concetto sia assai vago e forse potremmo parlare per definirlo meglio) che la nostra esistenza accuserebbe negando la realizzazione della libera volontà nell'uomo (o nell'universo). Una cosa che hai sostenuto, paul, (e che il 90% delle persone con cui ho dialogato nell'arco della mia giovane vita ha voluto far presente per palesare quella perdita di valore) è la difficoltà, o addirittura l'impossibilità, di impostare un'etica di fronte a un tale depauperamento della realtà. -La mia tesi, fratello, è che da un punto di vista morale, che la libertà esista o meno, le cose rimarrebbero identiche. Il motivo per cui mi sto accollando con questo discorso è che empiricamente non si può mostrare l'assoluta inesistenza della contigenza e, ancora, in altri post tenterò di mostrare che neanche a livello logico o metafisico (sebbene nei passati 5 anni abbia creduto il contrario e non sia sicuro di riuscirvi nonostante immagino di avere buone possibilità) ciò è possibile. Comunque, anche se alla fine della mia ricerca non lo ritenessi possibile, molti non accetterebbero una simile conclusione e allora si assisterebbe a un reiterarsi di dicotomie per ciò che riguarda quei piani del reale che si devono accordare al determinismo o all'indeterminismo ontologico. Allora, nel tentativo di cercare un'accordo tra queste ontologie (che nella storia dell'uomo si sono sempre scontrate) riterrei interessante iniziare a mostrare l'inconsistenza, a livello pratico, dell'opposizione dei loro principi.- Facciamo subito un esempio: un uomo trova sua moglie a letto con un'altra persona, così, in preda alla furia, lo ammazza. Secondo il fautore del libero arbitrio quell'uomo ha compiuto una scelta libera (preciso "scelta libera" perché una scelta, almeno sencondo il significato che do a questa parola, non è per se stessa libera), egli poteva uccidere quella persona o non ucciderla; invece, per quelli che non credono nella contingenza quella persona era costretta a uccidere, non aveva possibilità di fare altrimenti. Ora, il fatto che poteva non ucciderlo (esistenza ontologica della contingenza), ha davvero una rilevanza nello stabilire che quella persona deve essere punita, o meglio, reclusa? Quell'uomo viene punito perché avrebbe potuto fare diversamente o semplicemente perché lo si ritiene potenzialmente pericoloso e per fargli capire che ha sbagliato? Vedi, se ammettessi che il motivo per cui punisco quella persona fosse da ricondurre alla contingenza della sua azione allora la punizione si identificherebbe con la vendetta e per se stessa questa soluzione non avrebbe scopo alcuno per la società (se non quello di fare felice, ammesso che la vendetta porti felicità, chi richiede "giustizia"). Invece se la reclusione di quella persona fosse motivata dalla volontà di isolare un individuo potenzialmente pericoloso e/o insegnargli a dominare quelle pulsioni, come io credo sia sensato, non si farebbe soffrire una persona in più senza con ciò aspettarsi null'altro, quando di sofferenza ne è stata patita già molta in vista dell'omicidio. Sostengo che questa seconda giustificazione della reclusione forzata può essere accettata dal determinista come dall'indeterminista ed è la vera motivazione per cui esistono le carceri. Se io credessi che quel tizio era costretto a uccidere, non per questo lo lascierei nella condizione di poter mettere a repentaglio di vita altri uomini compreso me e la mia famiglia. Il post sta diventando lungo e non mi va che si appesantisca troppo la discussione. Credo di aver riportato abbastanza materiale da far capire bene la situazione che voglio tracciare; nonostante non abbia ancora ben chiarito in che modo si possa attribuire valore all'esistenza (anche in vista della vaghezza di questo concetto, o meglio del fatto che non lo abbiamo definito in questa sede) escludendo il libero arbitrio credo di aver mostrato qualcosa in proposito, attendo commenti. Un saluto, grazie. |