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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 05-12-2008, 09.22.11   #1
arsenio
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il postmodernismo e la verità decostruita

L'epoca postmoderna, in ambito filosofico, segna la fine della modernità e la crisi delle nozioni di “verità” e “fondamento”. A partire da Nietzsche declinano le storie universali, illuministiche, filosofiche della storia che si proponevano di emancipare l'umanità. Non ci sono leggi infallibili che regolano il corso della storia, fatta di uomini singoli e concreti. La ragione, da fortissima diventa “debole” e dai fondamenti si passa alla “decostruzione”, al riconoscimento del carattere enigmatico della storia e di quello rischioso della scienza e della tecnica. Si comprende che il dominio tecnologico sulla natura porta a dominare anche sull'uomo. (Dialettica dell'illuminismo, Adorno).

Derrida avverte la necessità di “decostruire” i concetti della tradizione filosofica, per la quale lo scopo del linguaggio sarebbe l'asserzione del vero, ossia l'esistenza di una verità. Ma tale filosofia non è in rapporto con la realtà e occorre sbarazzarsi della sua sterile scrittura di genere sofistico. Inoltre, ogni lettura è uno scarto rispetto al testo, ovvero re-interpretazione. Ognuna valida, o meglio, legittima, se ritenuta tale.
Il rapporto tra linguaggio e verità, intelletto e adeguazione alle cose, apparenza e realtà, furono dilemmi logico-filosofici a cominciare dai classici Secondo Aristotele è la cosa che decide della verità o della falsità, e non , all'incontrario, il pensiero. Fino all'attuale filosofia della scienza che si occupa di chiarire i concetti impiegati, dei metodi usati, di teoria della probabilità, dei possibili risultati, della forma degli enunciati, dell'analisi del linguaggio e delle teorie, del loro rigore logico. Nemmeno una teoria scientifica può essere definita vera, perchè i dati ultimi, incapaci di parlare da soli, sono parte di categorie e procedure costruiti in vista di determinati scopi. Popper è stato il primo ad abbandonare la convinzione che una teoria scientifica possa essere definita vera. Però, ha contemporaneamente tentato un salvataggio in extremis della nozione di verità, presentandola come una sorta di idea regolativa: il sapere è congetturale, nessuna teoria è vera e tutte sono confutabili, ma alcune sono più vicine alla verità di altre, sono più “verosimili”, nel senso che sono migliori approssimazioni al vero. Tuttavia ii post-popperiani, ancor più prudenti, hanno negato anche questa possibilità.
E' sbagliato evolversi verso ciò che che progettiamo di conoscere con uno scopo preciso: si deve procedere da ciò che già si conosce , e qualche problema può dissolversi ( T. S. Kuhn ). La nozione di verità non può essere appannaggio del discorso scientifico: “I grandi scienziati inventano descrizioni del mondo utili ai fini della predizione e del controllo degli eventi”. ( Rorty). Come non c'è un “mondo che sta là”, così non c'è una verità; non c'è nulla da verificare, ma tutto da interpretare.


Lo scetticismo e il dubbio , classici e postmoderni sulla possibilità di conoscere, sono eccessivi? No, se il vero sapere filosofico dev'essere molto cauto e conscio della difficoltà di dare risposte, e preferisce porre problemi. Non coincide con il senso comune dell'uomo pratico, che accetta senza discutere tutto ciò che “vede”; o con le verità ideologiche e assolute che annullano gli uomini rendendoli ciechi e sottomessi.
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Vecchio 06-12-2008, 11.32.37   #2
La_viandante
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

Sarò eretica in questa sezione del forum ma non posso non manifestare tutto il mio sospetto verso questa dottrina del pensiero che, sempre figlia del suo tempo riflette solo quello che le perviene dal contesto sociale, culturale politico, e in questo periodo di estrema incertezza, dalla crisi economica a quella morale, non può il pensiero che restituire l’immagine di ciò che è, l’incertezza, l’assenza di un punto di riferimento. Da questo e solo da questo nasce il postmodernismo, non da una reale impossibilità di pervenire ad una verità ma ad una personale, psicologica incertezza. Quando, meglio dire, se, la situazione reale tornerà a stabilizzarsi su uno qualsiasi dei cardini proposti da vari ambiti, quello religioso, quello laico, liberale, capitalista o comunista o qualcosa di assolutamente nuovo, anche la filosofia, il pensiero tornerà a riflettere immagini solide, verità.

