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Data registrazione: 16-07-2005
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ASIA
L’anziano battitore lasciò l’angolo in cui si era rannicchiato. Fumava un piccolo sigaro nero, la barba incolta, gli occhi rossi per la polvere, tradivano il sonno accumulato nel tempo.
Le mie mani presero la sua, leggermente arcuata, secca e nodosa, in un gesto di complice accordo: gli stavo chiedendo di entrare nella sua casa, di scoprire il velo rosso che celava l’identità dei profumi che non mi volevano lasciare.
“Asia è il suo nome”
“Asia non vive qui”, mi rispose, indicando una vecchia porta verde “Asia, è partita alcuni anni fa per l’occidente”.
Le rughe del suo volto si inarcarono, svelando un dolce sorriso.
Mi incamminai per la strada della Medina, alla ricerca della grata di ferro. I capelli mi coprivano gli occhi, le luci erano ormai fioche.
La rividi, più tardi, mentre ero accovacciato nell’angolo della piazza, avanzava tendendo il suo scialle rosso avvolto sul viso; si fermò davanti allo steccato di legno che divideva la piazza dal terrapieno che dava sulla valle.
Di là, lontano, il cielo ormai scuro inghiottiva le ultime luci del giorno. Il rosso cupo delle montagne si confondeva con il violetto e il blu della prima notte.
Le pieghe del suo abito si agitavano al vento. Mi avvicinai. Il suo sguardo incrociava ora l’ultimo lembo di luce. Si voltò, i suoi grandi occhi neri si aprirono ancora di più cercando la mia ombra, il contorno della mia figura.
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Ho dormito e ho vagato nella notte, e adesso sono qui, davanti allo scenario illuminato di un luogo indefinito nel tempo e nello spazio, dove le luci, i suoni, le persone, non ci sono più. solo emozioni, sensazioni, sapori e profumi della pelle, luci degli sguardi e calore delle mani.
Corpi che si toccano, che si cercano. Il resto non conta più. La notte avanza. La luna è una signora che indossa un vestito blu. Lo scialle di Asia è rimasto a casa. Il suo sguardo scivola sul vento della sera.
L'oro dei colori incrocia il cielo. I capelli si muovono. La presa è forte. Si scivola nel buio.........
Raoul, la mia ombra, mi svegliò. I capelli erano bagnati, la pelle, imperlata di gocce di sudore, era fredda. Faceva freddo.
“Copriti signore” e mi allungò una giubba sulle spalle “All’alba, il freddo ti entra dentro, poi tutto passerà”
“Ho voglia di un caffè, Raoul. Lei dov’è, dove è andata”
Raoul non rispose. Prese le mie mani e le scaldò dentro le sue. Il suo sguardo penetrante dei suoi occhi neri, mi dicevano di non pensarci, volevano tranquillizzarmi, sorridevano cercando un guizzo, un lampo nei miei che gli confermassero che il problema era passato.
Dopo, più tardi, mi disse che avevo sognato, parlato nel sonno. Avevo pronunciato più volte quel nome.
Ma perché? Dove avevo incontrato Asia? Dove avevo visto quel volto, quegli occhi?
E perché Asia non mi aveva riconosciuto?
Il giorno è cresciuto, le luci sono nitide, ora che le mie cose sono state portate via, tengo nelle mani solo le carte del viaggio, una borsa con i documenti e due o tre cose che tengo ancora di lei.
Il ricordo di quanto si passeggiava lungo la Senna, di sera, sono i colori sfumati delle foglie sulla acqua del fiume, si mescola a quando mi sorrise dicendomi:
“Ma perché non parti per l’oriente?”
Avevo paura allora di perderti, credevo che andandomene non ti avrei più vista, e tu, ancora:
“Ho molti amici che ti possono ospitare, là mio padre ha ancora conoscenti, parenti, poi quando mia madre avrà sistemato le sue cose, verrò anch’io”
Sapevo che queste parole non erano vere, sapevo che tu non saresti mai venuta, ormai la tua terra non è più qui.
Quanto tempo è passato: sei anni, dieci anni? Non ricordo più. Forse di più.
Ora sei una donna, viaggi, hai potere, denaro. Hai successo.
Allora ridevi, ma anche ti adombravi, se qualcuno ti diceva che avevi talento, che avresti avuto un grande avvenire. I soldi non ti interessavano, li disprezzavi.
Il tuo modello era un altro: sentimenti forti, giustizia per il tuo popolo, uguaglianza per le donne. Ideali, ideali.
