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Le finestre dell'anima di Guido Brunetti

Le Finestre dell'Anima

di Guido Brunetti   indice articoli

 

L'anima: dalla metafisica alle neuroscienze.
Concezione trinitaria della persona.

Settembre 2018

 

Introduzione

Cenni storici

Dualismo e Monismo

Il Novecento. Le neuroscienze

Concezione trinitaria della persona

Conclusioni

 

Introduzione

Il seminario scientifico sulla “Coscienza” organizzato a Dobbiaco (Bolzano) dal 31 luglio al 4 agosto 2018 dal Collegio Universitario Villa Nazareth di Roma è stato un evento culturale e scientifico. La cultura è conoscenza e la conoscenza è uno dei massimi valori dell’umanità. Siamo giunti all’Homo sapiens in virtù dell’evoluzione biologica e dell’evoluzione culturale. Una teoria già sostenuta da Socrate (470 a.C.) e Platone (428), il padre della filosofia occidentale.

Che cosa è il bene? Il bene - risponde Socrate - è la conoscenza. Che cosa è il male? Il male – aggiunge - è l’ignoranza. Anzitutto, bisogna curare l’anima e renderla la migliore possibile. Perché? Perché l’anima - afferma Platone - dà origine al bene, alla virtù.

È il miracolo del cervello. Un cervello definito dai neuro scienziati la struttura più complessa e straordinaria dell’universo conosciuto. Una realtà intuita da scrittori e poeti.

Emily Dickinson, la più grande poetessa americana, in una bellissima poesia del 1861 così canta: “Il cervello è più grande del cielo, il cervello è più profondo del mare”. Un’altra poetessa, Maria Luisa Spagnoli, ha scritto che il cervello è sterminato.

Il premio Nobel per la medicina, Rita Levi-Montalcini, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e di essere stato ospite nella sua casa a Roma, mi ripeteva che il cervello non ha colonne d’Ercole, è infinito.

È in atto una rivoluzione scientifica destinata a sconvolgere non soltanto i metodi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma la nostra visione del mondo e le nostre stesse concezioni millenarie a partire dai sistemi filosofici.

 

Cenni storici

Storicamente, i più antichi studi sul cervello risalgono alla medicina egiziana e greca. Il termine cervello compare la prima volta in un papiro egiziano del XVII secolo a.C. nel quale sono contenuti notevoli osservazioni mediche.

La medicina egiziana e quella greco-romana danno più importanza al cuore che al cervello. Vedono nel cuore il centro di controllo del corpo e delle funzioni psichiche, come sentimenti, emozioni e affetti. Alcmeone di Crotone, VI secolo a.C.  è il primo medico a sostenere l’ipotesi della localizzazione delle funzioni psichiche nel cervello, ritenendo che le malattie mentali dipendessero da disturbi del cervello. Il cervello è la sede dell’anima, sostanza immortale. In questa linea si pongono anche Pitagora, Democrito e Platone, i quali attribuiscono al cervello la funzione di centro delle attività cognitive. Per la medicina cinese invece, la coscienza è associata alla milza e ai reni.

Contro il cardiocentrismo è Ippocrate (460 a.C.), il padre della medicina greca, a sostenere la centralità del cervello, precisando che il corpo umano è un sistema organizzato sotto il comando del cervello. Tutto, per Ippocrate, proviene dal cervello: gioie, dolori, piaceri, pianti. È nel cervello che hanno dimora la follia e il delirio. È il cervello che ci consente di pensare, comprendere, ascoltare, distinguere le cose brutte e le cose belle, le buone e le cattive. Il pensiero medico della scuola ippocratica costituisce un archetipo per la medicina dell’antichità fino all’Ottocento. Da parte sua, anche l’antica cultura medica biblica coinvolge il corpo e l’anima e ritiene che la medicina sia utile per la cura dei mali dell’anima.

La neurobiologia del cervello e del sistema nervoso comincia a svilupparsi nel Medioevo in direzione della scienza moderna, attraverso un graduale processo sotto la spinta di alcune università europee, come Salerno, Bologna, Padova, Pisa, Roma.

Il cervello, dunque, una massa gelatinosa di circa 1400 grammi, che assomiglia ad una noce e ha la consistenza di un avocado, è costituito di 100 miliardi di neuroni, che hanno proprietà prodigiose. La loro magia è la capacità di comunicare l’un l’altro. Ha poi una peculiarità speciale e misteriosa: è la sede della mente e della coscienza. Quando le connessioni neurali si interrompono possono nascere diverse patologie, come il morbo di Parkinson e l’epilessia.

