Ospite abituale
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Riferimento: Onnipotente è il desiderio
La scommessa che Pascal propone è cosa esclusiva della mente, cioè giocata al suo interno, senza nessuna referenza esterna. E’ la sua attività ludica. Se osservi bene, il concetto del gioco da te colto e da me espresso non propone un oggetto del gioco ed un soggetto giocatore. I due elementi della relazione coincidono. Colui o colei che perpetra e perpetua il gioco non è Dio – il quale dopo la rivelazione si nasconderebbe -, bensì la mente. L’essenza dell’uomo si oggettiva nell’ipostasi di un Dio Padre – tesi mutuata da Feuerbach -. Una volta creato Dio a nostra immagine e somiglianza, sulla scorta delle proprie intime paure e, in virtù della propria esigenza di conforto e provvidenza, connotatolo come essere compassionevole e caritatevole, la mente – l’ente che dunque pone in essere il gioco, creandolo e attivandolo -, lo nasconde a se stessa, di modo che non abbia più accesso alla sua terrifica magnificenza. La mente rivela Dio e lo ri_vela. In virtù di questo meccanismo, la mente ricusa ed oblia se stessa, recede da se stessa, mantenendosi sul limine del senso e del non senso, ove è esplicata la disputa che impregna l’esistenza. Dio occupa appunto quest’area agonica, che è cesura fra significato e vacuità. Entro quest’area la mente oscilla fra i due contrapposti argini, ed ogni percezione fideistica o atea, è un tracimare oltre l’argine. E’ innegabile che l’ipostasi di un Dio Padre amorevole e provvidente annetta senso e significato all’esistenza, poiché dischiude ai sensi un orizzonte finalistico, intrecciato dalla Speranza, sovrapponendolo a quello del non senso, o del senso fine a se stesso della vita. Ma ciò non elimina il dubbio che si possa trattare di un senso e di un significato artefatti inconsapevolmente. La fede, che è tensione e non acquietamento, risente di questo Polemos.
Così è stato anche per il volenteroso Pascal, il quale, incapacitato a rinvenire nel suo profondo le ragioni del suo irrazionale innamoramento, propose una giustificazione in chiave ludica, appunto di scommessa.
Ma su un innamoramento, sull’oggetto del proprio intimo amore non si scommette, perché se l’attesa della vincita si traduce in fondamento dell’emozione, il sentimento stesso, scaturigine dell’emozione, s’inaridisce, divenendo non più grassa terra che nutre, ma calcina che dissecca.
Il Cristianesimo, ed in genere le religioni abramitiche, perché solo qui troviamo un Dio altro dall’uomo. Un Dio che manifesta se stesso, facendosi conoscere dalla Creazione attraverso la rivelazione. Un Dio che parla all’uomo, che ne determina l’agire, che stipula un patto con lui. Un Dio non soggettivo, bensì, attraverso la rivelazione, reso obiettivo. Egli parla, la Sua parola testimonia circa la Sua esistenza. Non v’è dunque relativismo in questo autoproporsi di Dio all’uomo. Il relativismo che tu ben enuclei è attinente alla complessità del ‘fenomeno religione’. Ma nell’ambito della fede in un Dio rivelato non v’è che assoluto. Per un individuo, per il singolo credente quella fede è percezione dell’assoluto. La rielaborazione di genere, cioè che l’umanità compie per rendere intelligibile alla ragione la percezione irrazionale, si traduce in frammentazione. E’ da questa disgregazione che emerge il dato relativo della percezione di Dio. Ma è un problema che non riguarda il singolo, è piuttosto un aspetto sociale e che inerisce alla filosofia delle religioni. Per la fede del singolo, Dio è assoluto. L’urgenza di rendere decifrabile alla mente questa irrazionalità, questa follia, compone il mosaico dell’ermeneutica, che è la scienza della spiritualità, che è appunto quanto di più relativo possa trovarsi.
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