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13-03-2003, 23.56.33 | #12 |
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parlando di fiabe e con immensa vergogna...
parlando di fiabe e con immensa vergogna mi è venuta voglia di...
raccontarvi una favola. I due ciliegi C’erano una volta, tanti anni fa… Un bambino e una bambina. Lei aveva gli occhi del colore del cielo quando risplende in uno dei più lucenti pomeriggi di primavera. Lui del colore della notte, di una di quelle limpide nottate d’Agosto, quando la vita respira nei campi e quando nel cielo si accendono tutte le stelle per festeggiare la freschezza del vento. Il bambino viveva felice in una casa di sassi ai limiti del bosco. La bimba invece viveva in una grande villa poco più oltre. Una bellissima villa dorata circondata da un giardino incantato, pieno di magnifici grandi fiori rari dai profumi delicati e dolcissimi. Il giardino con tutti i suoi fiori, le sue piante, le sue fontane e le altre meraviglie che conteneva, era a disposizione della bambina. E tutto avrebbe potuto essere meraviglioso …………………………………………………….. Ai confini del giardino c’era una siepe di piante rampicanti di una specie rarissima, che lasciavamo ricadere, verso chi le guardava, grossi grappoli di fiori bianchi, con venature d’oro e di tutti i colori dell’iride. Il profumo di quei fiori era il più dolce che si possa immaginare e quando la brezza li sfiorava, dai loro stami usciva una musica delicata, come un concerto di carillon. La bambina, tutte le volte che giungeva ai confini del giardino, rimaneva per ore ed ore ad ascoltare la musica di quei fiori. Per lei, al di là di quella siepe non esisteva nulla. Ma un giorno un usignolo, con il suo dolce canto, la distrasse dal concerto dei fiori e la condusse fino ad un passaggio nella siepe. Al di là della siepe tutto era molto diverso da quello a cui la bambina era abituata: c’era una grande cancellata con sbarre grosse come tronchi d’albero e, quel che è peggio, da quel lato la siepe mostrava delle lunghe spine acuminate che facevano sgorgare il sangue dalle mani della bimba, delicate come petali di rose. Ma al di là della cancellata c’era uno spettacolo del tutto nuovo. Di fronte a quegli occhi stupiti si stendeva un grande prato ondulato con l’erba di un verde tenero tenero, che sembrava una distesa di muschio. Poco più in là c’era il bosco, simile ad una muraglia maestosa e nera che faceva paura. Come a separare il prato dal bosco c’era una piccola casa di sassi. Accanto alla casa un bambino stava giocando con un agnello. La bambina non aveva mai visto nulla di simile. In vita sua aveva visto solo fiori. Fiori meravigliosi, fiori che cantavano, che danzavano, che suonavano come mille carillon, ma solo fiori. Il bambino, ruzzolando sull’erba soffice, si avvicinò alla cancellata e solo allora vide la bambina. Si fermò incantato, perché quella bambina aveva gli occhi del colore del cielo d’Aprile ed i capelli fini come la seta e del colore dell’oro più lucente, perché quella bambina era la cosa più bella che gli fosse mai capitato di vedere. La bambina pure lo guardò, perché quel bambino aveva gli occhi del colore delle nottate d’Agosto ed a guardarli pareva che cento stelle cantassero le canzoni più dolci e malinconiche che ci sono. La bambina tese la mano verso il prato, verso il bambino e verso l’agnello con cui giocava, ma le sue mani si ferirono contro le spine della siepe ed il suo sangue e le sue lacrime formarono un lago di luce. Ora sono passati tanti anni e la villa incantata e stata consumata dal tempo ed appare solo vagamente nelle giornate di nebbia. Il lago di luce è ancora là, e lo vedi nei pomeriggi di aprile, quando il cielo è fresco e pulito e non c’è neanche una piccola nuvola bianca, o nelle lunghe serate d’agosto quando le stelle occupano tutto il cielo e non c’è più nemmeno lo spazio per la notte. E puoi ancora vedere i due bambini, nel prato al limite del bosco, che tendono un o verso l’altra le candide mani fiorite, o rosse gocce di sangue o fresche carezze di brezza. Sono la cosa più bella che ci sia, su quel prato al limite del bosco. Il lago di luce è ai loro piedi e lo vedi apparire e sparire tra le fronde dei due ciliegi. |
14-03-2003, 00.24.29 | #13 |
Ospite
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Stupendo, non c'è nulla da dire...
Potente, evocativo, fecondo di una densità primordiale e abbacinante. Brava, Fragola. Ecco, una fiaba del genere è un esempio di quello che volevo dire: non ha una "necessità". Come tutta l'arte, è perfettamente, dolcissimamente, ancestralmente "inutile". Parlare di "necessità" significa iscrivere la fiaba nel circuito del nostro accadere, in maniera - dicevo - strumentale, contingente, accessoria. Ecco perché non sono d'accordo che "servano" per crescere. Per crescere dove? Qui, tra lo smog e gli spettri di una guerra alle porte ? No, non credo. Ma la tua precisazione chiarisce ciò che io stesso volevo dire, ed io non posso che plaudire e condividere al 200 per cento: l'humus della favola è l'interiorità, il Mondo vivo che sta a metà strada tra la mia carne e la mia pelle, là dove il giorno e la notte sfumano vibrando ai rintocchi del cuore. Senza necessità, senza compromessi. Senza perché. Là sono le favole, ed esse soltanto. Le favole stesse SONO quel mondo. Dar loro un'altra casa significa ferirle con i rovi impertinenti di un limitare troppo ostile. Significa ingabbiarle in un cielo troppo basso. Significa estirpare la siepe, e rubare a nuovi fiori un profumo troppo amaro. |
14-03-2003, 00.27.38 | #14 |
Ospite abituale
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Sì,la sacralità insita nelle fiabe va ricondotta anche al particolare procedere dialettico della narrazione...A partire dall'arcana solennità dell'incipit "C'era una volta...".Che,azzerando all'istante ogni contingenza accessoria,ci trasporta,in un battito di ciglia,nell'Altrove incantato e a-storico che oggettiva la nostra Interiorità.