Suggestive e affascinanti le definizioni. Il cervello è l’organo più complicato dell’universo (Ramaschandran), l’ultima frontiera (Restak), la più grande sfida biologica (Rose), l’evento più elaborato del creato (Davis), la realizzazione della vita mentale e della coscienza (Marcus). Sembra l’organo di una chiesa. È la radice del linguaggio, dell’arte, della poesia, dell’amore e dell’odio. È diverso da qualsiasi altra struttura dell’universo (Restak).

Se allineati, i neuroni formerebbero un percorso lungo più di tre milioni di chilometri (Kandel). Ogni singola cellula ha collegamenti diretti in media con altri 10mila cellule. Nel cervello dunque si troverebbero un milione di miliardi di connessioni tra neuroni (Siegel).

Per contare il numero di collegamenti tra neuroni al ritmo di uno al secondo occorrerebbero 32 milioni di anni. Cento miliardi di neuroni corrispondono al numero di stelle presenti nella nostra Galassia o al numero di esseri umani mai vissuti. Il cervello insomma, come ha scritto Einstein, nasconde i suoi segreti non perché ci inganni, ma perché è “essenzialmente sublime”.

 

Per noi, cervello, mente e coscienza hanno un grande fascino. Sembrano creati - afferma Platone con una bella immagine poetica - mediante “gli accordi musicali”. Ma hanno anche un fascino ambiguo (è il titolo di un mio libro). Possono produrre il Requiem di Mozart, la Cappella Sistina, la Divina Commedia, il verso elegante di Petrarca, la sinfonia di Beethoven, il ritmo musicale di Leopardi, la potenza artistica di Michelangelo, il genio di Leonardo, la bellezza unica dell’arte di Raffaello. Ma possono generare anche Auschwitz, Hiroshìma e le tante tragedie, come la sindrome di Medea, una figura della tragedia greca di Euripide che uccide i propri figli, l’“Orestea” di Eschilo, la “Figlia di Jorio” di D’Annunzio, i “Fratelli Karamàzov” di Dostoevskij fino ai tanti drammi quotidiani. Una combinazione di miseria e nobiltà, eros e thanatos, vita e morte, una pulsione di distruzione e autodistruzione, odio e amore, egoismo e altruismo, generosità e malvagità, gioia e dolore e follia, come aveva già intuito Ippocrate, il padre della medicina. Un caleidoscopio di cose, di fatti. Essi appaiono, come ha scritto il neuro scienziato Sherrington, come un “telaio incantato, che tesse e ritesse un disegno sempre nuovo e denso di nuove idee e pensieri, nuove emozioni e nuovi sentimenti e creatività. In questa armonia sempre mutevole e in questa sinfonia di luci e colori, c’è il miracolo della nostra unicità”. Non esistono due cervelli o due individui identici. Siamo unici e irripetibili, a motivo della diversità delle connessioni neurali, della genetica e delle esperienze quotidiane. Sono temi che hanno attirato l’attenzione prima di filosofi e teologi, poi quella di antropologi, biologi, genetisti, neurologi, e ultimamente economisti.

Fin dall’alba della vita, l’uomo ha cercato di riflettere sul suo destino, ed ha avvertito la necessità dell’idea di anima, spirito, credenze, sacro, trascendente, Dio, in un cosmo cioè dominato dal senso del soprannaturale e da una mente popolata di divinità, demoni, fantasmi e paure ancestrali. Nel tempo, i pensatori hanno fornito spiegazioni diverse, come la volontà divina, l’ordine del cosmo, la libertà soggettiva, la ragione, la cultura, i sentimenti morali. Nel mondo della letteratura, l’opera omerica mostra che alla morte dell’uomo, lo spirito si allontana dal corpo e va a dimorare nell’Ade, il regno delle anime senza luce e gioia. Nei miti cosmogonici (spiegazione sull’origine del mondo) della Mesopotamia, è descritta l’infusione di un’anima nella materia da parte di un creatore.