Postfazione
Ha da passà a nuttata.
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Vecchio 07-12-2008, 12.51.52   #3
arsenio
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

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Sarò eretica in questa sezione del forum ma non posso non manifestare tutto il mio sospetto verso questa dottrina del pensiero che, sempre figlia del suo tempo riflette solo quello che le perviene dal contesto sociale, culturale politico, e in questo periodo di estrema incertezza, dalla crisi economica a quella morale, non può il pensiero che restituire l’immagine di ciò che è, l’incertezza, l’assenza di un punto di riferimento. Da questo e solo da questo nasce il postmodernismo, non da una reale impossibilità di pervenire ad una verità ma ad una personale, psicologica incertezza. Quando, meglio dire, se, la situazione reale tornerà a stabilizzarsi su uno qualsiasi dei cardini proposti da vari ambiti, quello religioso, quello laico, liberale, capitalista o comunista o qualcosa di assolutamente nuovo, anche la filosofia, il pensiero tornerà a riflettere immagini solide, verità.

Postfazione
Ha da passà a nuttata.

Gentile viandante, ti rassicuro, nell'attuale contesto discorsivo del forum “riflessioni filosofia” credo di essere io, per ora, l'unico “eretico”.La tua argomentazione è corretta e conferma ciò che dirò; anzi ti ringrazio per darmi l' opportunità per un'osservazione che mi sta a cuore.
In ogni sito virtuale l'orientamento argomentativo, lo stile ed i riferimenti e talora le ideologie, vengono determinati non tanto dal titolo tematico di una sezione, ma dalla prevalenza dei partecipanti che in quel momento lo animano .Si crea una linea di pensiero da cui è difficile deviare se si intende entrare nei dibattiti o richiamare in quelli che si propongono. Oppure si rischiano fraintendimenti anche non voluti e conflitti.
Tutti noi abbiamo opinioni, intuizioni, credenze sul mondo, sulla vita, sugli uomini che sono filtrate da una totalità di “condizionamenti”, e non assumo il termine in senso negativo, perchè fanno parte dei tanti vissuti che compongono la nostra storia personale. Non solo, ma qualcuno verifica tali idee per inserirsi in un percorso dinamico e di crescita, per rielaborale e reinquadrarle in orizzonti ampliati, mentre altri preferiscono la sicurezza che concede una stabilità di certezze. Secondo me in quest'ultimo caso si rischia di non notare le ambiguità di una realtà e proteiforme, eludendo un pensiero creativo che è l'antidoto al ristagno delle idee.
Spesso le risposte che ci diamo non soddisfano compiutamente esigenze umane: possono essere come dissi altrove, una scorciatoia che non soddisfa. Ma anche arrovellarsi sugli aspetti delle forme di verità, percepite, fenomenologiche, sensibili, assolute, ecc. per qualcuno suscita inquietudine. Talora si potrebbero pure confondere le scienze della natura con quelle dello spirito.
Ora a parer mio, ma nulla di male, qui c'è una prevalenza di partecipanti d'impronta spiritualista e neo-spiritualista,che come ho detto riterrei più adatti a dibattere in un forum come quello qui ora chiuso, “spiritualità”, ad essere rigorosi. Perchè certi problemi anche simili noi “filosofi” li affrontiamo in modi diversi.
Filosofare significa collocare un dato in un contesto e articolarlo con altri dati, senza isolarlo se si vuole veramente comprenderlo. Sono sempre stato a favore dell'interdisciplinarità e anche della transculturalità, che non manco di mettere in pratica, ma riconosco che si deve vigilare per discernere le varie dottrine senza creare il caos, ma un legittimo confronto. Ad esempio uno stesso temine in filosofia ha un senso, o varie sfumature, e in psicologia ne ha diverse.
Conosco alcuni elementi del Movimento dell'Acquario, ma le basi sono estranee alla mia formazione, e casomai m'interessano alcune applicazioni occidentalizzate. Anche il dialogo filosofico oggi aspira al benessere, così come alla ricerca dialogico -dialettica per possibili “verità condivise e cura di sé,e tende a tralasciare gli accademismi sterili che pur sono sempre in vigore negli atenei. Quindi i filosofi non sono tutti scettici, come temo supponi (il postmodernismo è complesso e se vuoi ne discutiamo), per partito preso, ma almeno per quanto mi riguarda amano la chiarezza e sono aperti al dialogo, anche con altre discipline sempre per amore di qualche spiraglio di verità o almeno di verosimiglianza,specie per temi che riguardino la nostra quotidianità. Perchè fare filosofia dovrebbe servire pure a vivere in un modo decente. E' vero che la forma mentis classica dovrebbe essere quella di chi non si fida nemmeno di quello che vede, o soprattutto di quello che vede. Perchè il dubbio del “genio” cartesiano”permane.

