Riferimento: La piaga divina
Karenina, il tuo riferimento a Feuerbach mi ha obbligato a cercare quale rapporto potrebbe esserci fra il suo concetto di alienazione e quella doppiezza del divino (assoluto e infinito, ossia trascendenza e immanenza) con cui le religioni del mondo lo rappresentano e i fedeli lo vivono.
Certo, potrei pensare che assoluto e infinito sono proprietà che l’uomo considera desiderabili per sé stesso e che non potendo presumere di possedere, ha trasposto in quell’essere dotato di tutte le perfezioni che ha chiamato Dio. Ed ecco allora il senso di quella piaga divina, che in realtà è una piaga che l’uomo ha dentro di sé perché egli vive nella sua coscienza la certezza di essere la forma suprema della natura, anzi qualcosa che non può essere solo natura ma spirito o più che spirito…..mentre, d’altra parte, è costretto a vivere sulla terra e a percorrere un cammino che non ha fine di asperità e di dolorosa fatica – due dimensioni di sé che l’uomo dunque ha estroflesso in un Dio portandole al loro grado supremo.
E se l’operazione Feuerbach sembra essere andata incontro a qualche obiezione (perché l’uomo traspone in Dio solo ciò che desidera, cioè le sue qualità positive e non tutto sé stesso, con i suoi mali, spietatezze ed assurdità?), l’obiezione può essere superata perché effettivamente la divinità è dotata di qualità desiderabili portate al massimo grado, ma fra le qualità che l’uomo ritiene desiderabili non c’è solo la bontà, la misericordia, l’amore… ma anche (forse troppe volte) la durezza, il rifiuto, l’odio contro altri uomini, e perfino – come è stato dimostrato nei secoli - contro gli infedeli e contro chi crede a un altro Dio: un atteggiamento che egli può credere condiviso dal proprio Dio, e ben dimostrato in quelle lotte di religione in cui si compie ciò che tu chiami rimando di responsabilità, sfumando una prospettiva che è solo terrena in quello che diventa un odio da cui non si può prescindere, cioè un odio celeste.
Quanto al ritegno che provi ad accettare in pieno questa concezione, dipende da quella che alla fine mi pare però una critica insostenibile contro di essa: e cioè che, proprio conducendo agli estremi quell’aspetto trascendente-immanente della religiosità, cioè aprendo del tutto la piaga divina, non si sacrifica Dio, ma si raggiunge quell’ orizzonte in cui esso veramente giace: fra un assoluto ed un infinito che, continuando il discorso di Feuerbach anzi cercando di arrivare alla dimostrazione ultima della sua tesi, potremmo considerare le due supreme istanze che l’homo sapiens o sapientissimus vorrebbe riservare a sé ed è costretto a cedere – forse con qualche ritegno – al fantasma divino.
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