Nel pensiero dell’Occidente, si fa strada il modello di un’anima spirituale quale elemento dell’uomo (anima est forma corporis), il quale è composto da due parti distinte, corpo e anima. Si assume che l’anima provenga da un creatore sotto forma di alito o soffio. Nella riflessione tradizionale, l’anima indica “l’oggetto metafisico (ciò che sta al di là delle esperienze, della materia, studio dell’essere) per eccellenza” e viene assunta come il principio della vita e delle attività spirituali. Così, l’anima è aria per Anassimene, armonia per Pitagora, fuoco per Eraclito, atomi per Democrito, interiorità spirituale per Plotino. Essa è stata considerata come una trilogia composta di cognizione, emozione e conazione (motivazione). Una tripartizione dell’anima viene operata da Platone e Aristotele (384 a.C.). È trinitario anche il modello proposto da Freud (Es, Io e Super-Ego). In campo neuro scientifico, uno dei massimi esponenti in materia, Paul MacLean, concepisce il cervello come una struttura trinitaria (triune brain) formata da tre elementi sovrapposti: il cervello rettiliano, che ha la struttura e il comportamento del rettile, sede dell’aggressività e della violenza, il cervello mammaliano (cioè dei mammiferi) e il neocervello, che è la struttura più nobile del cervello, sede del pensiero, dell’arte e della creatività. Un cervello funzionale unitario. Un cervello uno e trino.

Il termine anima, dal greco “anemos”, vento, compare la prima volta in Socrate e viene indicata con parole che si riferiscono al respiro, allo spirito, al pneuma, alla psiche o al battito delle ali. Una delle prime rappresentazioni dell’anima è quella di un uccello che si appresta a intraprendere il viaggio nell’aldilà.

Già nell’arte preistorica, nel simbolismo di molte culture e nei testi dell’Induismo, uccelli e colombe sono l’allegoria dell’anima immateriale e immortale, che vola nell’aldilà dopo la morte. Nel cristianesimo, essi raffigurano non solo l’anima, ma anche gli angeli e lo Spirito Santo.

Platone chiamava l’anima “anima bella”, Adriano “animula, vagula, blandula, cioè“piccola anima, dolce e vagabonda, ospite e compagna del corpo e Dante “l’angelica farfalla”. Presso gli Egizi, i Greci e i Romani, l’anima è vista come principio di vita, immateriale e immortale. L’idea di anima è un concetto della cultura greca, non un concetto biblico. Per la Bibbia, l’uomo è “corpo animato, non anima incarnata”. È unità psicosomatica inscindibile, un’entità singola.

Nel pensiero classico, nella letteratura e nella filosofia scolastica medievale “conscientia” si riferisce alla coscienza morale, ad uno spazio interiore, ma anche ad un processo di “integrazione”, alla capacità di legare le cose insieme, quelle della nostra esperienza cosciente e quelle del mondo in cui viviamo. Emerge una interessante prospettiva: l’unità di coscienza, considerata come una proprietà del cervello. La nozione di coscienza comprende quindi sia la possibilità di conoscersi in modo diretto (aspetto teorico) sia la possibilità di “autogiudicarsi” (aspetto morale).

 

Dualismo e Monismo

Siamo in presenza dell’esistenza di due principi ontologici (ontologia: parte della filosofia che studia i caratteri universali dell’essere, principio di tutte le cose): uno immateriale - l’anima -; l’altro, materiale, il corpo, il cervello. Questa concezione viene chiamata dualismo metafisico in quanto concepisce l’essere umano come sostanza duale composta di anima, sostanza autonoma, immortale, principio di tutte le cose (Pitagora), e corpo. Mente-cosciente e corpo sono due mondi distinti e diversi.

Nelle culture, nelle religioni e nelle correnti filosofiche, la distinzione tra anima e corpo come due dimensioni dell’uomo è tradizionale.

Oggi, essendosi persa la nozione di anima, si parla della dualità mente-corpo (Mind-Body-Problem) e mente-cervello (Mind-Brain-Problem). È un dualismo definito “il problema dei problemi”.

Il termine dualismo indica quindi la teoria che sostiene l’esistenza di due dimensioni dell’essere umano, una corporea e un’altra incorporea, tradizionalmente definita anima, spirito, mente, soffio, pneuma, coscienza, psiche, ragione, intelletto.

Il dualismo religioso sostiene la credenza nella immortalità dell’anima, come forma del corpo, e creata direttamente da Dio.

Il dualismo classico, con Platone, Aristotele, sant’Agostino e san Tommaso, afferma l’esistenza del binomio anima-corpo. Nella concezione platonica, l’anima (concupiscibile, irascibile, razionale) è concepita come una sostanza che dirige il corpo. Coscienza, per Platone è il “dialogo interiore e spirituale dell’anima con sé stessa”. Nell’aristotelismo invece, l’anima (vegetativa, sensitiva, intellettiva) ha il ruolo di forma o atto di una materia dotata di organizzazione vitale. È un’anima razionale. Per Agostino e Tommaso d’Aquino, corpo e anima costituiscono l’unità della persona. La coscienza è la capacità di auscultazione interiore, è coscienza morale, è sintèresi, un insieme di principi che ci spingono a distinguere il bene dal male.