arsenio is offline  
Vecchio 24-08-2015, 01.38.47   #4
paul11
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

Il postmodernismo non è un movimento culturale senza una storia e un sociale, perchè tutti i postmodernisti sono dei disillusi, basta guardare le loro biografie a cominciare dal 1979 con Lyotard, sono post marxisti, sono post esistenzialisti, sono post sessantottini, sono idealisti e fenomenologisti, riciclati e cooptati nelle accademie universitarie.

Hanno preso atto della fine delle grandi narrazioni e quindi giudicano il mondo intrasformabile, al massimo sopportabile.
Personalmente li giudico di pochezza di analisi,dei limitati culturalmente.
Uno dei pochissimi che salvo è Severino che infatti non è classificabile, ma che non ha due caratteristiche fondamentali per me negative, non ha la parte sociale e nemmeno storica che è parte comunque delle categorie della filosofia, senza le quali è impossibile fare filosofia.
E' ancora l'unico ad avere capito che è entro la dialettica hegeliana il problema storico che a sua volta vine da Aristotele, solo che lo risolve in maniera puramente logica dentro una sua tatutologica struttura originaria.

Gli altri intellettuali, girano in giro ai problemi, così si potrebbe dire in parole povere. Incapaci di capire dove eventualmente le grandi narrazioni hanno fallito.

Il primo problema nasce dal razionalismo di Cartesio con la famosa dualità e proseguirà fino al criticismo di Kant che incentrerà il problema gnoseoligico dentro la metodica scientifica.
Questo filosofare è stato sapientemente esaltato nella modernità e nelle scuole, per avvalorare il concetto di progresso scientifico. E fin quì mi potrebbe stare bene.
Il vero problema è che hanno prima separato l'attore (IO) dall'atto cosnoscitivo o gnoseologico e dal prodotto stesso di quel pensiero, cioè il fenomeno. Ma hanno quindi separato l'aspetto teoretico dalla prassi, perchè le scienze sono soprattutto prassi, sono esperienza metodica dello studio di un fenomeno nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi. Due filosofi sono fra Cartesio e Kant, Vico e Spinoza, che ovviamente sono in "sordina". Perchè Vico che è l'iniziatore della filosofia della storia (qualcuno ritene sia Agostino) critica il dualismo cartesiano e perchè Spinoza è un monista che ha delle caratteristiche da precursore dell' idealismo, pur mancandogli la dialettica storica.

Solo Hegel e Fichte riproporranno ,in maniera anche diversa, L'io come concetto, come soggetto unificante dell uno , della totalità rispetto al procedimento dialettico storico in cui gli enti si determinano.
Ad esempio per Fichte il no-io può essere modificato nell' io, nel postmodernismo il non-io è intrasformabile.
Si costituisce il paradosso storico, il postmodernismo che ritiene che i dogm isiano finiti in realtà ne costruisce anch'esso.

Dimostrando un concetto storico fondamentale, che l'uomo può benissimo vivere senza una verità fenomenica, basta che ci creda fortemente .
E invece ho visto flotte di filosfi cercae pietre filosfali che non esitono, pensare che v isiano verità.
L'unica verità è che l'uomo continua a nascere, vivere e morire, mentre la Terra gira attorno a lSole, senza aver avuto mai nessuna verità, anche quando pensava d iaverla, e adesso che pensa di non averla.
Che cosa cambia? Nulla: questo il paradosso umano della sua cultura. basta che si creda in quello che si fa.

