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Data registrazione: 16-07-2005
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LO SPECCHIO
A lui piaceva guardare e guardarsi allo specchio. Narcisismo? O paura, timore di scoprire amare verità?
A lei piaceva guardare lui allo specchio. Voyeurismo? O paura, timore di essere svelata?
Non è facile, adesso, spiegare come tutto è cominciato, da dove, perché e in conseguenza di quale situazione.
La realtà è che è cominciato. E niente succede per niente.
Lui attraversava la strada, stava dirigendosi all’ufficio dell’avvocato per definire la questione ormai annosa dei pagamenti mai pervenuti da parte del suo ex socio. Lei guardava dalla finestra la pioggia che iniziava a cadere e che avrebbe guastato il suo week end.
La porta dell’avvocato era aperta e il respiro della segretaria era udibile anche ad un inavvertito visitatore tanto il silenzio era totale, denso, da tagliarsi con il più fine dei coltelli. La luce lo investì e dallo specchio la scorse mentre era intenta a baciare con trasporto una macchia nera, o almeno quello che a lui pareva una macchia nera. In realtà, una massa di capelli che prontamente si ricompose negli abiti di un delicato vestito color rosa confetto, gli rilevò il viso di una giovane signora che già altre volte aveva visto uscire dall’ufficio dell’avvocato.
Nessun rumore. Solo il delicato, soffice spiegarsi della stoffa che ricade sul corpo, sulla pelle, per poi stendersi come stirata sulle braccia e sulle gambe.
La segretaria, Lisa, lo salutò, lo guardò percependo che frazioni di secondi avevano creato una corrente sotterranea di complicità fra lei e quegli occhi che distrattamente, innocentemente guardavano nella sua direzione, superandola, per poi spegnersi nell’abito di seta della Signora Elena che, voltandosi, stava uscendo dalla stanza dalla parte opposta.
Ma era poi vero? Ed era questo che lui vedeva? O che intuiva di vedere?
Lui ricambiò il saluto, e offrendole la mano: “L’avvocato è in studio?”
"No" disse Lisa "l’avvocato non era in studio, difficilmente sarebbe tornato, o forse avrebbe potuto fare capolino fra un’ora, ma sarebbe uscito immediatamente, e se non fosse tornato, avrebbe comunque detto di spostare il suo appuntamento alla settimana prossima, perché domani, sabato, sarebbe partito per Capri, al Convegno dei Giovani Industriali, e forse anche lunedì non sarebbe stato in studio".
“La Signora….” “Elena” proseguì Lisa, correggendosi immediatamente: “La Signora Todini” è la cognata dell’avvocato, suo marito è il fratello dell’avvocato.
“La Signora Todini” continuò lui, “penso abbia dimenticato, lì per terra, qualcosa, forse un orecchino, o comunque qualcosa che poteva indossare”
Lisa, guardò, piegò il busto, spinse la sedia verso quello che pareva essere un oggetto lucido e brillante, tese il braccio, aprì la mano, la chiuse, si voltò e semplicemente, senza staccare gli occhi dalla sua mano, disse: “Non credo che sia della Signora Todini, non indossa mai orecchini. Forse è stato smarrito da un’altra persona. La consegnerò all’avvocato”.
Lui non rispose, non la guardò. I suoi occhi erano per la sua immagine riflessa nello specchio che incrociava, in un angolo, sullo specchio opposto, il viso della Signora Todini circondato da una mano che cercava, nell’orecchio sinistro, qualcosa che in quel momento mancava.
Il locale era, come sempre, affollato.
Musica, rumore di voci, camerieri eleganti nella divisa stretta nera che scendeva ai piedi, tintinnio di bicchieri, di posate, sguardi che si incrociavano, bocche che si aprivano su parole mute, nuvole di fumo.
Lui era seduto al solito tavolo, vicino all'ingresso, con le spalle rivolte alla parete a vetri, per poter vedere chi entrava. Dalle spalle, dai capelli, dai gesti che indugiavano sui vestiti, gli piaceva indovinare chi erano i clienti, riconoscerli attraverso il suono delle loro voci.
Lo specchio, posto sulla parete a sinistra, leggermente ricurvo verso il basso, gli consentiva, appena dopo pochi passi dall'ingresso in sala, di sapere se aveva indovinato. Allora c'era uno sguardo distratto, ma sempre molto eloquente, che si incrociava con il Lui o la Lei che per vanità, o semplicemente per cercare qualcuno che si poteva conoscere, si guardava allo specchio.
Lei era entrata da sola. Si era seduta su un piccolo tavolo a destra verso il fondo, preparato per due. Aveva un vestito nero, accollato, attillato, senza maniche. Al braccio una sciarpa di seta blu. I capelli neri raccolti, rivelavano il viso irregolare, mobile, attento.
Era entrata silenziosa e spedita, come chi conosce bene il locale e il tavolo riservato. Non c'erano dubbi, quello era il suo tavolo.
Gli occhi inviavano agli inconsapevoli interlocutori del ristorante, lampi di curiosità, anche se parevano fissi e immobili su un punto. In realtà dietro a quello sguardo apparentemente proiettato sulla superficie levigata della parete di fonte, Elena scrutava, quasi fosse intenta a rilevare ogni singolo movimento delle labbra dei commensali, l'impercettibile attimo in cui lui avrebbe potuto alzarsi e venirle incontro.
Lo fece più tardi, quando le luci si stavano abbassando segnalando, ai pochi che erano rimasti seduti al tavolo, che la chiusura era vicina.
Si avvicinò, si sedette al suo fianco, insieme guardarono i bicchieri vuoti, i piatti ancora ingombri di cibo: "Non ricordo il tuo nome" le disse.
"Elena" soggiunse sempre senza guardarlo "Ma Barbara è il mio vero nome, quello che amo di più"
Ora il suo viso era più vicino e avvertiva un profumo intenso, un sentore di fiori e di agrumi.
Non c'erano barriere fra i loro volti, solo il diaframma invisibile dello specchio che rimandava le loro immagini. I suoi occhi si mossero verso di lei, le labbra si aprirono non per sorridere, parlare, ma per incontrare le sue labbra che lentamente si dischiusero.
Si risvegliò solo. Nel buio non avvertì alcun odore, profumo. La sua camicia era là dove l'aveva lasciata, così come le scarpe, il vestito, la cravatta.
Prese il libro che aveva iniziato, lo sfogliò passando con gli occhi sulle frasi che già ricordava di aver letto. Si fermò su una: "se fosse la sua amante i capelli sarebbero meno aridi, le sue labbra più rosse e piene".
Lo richiuse. Guardò fuori. Pioveva. Pensò che il week end sarebbe stato noioso.
Si rivestì per andare dall'avvocato. Quella pratica stava diventando urgente.
Passò dall'ingresso e prese il soprabito, si guardò allo specchio, si ravvivò i capelli.
Nello stesso istante lei lo guardò, dall'altra stanza, mentre si stava alzando.
di A.P.
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