Nel pensiero moderno, è soprattutto con Cartesio (1596) che la nozione di coscienza e mente comincia a prevalere sulla nozione tradizionale di anima. L’uomo - egli dice - è costituito da due sostanze ontologicamente distinte e differenti: la res cogitans (mente, sostanza immateriale, il pensiero) e res extensa (corpo, materia, cervello).  Il suo “cogito ergo sum” è l’esistenza della coscienza, dell’Io.

Anche le teorie moderne di dualismo, come ad esempio quelle di Eccles e di Popper, insistono sulla distinzione tra atti mentali o coscienti e atti cerebrali, neurali. Altri autori contemporanei sostengono il dualismo mente-corpo o coscienza-cervello senza alludere all’anima. Oggi, il dualismo viene rifiutato sia dalle neuroscienze che dalla psicoanalisi e in generale dalla filosofia.

In opposizione al dualismo, le teorie moniste-materialistiche o fisicaliste non riconoscono realtà a nulla che non sia fisico. Tutto è fisico. L’uomo è “Homo cerebralis”. Non c’è alcuna anima. Non c’è alcuna mente. Esiste solo ciò che è visibile, perché osservabile e quantificabile scientificamente.

Numerose le teorie. Si va dalla teoria idealistica, tutto è mentale, al materialismo eliminativo, la mente non esiste, al materialismo di Crick, premio Nobel per la scoperta con Watson, della struttura del DNA, il quale scrive che l’uomo non è altro che il “prodotto” dell’attività dei neuroni. Per il materialismo riduttivo o fisicalismo, infine, la mente è il risultato di uno stato fisico. L’ipotesi è che mente e coscienza siano state progettate dall’evoluzione nel corso di milioni di anni.

 

Il Novecento. Le neuroscienze

La spiegazione dell’atto mentale come atto fisico ci porta al cuore delle neuroscienze e ai metodi delle scienze positive (riduzionismo). C’è una svolta radicale.

Fino al ‘900, i concetti di anima, mente e coscienza rimangono al di fuori della scienza, restando patrimonio esclusivo della psicoanalisi, della filosofia, della psicologia, dell’etica e della religione. Non esistono teorie rigorose sull’intelligenza, la mente, il pensiero, l’emozione. Tutto cambia a partire dagli anni Ottanta, quando le nuove neuroscienze s’impadroniscono del concetto di cervello, mente e coscienza, grazie alle meravigliose metodiche di brain imaging (visualizzazione del cervello), della genetica e della biologia molecolare.

È una rivoluzione scientifica: un enigma psicoanalitico e filosofico diventa un fenomeno da studiare scientificamente in laboratorio, trasformando così lo studio della mente e della coscienza in una scienza sperimentale.

La nuova scienza del cervello rifiuta pertanto una impostazione psicoanalitica e filosofica e diventa una disciplina autonoma. Essa si basa sul concetto che cervello e mente non sono due realtà distinte (dualismo), ma identiche (monismo).

Tutto ciò che si è potuto offrire per spiegare il comportamento è stata la psicoanalisi. La psicoanalisi ha cercato di esaminare la mente in termini di conscio e inconscio, ma non è riuscita a formulare una teoria chiaramente verificabile, poiché non possiede gli strumenti scientifici per verificarla.

I neuro scienziati sono convinti che la mente e la coscienza possono dunque essere indagate sperimentalmente.

Punto di partenza è il cervello. Tutto, per le neuroscienze, è creato dal cervello, un concetto già avvertito da Ippocrate. Anima, mente, coscienza, autocoscienza, conoscenza sono eventi dell’attività cerebrale, la quale si origina dai geni. Si delinea l’affermazione della preminenza della teoria dell’unità corpo-cervello-mente-coscienza (MacDonald). L’anima diventa un tabù e non compare in nessuna pubblicazione scientifica seria. Nelle nuove neuroscienze non c’è posto per l’idea di anima immateriale.

I metodi di brain imaging  permettono di osservare “in vivo” che cosa accade nel cervello mentre un soggetto compie varie attività (Panksepp); permette di conoscere molti meccanismi cerebrali, scoprire i correlati neurali dell’attività mentale, le connessioni tra sinapsi e tra neuroni e le anomalie del cervello nelle varie patologie mentali, fornendo una grande quantità di dati.