Che cosa è accaduto? Che le scienze hanno gonfiato le vele spinte dal concetto di progresso positivista, la metafisica viene di fatto esautorata da un ruolo veritativo in quanto l'Io è astrazione opinabile. Intanto ciò che non ha teoria causale ,ma solo spontaneismo corre nel tempo dell'acciaio come spiegazione spontaneistica di mercato, quindi come tautologia pratica che al limite sarà solo teoreticamente giustificativa, si riesca ad astrarre anche il concetto giuridico, inventando la persona giuridica .
La filosofia proseguirà nell'analisi del procedimento gnoseologico, fino all'epistemologia popperiana e si approderà alla linguistica dell'analitica anglo sassone. Va benissimo, ma questa non è più nella grande narrazione, con tutto il rispetto che ho verso questo discipline.

Antonio Gramsci, comunista; Benedetto Croce, liberale, Giovanni Gentile fascista, tre personalità fondamentali nella cultura del Novecento italiano , vengono tutte dall'idealismo.
Cioè solo l'idealismo è stato in grado soprattutto con Marx capaci di contrapposi al concetto di mercato=dio e dell'ultracapitalismo macina destini.

Perchè solo l'idealismo può recuperare il concetto di IO come soggetto sociale storico che si autodetermina nella dialettica.

Il marxismo ha fallito nel momento in cui è divenuta ideologia staccandosi dal cordone ombelicale della filosofia idealista che l'aveva ispirata. Così è divenuta anch'essa metafisica del progresso, materialismo come il positivismo, scontro di classe nella dialettica storica, quando la storia muta da sempre le classi.
Il proletariato ,poi divenuto operaismo si è dimostrata la classe sociale più corrrutibile, passando all'idea di vita borghese senza compiere nessuna rivoluzione, perchè l'uguaglianza borghesia =capitalismo è fallita .
Non illudetevi ,se siete ancora ingenui: destra e sinistra non esistono più come concetto di arena politica da almeno trent'anni, dal crollo del comunismo. Chiunque votate non è identificabile con una tradizione storica culturale, è solo un prestanome che compare nello sceneggiato ultrapitalistico del dio mercato,con sempre meno potere negoziale.Sono quindi altamente corruttibili, poichè non hanno fede in una idea e non hanno morale, poichè questa è divenuta un lusso senza senso nel comportamento del "frega più che puoi" poichè tanto non cambia nulla.

Adesso a voi la parola.....
paul11 is offline  
Vecchio 24-08-2015, 16.08.59   #5
memento
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

Personalmente ritengo che l'epoca attuale non sia postmoderna,per il fatto che questo richiederebbe un superamento dei vecchi valori della modernità in favore di alternative basi di pensiero,e questo non è successo. Ma questa crisi non è cominciata certo oggi ma a fine Ottocento con il tramonto dell'idealismo,corrente filosofica che è figlia essa stessa di una decadenza,di una cecità evidente. L'idealismo non risolve l'ereditato dualismo kantiano fenomeno-natura/noumeno-uomo,ma anziché lo ignora preferendo costruire sistemi sul nulla e palesando numerose contraddizioni. Rinunciando ad accettare controversie,la filosofia ristagna fino ai giorni nostri,e perde ogni valore autentico. La morte e la conseguente rinascita però è solo questione di tempo,ne sono certo.
Sul mercato-dio invece è chiaramente una conseguenza della crisi della politica come la intendiamo,che ha perso ormai il controllo dei processi economici e non solo. Marx torna sempre utile in questi discorsi,ma anche lui faticava ad avere un'idea della società oltrecapitalista,con un comunismo appena solo vageggiato.
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Vecchio 25-08-2015, 00.47.56   #6
paul11
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Personalmente ritengo che l'epoca attuale non sia postmoderna,per il fatto che questo richiederebbe un superamento dei vecchi valori della modernità in favore di alternative basi di pensiero,e questo non è successo. Ma questa crisi non è cominciata certo oggi ma a fine Ottocento con il tramonto dell'idealismo,corrente filosofica che è figlia essa stessa di una decadenza,di una cecità evidente. L'idealismo non risolve l'ereditato dualismo kantiano fenomeno-natura/noumeno-uomo,ma anziché lo ignora preferendo costruire sistemi sul nulla e palesando numerose contraddizioni. Rinunciando ad accettare controversie,la filosofia ristagna fino ai giorni nostri,e perde ogni valore autentico. La morte e la conseguente rinascita però è solo questione di tempo,ne sono certo.
Sul mercato-dio invece è chiaramente una conseguenza della crisi della politica come la intendiamo,che ha perso ormai il controllo dei processi economici e non solo. Marx torna sempre utile in questi discorsi,ma anche lui faticava ad avere un'idea della società oltrecapitalista,con un comunismo appena solo vageggiato.