A proposito dei Saggi di ogni tempo e luogo,che affidarano a narrazioni "favolistiche" il loro insegnamento...ora mi vengono in mente i Jataka...la raccolta delle vite del Buddha precedenti la sua ultima incarnazione...Che iniziano,invariabilmente,in questo modo: "Un tempo,quando a Benares regnava Bradhamatta...." |
14-03-2003, 00.53.02 | #16 |
Ospite abituale
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Fiabe per "crescere":in che modo?
Non per "migliorare"...o per "imparare"...o quant'altro.
Ma per tornare ad essere quello che siamo,e che la vita ci fa disimparare ad essere. Fiabe,semplicemente per...tornare a casa. |
14-03-2003, 00.57.30 | #17 | |
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Citazione:
Grazie Gwjdjon, Grazie Irene. Grazie grazie grazie. Una piccola precisazione per Gwydjon: non ho detto che servono ma che sono necessarie. Sembrano sinonimi ma non lo sono. E riguardo al crescere ... dipende dal significato che gli dai. ... ma questa è un'altra storia e la dovremo raccontare un'altra volta un sacco di baci a tutti |
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14-03-2003, 07.23.49 | #18 |
tra sogno ed estasi...
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Perdonate, se mi è concesso interrompere un dialogo cosi perfetto...vorrei solo dire al caro gwydjon che forse, le favole servono per crescere... almeno dal punto di vista della fantasia. Non so se ti sei accorto nei tuoi vari studi, sai, talvolta si è talmente presi dalla ricerca...che si perdono di vista le cose semplici...
Un bambino necessita di nutrimento per la fantasia, e cosa c'è di meglio d'una narrazione fantastica per evocare immagini, colori, suoni...talvolta sogni... Tutto questo serve.... serve molto... Si parte con semplici favole per finire con romanzi d'autore... io lo vedo un po' come l'inizio di un cammino nel mondo della fantasia. Ok..l'ho detto, ora mi dileguo tra dolci ed antiche melodie che lente condurranno questo cuore affranto tra le nuovole di quel mondo che l'umano chiama fantasia... tra sogno ed estasi..unico luogo ove le mie stanche membra trovano riposo.... buona giornata... |
14-03-2003, 09.29.17 | #19 |
Ospite
Data registrazione: 02-03-2003
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Certo, DD. Quello che dici è inoppugnabile, e io non intendo assolutamente smentirlo. Ma la mia osservazione si muove su di un altro piano: se le fiabe servono a coltivare la fantasia, a sua volta la fantasia "a che serve" ? Ha un valore solo strumentale, cioè come preparazione per vivere meglio la vita quotidiana (cosa che anche gli studi scientifici hanno provato) ? Oppure c'è altro ?
E più in genere: una cosa deve "servire" per avere dignità di pensiero ? E che cos'è veramente la fantasia: un mezzo o un fine ? Gli interventi precedenti rispondono per buona parte a queste domande. Credo che sia io, sia Fragola, sia Irene concordiamo che le favole ci aiutino a "ritrovare casa" (l'espressione è di irene). Ma dove? Dove abitiamo veramente? In quale mondo? Qual è il vero mondo che ci è stato dato? Forse proprio quello in cui, cullata da dolci e antiche melodie, tu stessa trovi riparo. Beh... lì ci siamo tutti, io, tu, miriadi di esseri che sui nostri tram, nei nostri uffici, nel deserto delle nostre vacuità sono stati sfrattati. Lì ci siamo tutti, e c'è infinitamente di più. Ecco, sono sicuro che sarai d'accordo con me se dico che certamente non si può vivere "nelle" favole, ma vivere LE favole è un dovere di ogni essere umano degno di questo nome. P.S. Non ti dileguare, resta con noi... |
14-03-2003, 22.18.30 | #20 |
Ospite abituale
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Minima moralia...
La felicità individuale passa attraverso l'attitudine incorrotta allo stupore,e alla fantasia.Cioè attraverso la fedeltà alla propria infanzia,che in noi ridesta la nostalgia della natura arcaica,e della conseguente inseparatezza tra individuo,società,e natura.
"Che cosa avrebbero di piacevole per noi anche un semplice fiore,una sorgente,una pietra coperta di muschio,il cinguettio degli uccelli,il ronzio delle api,etc,per sè stessi?Che cosa potrebbe dar loro una pretesa al nostro amore?Non sono questi oggetti,è un'IDEA da essi rappresentata ciò che noi amiamo in loro(...) Essi sono ciò che noi fummo. Essi sono ciò che noi torneremo ad essere. Noi eravamo natura,come loro,e la nostra cultura ci deve ricondurre,per le vie della ragione e della libertà,alla natura". (Friedrich Schiller-Della poesia ingenua e sentimentale) |