Finora, i risultati sono meravigliosi. Abbiamo ottenuto formidabili scoperte e progressi, riguardanti la neuro plasticità del cervello, la neuro genesi, i neuroni specchio, la memoria, l’apprendimento, le emozioni, la genetica, la percezione, l’aggressività, la devianza, l’etica, l’arte, le malattie psichiatriche e neurologiche, ecc. Abbiamo scoperto poi che il DNA degli esseri umani e quello degli scimpanzé sono simili al 98,5 per cento. Ma, lo ribadiamo, siamo unici e diversi.

Siamo ancora all’inizio. Cervello, mente e coscienza sono tre parole magiche e inafferrabili, che tuttavia nascondono ancora abissi di ignoranza. Non sappiamo quasi nulla. Con le nuove neuroscienze stiamo partendo da zero.

Si tratta di entità così sfuggenti e insondabili che, secondo autorevoli neuro scienziati, non possono essere sottoposte a indagine scientifica e dunque non possono essere conosciute. Sono tra i grandi misteri dell’universo. È il grande profundum di sant’Agostino, il “mysterium tremendum” (Raul Otto), il mistero profondo di Gogol’. “Ignoramus, ignorabimus” ha sostenuto il neurobiologo Du Bois. Illustri neuro scienziati, come Penfield e i premi Nobel Eccles e Sperry, si sono inchinati di fronte all’enigma della mente e della coscienza, di come una struttura materiale, il cervello, possa generare un’attività immateriale, la mente.

Altri neuro scienziati ritengono invece che un giorno si possa arrivare a comprendere la genesi e l’essenza di cervello, mente e coscienza.

Prima dell’avvento delle neuroscienze, le argomentazioni hanno avuto carattere speculativo, senza cioè base scientifica.

La mente? La coscienza? È “the big one”. È il problema numero uno delle neuroscienze. È un mondo fenomenologico fatto di pensieri, idee, emozioni, rappresentazioni, ricordi, conoscenza, intelletto. Un vissuto personale, privato, unico, come tale insondabile.

Come si fa a conoscere e spiegare, ad esempio, la rossità del rosso, la verdezza del verde, la dolorosità del dolore? Che cosa si prova - si è chiesto provocatoriamente qualche autore (Nagel) - ad essere un pipistrello?

La coscienza? Sembra la cosa più semplice. Ci fa sempre compagnia. Ma poi si rivela la cosa più difficile del mondo. Ha una dimensione polisemica. Sul piano neurologico e medico, è vigilanza, stato di veglia. E poi? È la soggettività? È l’autocoscienza? È il pensiero? È la mente? È parte della mente? Non abbiamo trovato ancora una definizione operativa. Le spiegazioni si rivelano concetti generici, imprecisi, ambivalenti.

Per Freud, la coscienza è una proprietà della mente, ma la maggior parte dell’attività della mente è “inconscia”. Una recente ricerca ha confermato questa teoria, mostrando che il 95 per cento dell’attività mentale è inconscia. La coscienza?

Solo il 5 per cento. Una scoperta rivoluzionaria al riguardo ha indicato che il cervello esegue un’azione prima che ne siamo coscienti, cioè tra i 500 e i 1000 millisecondi prima.

La coscienza è un’entità sfuggente. È impossibile - ha scritto Stuart Sutherland - specificare che cosa siano la mente e la coscienza e che cosa facciano. Su di esse non è stato scritto nulla che valga la pena di essere letto. Alcuni autori (Changeux) ritengono poi che la coscienza è presente fin dalla nascita. Esperimenti in materia mostrano che a 5 mesi il bambino riconosce i volti (G.Dehaene-Lambertz).

Ma proprio perché non conosciamo la loro natura, dobbiamo impegnarci a indagare per scoprire il loro funzionamento, cosa che sta avvenendo negli ultimi anni nei laboratori dei diversi Paesi del mondo. Eppure il termine cervello compare per la prima volta in un papiro egiziano nel XVII secolo a. C.

Come si procede? Come tutte le scienze empiriche, le nuove neuroscienze procedono con il metodo riduttivo, un metodo che produce fatti e dati obiettivi e non congetture o fantasie. Le neuroscienze, precisa il premio Nobel Eric Kandel, non sono una filosofia sulla quale discettare, ma un procedimento scientifico fondato sul riduzionismo.