Il postmoderno non è una risposta culturale, come dici giustamente, è semplicemente una presa d'atto dell'intrasformabilità in quanto non esiste più la verità.
L'idealismo risolve la dualità kantiana ricompattandolo in una Unità del tutto, dei frammentati determinismi, dove l' io è soggetto autodeterminato nella storia e quindi veritativo nel procedimento dialettico.
Se si "svuota"l 'Io come soggetto storico, rimane una metafisica trascendentale priva del momento socale e storico e priva quindi del rapporto con la realtà fenomenica, dove invece quest'ultima vine esaltata nel procedimento gnoseologico ed epistemologico delle scienze. Si impone i una certezza fenomenica mettendo invece in discussione il soggetto che la proietta. E'come dire che una luce è vera ,ma la lampadina è falsa. Siamo talmente immersi in questo paradosso culturale di alcuni secoli, da nemmeno accorgerci dell'assurdità.

La politica non ha più legami con le grandi narrazioni, con le tradizioni culturali, Se il momento politico è negoziazione quanto un mercato della domanda e dell'offerta , cosa cambia se al posto delle merci ci metto dei destini umani? Nulla, perchè l'uomo è ridotto a sua stessa proiezione materiale, a nessuno interessa un'armonia sociale dentro un macrocosmo naturale.L'uomo è un elemento sacrificabile dentro una strategia complessiva di utilità generale e funzionale completamente astratta, tipica dell'impersonalità ultracapitalistica.

L'esempio del marxismo è tipico di come la risposta ideologica si sia contraddetta. Se il materialismo dialettico e lo scontro di classe non sono filosoficamente supportati, diventano funzionali al materialismo ultracapitalistico e alla filosofia neo positivista.
In altre parole significa che la contraddizione è stato il focalizzarsi dentro i meccanismi materialisti del capitalismo, non ponendosi come alternativa vera filosoficamente. Se la dialettica di classe fallisce perchè il proletario vuole diventare borghese e non rivoluzionare il sistema, significa che quella ideologia è fagocitata all'interno del processo più ampio delle fasi capitalistiche.Lo ha oliato il sistema invece di porsi come effettiva alternativa. E' da rivedere il processo originario di confronto di Marx con Hegel le Fichte, perchè il prodotto ideologico ha perso storicamente.
E'solo un esempio impostato sul marxismo perchè è storicamente stato vissuto.
Non può esistere un'alternativa culturale se la filosofia non rimette al centro il soggetto IO come autodeterminazione storica,come momento unitario delle determinazioni, laddove la frammentazione è stata anche del momento teoretico separato dalla prassi. L'ultracapitalismo è soprattutto prassi spontaneistica, non ha bisogno di una propedeutica teoretica, è la stessa prassi pragmatica che lo giustifica
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Vecchio 25-08-2015, 16.01.46   #7
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

Ma poteva davvero funzionare la dialettica idealista? L'errore è stato proprio quello di credere che la distanza con il fenomeno fosse colmabile,che il confronto con un elemento stabilito a priori (da chi?) fosse possibile. Il dualismo kantiano è la vera anima dell'idealismo,nessuno che però si ponga il problema di aver diviso la realtà alla base (se non è cecità questa). E come poteva finire altrimenti? Pur di continuare il confronto si è preferito falsificarlo. Cosi nasce il postmoderno,immagine riflessa di qualcosa che non c'è più.

Paul11,il punto è che tornare alla dialettica non si può,è un sistema che ha fallito da tempo nel descrivere la realtà. Se si vuole che l'Io torni ad avere un ruolo fondamentale nella filosofia,allora bisogna liberarsi del concetto di fenomeno,non credi anche tu siano due cose incompatibili?

