Riferimento: Come se la cava Dio con gli esperimenti mentali?
Non so se conoscete il volumetto che col titolo “Preghiera darwiniana”, autore Michele Luzzatto, l’editore Cortina ha mandato in libreria in questi giorni. Nell’introduzione, firmata da Giulio Giorello, viene ricostruita la vicenda personale, tormentosa e gloriosa di Charles Darwin, impavido nell’affermare le ragioni di una teoria evoluzionistica che sembra coprire l’intera biosfera, eppure restio fino alla fine ad estenderla esplicitamente all’uomo (“l’origine dell’homo sapiens è il problema più alto e più interessante per un naturalista ma….”); non solo, ma deciso nell’affermare che “senza la speculazione non è possibile alcuna osservazione valida e originale”. E se lo dice lui possiamo anche noi, filosofi, azzardarci a dire la nostra.
Intanto comincerei col lasciare da parte le guerre di religione compresa quella attuale fra darwinisti e quei religiosi che li accusano di empietà se non di corruzione morale. E se è vero, come dice Luzzatto, che l’apporto essenziale di Darwin alla speculazione è rappresentato dalla rottura di quello che si può chiamare “fissismo”, cioè rottura delle essenze (in questo caso identificabili come specie create una volta per tutte e sostanzialmente immobili) di fronte alla infinità di una vita che crea e distrugge, mi pare che questa concezione dell’umana cultura – questa dissoluzione del fissismo - sia cominciata ben prima che Darwin la portasse a un grado di surriscaldamento prima impensabile; sia cominciata addirittura dall’antica Grecia, quando di fronte alle idee fisse di Platone, Aristotele introdusse la sua teoria di sviluppo cioè di potenza-atto e vide muoversi tutto, relegando la fissità all'esistenza di un dio che comunque è ben lontano dal nostro mondo. E poi, non è tutta la filosofia una conquista del concetto di storia? E questo concetto non si è irrobustito nell’Ottocento e non ha portato il Novecento addirittura a credere nella necessità della rivoluzione e, per rimanere nell’ambito della filosofia, all’idea nietzschiana del trascendimento di tutti i valori se non di una mutazione della specie-uomo? E allora perché appare così ostica ai teocon l’idea che la natura possa avere una storia, che dopo tutto sembra condurre a una consacrazione dell’uomo?
Qui effettivamente, cioè in questo ineludibile riconoscimento di una scala della natura, c’è qualcosa che fa pensare, anche se Giorello ricorda le parole di un letterato attento alle scoperte di Darwin (“Se ci è dato di ricostruire l’origine della specie umana possiamo sostenere che il nostro universo non è ontologicamente orientato verso l’uomo e che l’uomo e la vita organica non possono avere veramente importanza per ciò che è infinito: questa consapevolezza, dimostrabile scientificamente, farà crollare tutte le idee su un presunto piano cosmico riservato alla nostra specie”. E di fronte alle parole del papa che insiste nel dichiarare che per quanto riguarda l’evoluzionismo non vi è certezza scientifica e che si tratta di "teorie incomplete", Giorello ricorda che la storia della scienza è fatta così, cioè non ha sosta e conclude: “abbia fede, santità – prima o poi sarà fatta luce”. Mentre Luzzatto nella sua preghiera o perorazione per Darwin suggerisce un parallelo tra il naturalista inglese e le figure bibliche di Giacobbe e di Giobbe, cioè la grandiosità di una lotta con Dio in cui si rischia di finire all’angolo, quasi schiacciati da una potenza incomprensibile, ma nello stesso tempo giudicati degni avversari di quella potenza che sentiamo tanto lontana da non poter decidere – come dice Heidegger - se si muova verso di noi o via da noi.
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