Il riduzionismo è un sistema scientifico che ha il compito di scoprire e spiegare la natura delle cose attraverso evidenze sperimentali. Ridurre un fenomeno A ad un altro B è sostenere che A non è che B. Si parte dai neuroni e dai meccanismi del cervello, assumendo che gli eventi mentali, i nostri pensieri, i nostri comportamenti, le nostre emozioni hanno origine in fenomeni fisici (fisicalismo) prodotti nel cervello (Changeux). Ciò che pensiamo come anima e coscienza è il cervello e ciò che pensiamo come cervello è l’anima. Dunque: anima, coscienza e cervello sono concepiti come “una unica e stessa cosa” (Churchland), una combinazione di connessioni neurali, un insieme di funzioni cerebrali. Esempio: se vi pizzicate la mano, provate dolore. Un evento fisico (pizzicare) si trasforma in dolore nella mente, in un evento mentale, cioè in una mappa, in una configurazione di qualcosa d’altro.

Da questa impostazione unitaria di mente, coscienza e cervello, nasce la prima légge. Questa stabilisce che tutti i processi mentali, normali e anormali, perfino i processi mentali più complessi, come il pensiero, il linguaggio, la creatività, l’arte, la musica, derivano da operazioni del cervello (Kandel).

Tale principio è accettato dai neuro scienziati e si pone come base fondamentale delle neuroscienze, in quanto presenta un forte sostegno empirico (Kandel), è cioè verificabile e non “espressiva”, come avviene per le discipline umanistiche. Si tratta di un progresso reso possibile anche dalla ricerca sugli animali, la quale ha scoperto, attraverso prove empiriche, tra l’altro, l’esistenza di una coscienza animale (Botvinick). Uccelli, rettili, pésci hanno qualche forma di coscienza. Esistono prove che tutti i mammiferi hanno esperienze fenomeniche (sofferenza, piacere, aggressività, emozioni, altruismo, perfino empatia, ecc).

Dall’analisi finora condotta, risulta che cervello, anima, mente, e coscienza presentano una dimensione estremamente complessa, difficile e articolata in molteplici teorie spesso tra loro contrastanti.

La scienza non spiega né dimostra l’esistenza dell’anima e di Dio né la nega. Non può negarla. Sono entità che trascendono la materia, dunque si collocano al di fuori della scienza. Anima e Dio sono pertanto scientificamente indimostrabili, sono al di fuori della nostra capacità conoscitiva. Anche la teoria dell’unità cervello-mente non è scientificamente “controllabile” (Solms) né “dimostrabile” (J.J. Sanguineti). Ribadiamo, mysterium tremendum.

 

Concezione trinitaria della persona

Ci sembra allora importante completare e ampliare il quadro da noi disegnato, presentando una visione concepita non come elemento di rottura o superamento delle teorie finora esposte, ma come paradigma di integrazione.

Noi all’Homo cerebralis del materialismo, che riduce l’essere ad “un fascio di neuroni” (Crick); all’ Homo razionale di Cartesio, che vive a due dimensioni, fisica e psichica; e all’Homo natura di Freud, introduciamo un terzo elemento. È il concetto di persona, di un essere dotato di natura spirituale. In virtù delle sue caratteristiche quali l’autocoscienza (Io sono), la capacità di autodeterminazione e la libertà, che è libertà dello spirito, la persona si pone senz’altro come l’esistente più alto dell’universo conosciuto.

La nostra è una concezione trinitaria, una forma di trialismo ontologico (Popper). (l’ontologia è lo studio di ciò che è, l’essere, l’essenza, il principio di tutte le cose). È l’uomo a tre dimensioni, l’essere tutto intero: corpo, psiche e anima. Un essere concepito come un processo dinamico che coinvolge l’intera persona. La persona si manifesta come pensiero, esistenza, essenza, io, soggettività, coscienza, anima.

Siamo oggetti animati. C’è il mio corpo, un oggetto fisico, sottoposto dunque alle leggi della fisica. Ma c’è anche l’essenza (pensiero, io, spirito, mente, anima), una proprietà mentale, che non è visibile e osservabile, che non è soggetta alle leggi fisiche e che non coincide necessariamente con il soma. Siamo: 1) un corpo fisico, biologico; 2) una struttura psichica; 3) un’essenza mentale, spirituale, in quanto luogo dello spirito non osservabile. Tre strutture, tre nature in una.