Sulla politica: ha perso ormai da anni le redini della società e si è trasformata in un allegro spettacolo di burattini,si è svuotata di ogni significato culturale e non. Anche qua si è visto il fallimento di un sistema,quello democratico,e si è finto che potesse andare tutto bene. Se vuoi sapere cosa ne penso,ho scritto qualcosa nel topic il paradosso della democrazia
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Vecchio 26-08-2015, 01.00.36   #8
paul11
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Ma poteva davvero funzionare la dialettica idealista? L'errore è stato proprio quello di credere che la distanza con il fenomeno fosse colmabile,che il confronto con un elemento stabilito a priori (da chi?) fosse possibile. Il dualismo kantiano è la vera anima dell'idealismo,nessuno che però si ponga il problema di aver diviso la realtà alla base (se non è cecità questa). E come poteva finire altrimenti? Pur di continuare il confronto si è preferito falsificarlo. Cosi nasce il postmoderno,immagine riflessa di qualcosa che non c'è più.

Paul11,il punto è che tornare alla dialettica non si può,è un sistema che ha fallito da tempo nel descrivere la realtà. Se si vuole che l'Io torni ad avere un ruolo fondamentale nella filosofia,allora bisogna liberarsi del concetto di fenomeno,non credi anche tu siano due cose incompatibili?

Sulla politica: ha perso ormai da anni le redini della società e si è trasformata in un allegro spettacolo di burattini,si è svuotata di ogni significato culturale e non. Anche qua si è visto il fallimento di un sistema,quello democratico,e si è finto che potesse andare tutto bene. Se vuoi sapere cosa ne penso,ho scritto qualcosa nel topic il paradosso della democrazia

Non riesco a fare capire probabilmente quanto sia stata importante nella cultra la separazione fra il soggetto e il fenomeno e il sitema di relazione che media i due sistemi. Husserl nella fenomelogia è stato ancora più chiaro nell'identificare questo paradosso, anche se poi il suo pensiero si muove in un orizzonte diverso dall'idealismo.
La scienza galileana si sviluppa dalla divisione fra essere e pensiero, fra immanenza e trascendenza,tutto ciò nel razionalismo cartesiano.
quanto Kant tenta di ricomporre il dualismo non fa altro che sovrapporre il soggetto sull'oggetto risolvendolo con le categorie a priori , presupposte nell'intelletto e applicate nell'esperienza senza dirci come in noi si forma un mondo a partire dall'esperienza.
La dimostrazione è che l'uomo comune nella sua dimensione e dinamica quotidiana, ragiona in un modo diverso dalla scienza che ha separato soggetto-relazione-fenomeno.
L'idealismo teorizza l'unità di tutto dentro una storia in cui avvine un procedimento dialettico. L'io, soggetto autodeterminato, non è separato dalle determinazioni del mondo, semmai il procedimento dialettico è infinito e apodittico (questo Severino ad esempio lo ha capito nella logica dialettica, costruendo una tautologica struttura originaria che dovrebbe risolvere questa infinita contraddizione).
Se poni la logica dialettica come metafora umana allora vedi al storai dell'umanità , questo è ciò che ha fatto Marx. Il suo errore fondamentale e poi del marxismo è stato l'autocontraddirsi a sua volta ponendo una rottura insanabile fra materialismo e idealismo, fra struttura e sovrastruttura .
Se il materialismo diventa il focus dentro un processo dialettico storico, cado nell'idea di progresso o di messianicità come il neopositivismo da una parte o la religione dall'altra. Questo errore storico fu figlio della stessa storia della metà dell'Ottocento.
Ne risulta che i veri antistorici anti capitalisti furono il nichilismo di Nietzsche, gli esistenzialisti ed Heidegger, ma in totale contraddizione a loro volta, poichè dentro una logica da "ultimo uomo" individualista e antimodernista: non poteva che implodere, a sua volta travolti dalla storia.


