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30-01-2008, 15.00.08 | #33 |
Ospite abituale
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Riferimento: per una filosofia morale, pratica e teoretica
Il Dubbio, mi pare che non ci sia fraintendimento, visto che anch'io penso che è difficile dire "che cosa l’uomo davvero pensa prima di svolgere un’azione”. Se parlando di etica occorre ovviamente ricorrere alla ragione se non addirittura alla storia della filosofia, per ciò che riguarda la morale, cioè la prassi nel suo momento decisivo e bruciante, bisogna “gettarsi” - non da avventurieri, ma perché la decisione morale supera, come mi pare d’aver già detto, il mondo della ragione, fino a riassumerlo e riformarlo in ciò che la trasfigura e può creare un nuovo senso di essa.
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30-01-2008, 18.08.09 | #34 |
Ospite abituale
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Riferimento: per una filosofia morale, pratica e teoretica
La coscienza , qualsiasi sia il sistema morale di riferimento sia pure una individualissima scala di valori, è sempre in azione.
A meno che non sia una coscienza "perplessa", (ossia sempre incapace di decidere e che paralizza, il che è patologico), tutto il contenuto della conoscenza teoretica e del vissuto è sempre sinteticamente presente nel momento di prendere una decisione. E' molto più complicato spiegare cosa si pensa prima( giudizio antecedente) che avere il proprio pensiero sintetico a disposizione del giudizio morale. Questa è esperienza comune ed universale. Più si esercita la coscienza più il giudizio antecedente diviene facile. Piuttosto mi sembra di capire che il problema è quello di non avere una opzione fondamentale. |
01-02-2008, 17.53.44 | #35 |
Ospite abituale
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Riferimento: per una filosofia morale, pratica e teoretica
Certo, Giorgiosan, ci sono decisioni improvvise che quasi danno ordini alla coscienza o la ignorano spudoratamente. Dopo tutto, anche a prescindere dai casi estremi di nevrosi o pazzia, neanche noi conosciamo veramente noi stessi (ricordi le discussioni che si sono fatte sul tema “Ma l’io esiste?”) E, certo, se fosse così, cioè se l’io non esistesse, il concetto di responsabilità introdotto nei codici sarebbe un assurdo. Comunque, per gli uomini comuni e presumibilmente sani di mente, potrebbe valere il principio di magnanimità, per il quale nel giudicare gli altri è giusto considerarli, fino a prova contraria, innocenti, mentre nel giudicare sé stessi è meglio rovesciare la logica: perché tanto la nostra natura è tale che ci consideriamo sempre incolpevoli o almeno ampiamente giustificati per ciò che facciamo.
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01-02-2008, 19.00.45 | #36 | |
Ospite abituale
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Riferimento: per una filosofia morale, pratica e teoretica
Citazione:
La coscienza morale non si occupa dell'agire morale degli altri ma solo del nostro individuale agire. Non sono d'accordo che la natura fa considerare il proprio agire incolpevole...basta osservare il nostro cane per accorgersi che anch'egli si rimprovera, a suo modo, le trasgressioni. Alla coscienza non si può ordinare nulla ...forse volevi dire che si prendono decisioni per "spontaneità", o per la forza di una pulsione che non desideriamo bloccare, o per leggerezza ( l'incoscienza)...ecc. ecc. |
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03-02-2008, 15.04.05 | #37 |
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Riferimento: per una filosofia morale, pratica e teoretica
Mi sembra per lo meno azzardato affermare che la nostra coscienza si occupa solo “del nostro individuale agire”: magari fosse così! Forse l’atmosfera in cui vivi è veramente speciale, fatto sta che è universalmente noto (non solo per averlo letto in qualche romanzo) che dai salotti alle portinerie (e perfino qualche volta in chiesa) si parla o sussurra dei fatti degli altri. Forse tu dai ipso-facto al termine coscienza morale un significato sublime. Tanto sublime che sei convinto, come dici, che l’uomo normale – quello che comunque non è, come un cane, soggetto ai pavloviani riflessi condizionati – se ha commesso qualcosa di ingiusto o dannoso annuncia subito: la colpa di questo è mia!