Per noi, la mente ha una base cerebrale, perché è un atto psichico, ma nella sua sostanza non ha niente a che vedere con la struttura vegetativa (J.J. Sanguineti). Nella sua dimensione intellettuale, l’anima trascende il corpo e al contempo “vi è presente, in quanto forma del corpo vegetativo”.

Vogliamo dire, in definitiva, che i nostri atti mentali, spirituali, sono “incarnati”, “corporizzati” (embodied). Il pensiero si trova su un piano sopra-temporale, ma s’incarna nel tempo in quanto è radicato nel cervello. Non è il mio corpo che è arrabbiato, che pensa, soffre, gioisce, agisce, ama. Sono Io che sono arrabbiato, che penso, gioisco, soffro e amo, in quanto pensiero, mente, anima.

È il finito (materia) che ritrova il suo legame con l’infinito, con il non rivelato, il nascosto. È questa l’essenza, un’essenza che affascina, sconvolge, attrae e sbigottisce.

Il corpo quindi senza l’essenza è un “nulla”; è un robot, un apparecchio meccanico, uno zombi, come concorda il neuro scienziato statunitense Michael Gazzaniga.  La nostra è una concezione che salda e integra una visione neuro scientifica con una visione spirituale, metafisica, in quanto manifestazioni dell’assolutezza dello spirito umano. Entrambe le narrazioni infatti tentano di conoscere i misteri della natura umana e del mondo. Il nostro vuole essere un progetto di umanesimo scientifico, che riteniamo estremamente valido soprattutto in un’epoca secolarizzata, di forte rottura e radicalità rispetto ai concetti metafisici tradizionali, in cui molti scienziati e uomini di cultura ostentano il concetto di un relativismo e di un nichilismo - non esistono certezze o verità assolute, esistono i fatti così come appaiono (fenomenologia) - secondo cui anima e Dio sono un’idea definitivamente tramontata, solo una ipotesi non necessaria e ripetono con Nietzsche che Dio è morto. La scienza, lo precisiamo ancora, non dimostra l’esistenza dell’anima e di Dio né la confuta.

Ma perché escludere l’anima? E se fosse vero che l’anima esista? Che cosa impedisce di formulare un’ipotesi del genere? È una domanda che per il solo fatto di essere posta “amplia” l’orizzonte della scienza. Sono “discorsi di verità”.

C’è la verità della scienza e c’è la verità escatologica, spiritualistica sul destino ultimo riservato all’uomo e all’universo, una verità che ci dice come le cose potrebbero andare (Givone). Ci sono due mondi: quello della materia e quello dello spirito. C’è il sapere trascendente e il sapere scientifico. Sono due conoscenze, sono “parte” dello stesso universo. La scienza è un’attività dello spirito. Separare questi due mondi è una dicotomia artificiale e insostenibile. Farsi poi fautore esclusivo di una delle due soluzioni non ha senso, è anacronistico. Chi nega perciò l’anima “ben poco vede” e ancora “meno comprende”, poiché essa è lì a raccontarci chi veramente siamo e a indicarci che il mondo ha un senso ( Givone). Vita è la vita dello spirito.

L’attività spirituale è un’esigenza fondamentale dell’essere umano. L’uomo ha la percezione di una presenza spirituale invisibile. È lo spirito. È il divino. È il numinoso, come lo ha chiamato uno studioso tedesco, Rudolf Otto. Una essenza che intimorisce e respinge (mysterium tremendum), che affascina e attrae (fascinans) con la sua “Tremenda Mayestas”.

Forse che la nostra è una concezione isolata? Assolutamente no. Abbiamo riscontri che provengono dalle stesse neuroscienze, da autorevoli scienziati - biologi, fisici, matematici, evoluzionisti, genetisti) e da filosofi e scrittori. Recenti ricerche di neuroscienze chiariscono infatti che il nostro cervello ha la capacità innata di “costruire” credenze, sacro, trascendente, Dio. Sono proprietà biologiche e dunque “misurabili” (Gazzaniga). Successivi esperimenti di brain imaging hanno indicato che nel cervello ci sono un “centro divino” e una “scintilla morale profonda, universale, comune a tutti gli esseri umani” (Green).