Solo in questo forum ci saranno decine di thread che continuano a ruotare sul rapporto io e fenomeno, realtà vera, presunta, ecc.
Se percepisco un fenomeno "io lo vivo":questo è il mio concetto.E se lo vivo è impossibile separalo perchè se è esperienza è vissuto, e si trova da qualche parte nel cervello e nella mia mente E se è memoria vuol dire che posso evocarlo astoricamente. Io sono storia allora indissolubilmente legato alla rappresentazione di quel fenomeno, Io "totalizzo" quel fenomeno come percezione biochimica, come espressione psichica e spirituale e lo memorizzo astoricamente come ricordo, ritorno al passato. Noi siamo "tutto",io e fenomeno, perchè se non fossimo, il fenomeno non esisterebbe anche se esistesse.
Potremmo forse scientificizzare un fenomeno se non fossimo mai nati come umanità? I diversi punti di vista sono le determinazioni, i frammenti di una unità che è solo in noi ricomponibile.

La storia ci sta dicendo che o l'io (l'umanità nella su totalità) riprende in mano il suo destino ,oppure il fenomeno si determina continuamente costruendo eventi che mostreranno continuamente la contraddizione di questo ultrcapitalismo macina destini.

Come si fa ancora a non capire che neppure il diritto come scienza non è più in grado nemmeno di regolare una diattriba dei due "marò", un intero continente che con i barconi che arriva in Europa e che il "mercato-dio" è colui che regola, i destini di una umanità sacrificabile sull'altare di un non-si-sa bene-cosa.
Come si fa a non capire che la politica è morta ,che non esiste destra e sinistra, esistono replicanti omini prestanome che ogni tanto fanno la comparsata a capi di governo.

Se è finita la grande narrazione, se esiste la separazione fra io e fenomeno, significa che tutto è manipolabile nella paradossale astrattezza che invece è realtà.
Ognuno di noi è chiamato alla sua proiezione materiale nei ruoli che lo determinano, siamo figli, genitori, prestatori d'opera, imprenditori, disoccupati, autonomi,commercianti, pensionati. Siamo identificazione di un ruolo, a nessuno importa di quell'IO che è la nostra totalità,che è la nostra espressione del mondo e nel mondo che si storicizza dentro un'esitenza:non so come altro farmi capire.
Noi non siamo un fegato, un cuore, un polmone, noi siamo la totalità dei componenti più la totalità del mondo nella sua rappresentazione che ognuno ha dentro la propria esistenza.

E' come se vivessimo in un incubo di un sogno che invece è reale:senza via d'uscita.
Non esistono nemmeno strumenti razionali per intervenire, persino una delle poche sinistre europee ,come quella greca è implosa nel diktat ricattatorio: vuoi separarti? Allora paga pegno risarcendo i debiti immediatamente. Il prezzo dell'indipendenza è il fallimento, così oggi si vincono le guerre senza bombardare, la Merkel vincerà dove Hitler fu sconfitto, in questa guerra pacificata.

La politica muore se non ha alle spalle una tradizione e una cultura, diventa populismo e demagogia più corruzione e connivenze:come si fa ancora a non capire che non è malata questa politica è già cadavere in putrefazione.
C' è da ridefinire completamente il significato di democrazia, di libertà di uguaglianza, di dignità nella prassi e non nelle parole o negli scritti.
L'iiluminismo costruì quei valori dentro una borghesia come classe che avrebbe dovuta incarnarla. Un secolo dopo Nietzsche uccide le morali e Marx teorizza ancor prima lo scontro di classe.
La morale come prassi storica è morta da più di un secolo, e ha consentito gulag e lager e due guerre mondiali, nonostante bei valori, begli intenti.Il cinismo delle vittime sacrificabili di bombe atomiche per vincere la guerra dimostrò già allora che tutto è giustificabile ,basta vincere e riscrivere la storia da dominatori. Se altri l'avessero vinta l'avremmo imparata in tutt'altra maniera.