(Mi pare che il tuo mondo sia troppo bello, Giorgiosan, quasi come quel paradiso in cui, come dice il filosofo, non sappiamo di essere; e come forse credevamo noi stessi di essere quando ci scambiavamo privati messaggi). |
03-02-2008, 19.04.36 | #38 | |
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Citazione:
Coscienza morale ha solo un significato solo e si occupa dell'agire personale. e su questo non ci piove. Quello che succede nei salotti, nelle portinerie e nelle chiese si chiama pettegolezzo o può chiamarsi giudizio temerario ma questi comportamenti vanno a "caricare" la coscienza individuale di chi ha pronunciato quei giudizi o di chi, spettegolando, ha diffuso menzogne o comunque fatto del male agli altri. La denuncia della propria colpa riguarda il sistema morale al quale si fa riferimento, ma qui possiamo cadere nella casistica. Secondo me ci sono casi in cui l'"autodenuncia" è dettata dalla coscienza stessa ed altri in cui questo comando della coscienza non si ha. Non vivo in un mondo a parte e neppure in un mondo solipsistico, sono sereno raramente felice e molte volte sofferente come tutti, a volte inquieto o irritato o arrabbiato...nonostante i miei sforzi ...ma posso testimoniare questo: quando seguo la mia coscienza sono sereno anche se contemporaneamente sono nel dolore. Seguire la propria coscienza non è facile perché la coscienza è sempre più esigente. Il mondo è bello o brutto a seconda degli aspetti del mondo che guardo. Sono sempre nel modo in cui ero nei messaggi privati che ci siamo scambiati. Debbo dire che nei tuoi post mi sono accorto di un tuo diverso atteggiamento e mi fa piacere. Ciao Emmeci. |
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04-02-2008, 09.24.12 | #39 |
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Riferimento: per una filosofia morale, pratica e teoretica
Sì, Giorgiosan, credo proprio che qualche contrasto (ideale!) intercorso fra noi sia dipeso da un equivoco: cioè dal sospetto che io sia un nemico della fede. Niente di più lontano dal vero. Anzi ho insistito, là dove mi è stato possibile, a ricordare agli amici filosofi che non si può sbarazzarsi così facilmente e impunemente dalla realtà della fede, anche se essa sembra comportare l’adesione a una religione e una chiesa. Che la fede è una grande realtà, che la religione è stata probabilmente l’inizio di ogni cultura, e che ha segnato talvolta il destino di un popolo…..Ma questo non toglie che si possa valutare se al mistero e alla sublimità della fede sia equiparabile ciò che dicono le religioni, cioè se quell’intima fiamma su cui ci curviamo nelle notti di disperazione possa trovare risposta nelle litanie che una chiesa ci insegna, nei dogmi, nelle dottrine, nei riti in cui ci impone di credere, cioè che la religione non possa essere qualcosa di ben più alto o più ampio di un catechismo o dell’obbedienza a un pastore, fino a pensare che per sostenere l’immortalità della fede si debba piuttosto privarla di tutti i fronzoli e i rosari delle religioni terrestri. E, corrispondentemente, che Dio sia qualcosa che trascende ogni figura, ogni fantasma, ogni nome che possano essergli attribuiti – e che solo una rinuncia ad applicargli, come a un idolo, una maschera antropomorfica lo libera da ogni possibilità di accusa, incapacità o ingiustizia, assicurandogli quella forza che manifesta nel cuore di chi, nella notte del venerdì santo, sente che la fede non muore ed è pronta alla resurrezione.
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04-02-2008, 21.16.00 | #40 | |
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Riferimento: per una filosofia morale, pratica e teoretica
Citazione:
E' del tutto normale che ci siano diversità di punti di vista. Tu sembri un teista o un deista...io sono un cristiano. Abbiamo dei convincimenti comuni. Ciao Emmeci |
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