 

Ci sono altre prove, a cominciare da Einstein (“Uno spirito superiore si manifesta nell’universo creato da Dio”) a Darwin (“Nel mondo ci sono forze impresse dal creatore”) ai premi Nobel Eccles e Sperry (“La mente è una realtà non corporea, irriducibile a eventi neurologici”) a Popper (“L’uomo è un essere spirituale”). Uno dei maggiori matematici, Godel, dopo aver dimostrato matematicamente che ci sono cose - come l’esistenza di anima e Dio - destinate a restare per sempre oltre la nostra portata, ha affermato di “credere in un universo creato da un Dio”. “Se Dio è possibile, allora esiste necessariamente”. Anche il famoso scienziato ateo, Gould si dice “affascinato e aperto a interpretazioni spirituali”). L’evoluzione dunque non sostituisce Dio (T. de Chardin).

La visione di un’anima spirituale è presente anche in altri autori. Spinoza afferma che la mente è “eterna”, mentre Goethe e il premio Nobel per la fisica, Schrodinger, aggiungono che il nostro spirito è “indistruttibile” e continua ad operare in eternità. Anche Kant sostiene che l’anima è immortale e Dio esiste. È una concezione già delineata da Plotino, Socrate (“In me si manifesta qualcosa di divino”, daimon), Platone, Aristotele (“L’anima è una divinità in noi”).

Un importante contributo infine ci viene dalla letteratura mondiale. Scrittori come Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Turgenev, si dimostrano grandi indagatori dell’anima e pongono in risalto l’irripetibile interiorità della persona, il suo senso spirituale, espressione di un’autorità esterna superiore.

La vocazione dell’uomo – affermano - è cercare la verità, il senso della vita, è pensare all’anima, a Dio (Cechov). “Se distruggessi nell’uomo - scrive Dostoevskij - la fede nell’immortalità, non solo l’amore, ma tutte le forze del mondo sarebbero vane. Tutto sarebbe lecito. Qualsiasi malvagità, anche l’antropofagia”.

“Se la mia ferma convinzione che l’anima è immortale dovesse rivelarsi un’illusione - afferma Cicerone -, è per lo meno un’illusione piacevole e me la terrò cara fino all’ultimo respiro”.

Il pensiero dunque si pone come principio “divino e immortale” dell’essere umano. Il fatto che l’uomo pensi e possa dire a sé stesso “Io penso” fa di lui - dichiara Eraclito - una persona. Una persona che può dire “Ho indagato me stesso”. È un processo ascensionale dell’anima, della psiche, della coscienza e dell’autocoscienza per immedesimarsi in una intelligenza cosmica, che Platone chiama “anima del mondo”, Aristotele definisce “pensiero di pensiero” e Hegel “spirito del mondo, Dio” e così giungere alla spiritualità, alla comunione con la ragione cosmica.

 

Conclusioni

Questa nostra impostazione esprime la visione fondamentale di tutta la nostra vita: nella cura dei disturbi mentali, nelle lezioni all’Università e nei nostri libri e saggi di neuroscienze, psichiatria e psicoanalisi.  La nostra analisi inoltre dimostra che non c’è più, come un tempo, alcuna “incompatibilità” (LeDoux) e nessuna “differenza” (Eccles, Popper) tra neuroscienza e metafisica, tra discipline scientifiche e discipline umanistiche, in quanto sono, ciascuna secondo i propri metodi, strumenti di conoscenza della realtà dell’uomo e del mondo. Siamo fortemente per l’unità dei saperi e per il superamento della tradizionale incomunicabilità tra scienziati e umanisti (C.P. Snow).

 

Siamo partiti dall’anima, attraversando i neuroni, il corpo, il cervello, la mente e la coscienza per approdare nuovamente sulle sponde meravigliose dello spirito (noùs), dell’anima. Sono temi per noi affascinanti e appassionanti che suscitano meraviglia, soggezione e sgomento, poiché si presentano impervi, disperati, intrattabili (Eccles).

Al di là dell’ipotesi evoluzionistica, noi non sappiamo ancora dove e come siano scaturiti la coscienza, il pensiero, il linguaggio, l’intelligenza. Confidiamo che un giorno, saremo in grado di rivelare questi grandi misteri. Pensiamo che per l’umanità non esista ricerca scientifica più avvincente di quella sul cervello, la mente e la coscienza. È la più grande sfida dei neuro scienziati del XXI secolo, l’avventura più straordinaria mai tentata dalla specie umana. La mente che studia la mente è “la follia delle follie”.

Indagare la mente umana è una polifonia, è come quando “gli angeli si radunano in cielo e suonano Mozart” (K. Barth).

 

Guido Brunetti

Relazione presentata al seminario sulla “Coscienza” organizzato dal Collegio Universitario “Villa Nazareth” di Roma a Dobbiaco (Bolzano) dal 31 luglio al 4 agosto 2018.

 

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