Non è con la politica che ci salveremo se non riprendendo in mano i nostri destini e solo una ripresa di una grande narrazione, riveduta criticamente , che ricomponga la contraddittoria frattura Io, fenomeno; trascendenza, immanenza che a mio parere potrebbe ridare una storia.Quella frattura aiutò le scienze, e mi sta benissimo, ma non che la fisica entri nelle scienze umane determinandola, perchè così hanno trasformato la sociologia ad esempio e così trasformeranno l'uomo futuro, una proiezione talmente alienato di sè da sentirsi estraneo a se steso, un automa in carne ed ossa.
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Vecchio 26-08-2015, 16.19.34   #9
memento
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

Paul11,ho capito cosa intendi dire e sono d'accordo più o meno su tutto. Permettimi però una precisazione: la frattura nasce nel momento in cui si considera il fenomeno come un elemento a sé stante,che si determina a priori dall'Io (mi parli di scientificizzare un fenomeno,come se questo fosse altro da un aspetto conoscitivo). Perché l'uomo dovrebbe mettersi a mediare con una sua costruzione mentale (la materia,il mercato,la politica,ecc.)? È questa la "follia" insita nella dialettica ed è giunta fino ai giorni nostri. Per favore rispondimi nel merito,non c'è bisogno di scrivere un altro papiro che ho compreso il senso del tuo discorso.
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Vecchio 26-08-2015, 23.42.31   #10
maral
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

Mi inserisco su questo concetto espresso da paul11:
Citazione:
Se percepisco un fenomeno "io lo vivo" ... E se lo vivo è impossibile separalo perchè se è esperienza è vissuto, e si trova da qualche parte nel cervello e nella mia mente E se è memoria vuol dire che posso evocarlo astoricamente. Io sono storia allora indissolubilmente legato alla rappresentazione di quel fenomeno, Io "totalizzo" quel fenomeno come percezione biochimica, come espressione psichica e spirituale e lo memorizzo astoricamente come ricordo, ritorno al passato. Noi siamo "tutto",io e fenomeno, perchè se non fossimo, il fenomeno non esisterebbe anche se esistesse.
Sono d'accordo, come sono d'accordo con la necessità di superare la dicotomia io pensante - mondo fenomenico e non nel solo modo proposto dal pensiero scientifico oggettivo che di fatto non la risolve, ma al contrario la radicalizza. Solo integrerei la frase dicendo che "se percepisco un fenomeno io lo vivo (ossia lo assumo in me) e parimenti ne sono vissuto (ossia io sono assunto in esso)". L'aggiunta è importante perché è proprio il riconoscersi dell'io, oltre che soggetto attivo nel suo sentire, come soggetto passivo del fenomeno sentito che si stabilisce un principio di riconoscimento effettivo e integro dell'esistenza.
Preciso che intendo per io una modalità di sentire ed essere cosciente individuale e specifica, immanente in atto e non un'individualità - essenza universale. L'io è il simbolo della volontà individuale parzialmente e diversamente cosciente di se stessa in ciascun singolo soggetto.
La congiunzione dell'io con il fenomeno mi rende anche fenomeno del mondo per cui io (in quanto fenomeno del mondo) non esisterei se un mondo non esistesse: io e mondo siamo reciprocamente fenomeni l'uno per l'altro e in contrapposizione in termini di attività-passività.
Questo però non significa a mio avviso che il fenomeno esprima la totalità di ciò che è, bensì la totalità di ciò che appare, ma nulla, se non un atto arbitrario può porre un'identità tra ciò che è e ciò che appare (anche se Severino direbbe che ciò che è comunque deve apparire, ma il dover apparire è diverso dall'apparire quanto il destino lo è rispetto all'attuale contingenza). L'Essere è sempre in qualche misura oltre il suo apparire e forse l'attuale crisi della filosofia nella sua originaria volontà epistemica è proprio questo che mette in luce. Forse, come dice Heidegger al termine della sua sconfitta ontologica, solo un Dio ci può salvare, ma non è un Dio che si possa annoverare tra i vecchi Dei già incontrati e il tragico è che non sappiamo immaginare che Dio ci aspetta né quali intenzioni su di noi poi manifesti.

P.S. Forse nella mia risposta a paul ci si può leggere anche una risposta alla domanda di memento. Il punto è che la materia, la politica, il mercato ecc. possiamo considerarle costruzioni dell'uomo, ma ogni uomo è pur sempre costruito da queste costruzioni e da qui la necessità di mediare, ossia di trovare una sintesi dialettica tra istanze contrapposte sul piano fenomenologico.

Ultima modifica di maral : 27-08-2015 alle ore 00.22.31.
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