Cosa ci faceva quella mattina in Rue de Thorigny, in quella stanza davanti a un quadro di Picasso? L'istinto la portava li' ogni volta che doveva riconciliarsi col mondo, ogni volta che aveva bisogno di trovare la pace, ogni volta che non poteva fare a meno di pensare a lui e lui non c'era, era lontano, chissà dove, chissà con chi. Guardando quelle tele, quei tratti stilizzati, quei colori a volte violenti, quelle espressioni enigmatiche riusciva a ricucire una parte della sua anima strappata, riusciva a confortarsi pensando che qualcuno prima di lei aveva provato sensazioni forti e le aveva personificate per sempre nei suoi quadri, quasi volesse dire al mondo: "Guardate...questo e' l'amore, questa e' la passione, questo e' l'odio, questa e' la tenerezza..." e cosi' via per tutti i sentimenti umani. Le piaceva vedere esternato quello che lei spesso non riusciva ad esternare. E poi guardando quella stanza le tornava alla mente un'altra stanza, un altra citta' : N.Y....Museum of Modern Art ...12 anni prima, la prima volta che l'aveva visto, che si erano guardati negli occhi solo per un attimo davanti a un quadro di Picasso "Les Demoiselles d'Avignon".
L'ora della preghiera, il momento della riflessione, della meditazione.
Mi sono accovacciato, il gatto con le sue piccole zampe bianche e nere stringeva un lembo della mia djellaba, la morsicava, voleva giocare lui.
I suoi occhi gialli, striati di verde, guardavano adesso là in un punto dell'orizzonte. Anch'io adesso guardavo in quel punto senza sapere come e perché. Ricordavo i frammenti del sogno. Desideravo ricordarli.
Il sogno, quel sogno, mi ha portato dinanzi alla grande cattedrale di Reims, in un pallido mattino di autunno, nebbioso, con le luci che filtravano attraverso i vetri opachi della finestra.
Faceva freddo, la sua coperta arabescata buttata sulla poltrona. Era stata lì?
Il suo profumo filtrava dal tessuto, si adagiava sulle mie mani.
Il suo viso, adesso di profilo, compariva e scompariva.
Avevamo parlato di Klimt, della retrospettiva che avevamo, la sera prima, visto con ansia, con furore, quasi volessimo entrare in quei colori, in quella vertigine di immagini.
A me piaceva abbinare al colore una sensazione, a lei invece piacevano le posizioni dei corpi. L'abbandono, il desiderio, la fuga, la lotta.
Io avrei voluto giocare con i suoi capelli, cercare nei suoi occhi le risposte che andavo da tempo facendo a me stesso.
Quelle risposte che nessun filosofo, nessun pedagogo mi aveva dato. L'amore, la passione. Si può avere l'amore senza la passione? E la passione è una solo una componente fuggitiva dell'amore?
Raoul mi ha detto che il viaggio sarà lungo, a otto ore di cammino vedremo le prime case, le prime luci della vita.
Gli arabeschi delle volte delle finestre della casa di fronte si illuminarono di rosa. Una donna, in ginocchio vicino ad un piccolo letto, stringeva una piccola mano, una voce cantilenava una ninna nanna.
Tutto adesso era pace e gioia. Sono partito.
Il sedile mi cullava ancora, i cavalli correvano sulla pista sabbiosa, i miei compagni guardavano avanti, gli occhi sulla strada, stretti come fessure per il sole forte, accecante del mattino.
Intorno a noi solo pietre, pianure arse, senza segnali di vita.
La nostra missione iniziava quel giorno.
Raoul, avvicinandosi, mi accennò col capo che stavamo passando il confine: da ora in avanti il rischio di essere fermati era più alto.
I soldati del generale si sarebbero materializzati in ogni momento, dietro ad una collina, ad una svolta, fra le rocce di un guado.
Io stringevo la mia sacca, la mia giacca, i miei ricordi.
Le notti insonni passate a leggere, a studiare, a capire come avrei potuto essere diverso, in un paese, in una città, con popoli e culture che non mi appartenevano.
L’incontro con i compagni che studiavano e credevano che in Occidente avrebbero potuto modificare le traiettorie dei loro destini e indirizzarle verso la giustizia sociale, lo sviluppo economico, un benessere amico.
E tu, audace, emancipata, indifferente alle regole della tua storia, che pensavi che da lì fosse possibile mettere in atto una vera rivoluzione e rinascita del nostro popolo.
di A.P.
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