Esperienze di vita Indice
Un altro modo di raccontare U.G.
di Pierluigi Piazza
Indice - Racconti anno 2004 - 2005 - 2006 - 2007
- Estate 2004. Lettera ad un amico francese.
- Estate 2000. L’anno in cui morì mia madre.
- Autunno 2004. Una visita di U.G.
- Ottobre 2004. A Moneglia con U.G.
- Novembre 2004. A volte il mio amore per lui si esprime tramite metafore.
- Dicembre 2004. Il Maestro.
Estate 2004. Lettera ad un amico francese.
Dopo 3 anni che non ci vedevamo a Gstaad abbiamo ritrovato un carissimo amico francese. La lettera è stata scritta pensando a lui.
Ricordi Pascal come 12 anni fa approdammo in questa valle col cuore pieno di speranza con la mente piena di aspettative. Che mito inseguivamo? Che stella brulicante nel cielo tracciava il nostro incerto procedere?
Cercavamo l'uomo! Quello che ammiccava dietro le copertine accattivanti di libri nelle vetrine delle librerie esoteriche, quello di cui avevamo tanto letto finendo per crearci una nostra immagine mentale. Cercavamo l'uomo che tenesse nella mano sinistra la fiaccola della conoscenza e nella destra il plico con le risposte alle nostre innumerevoli domande sulla vita.
Ricordi Pascal com'era sorridente in quella giornata di luglio il paesaggio che ci accolse...... Non eravamo lì per quello e non realizzammo subito che eravamo entrati nell'anticamera del paradiso. E quella valle, l'anticamera del paradiso poteva esserlo davvero, con il lindore degli chalet svizzeri, il trenino, i gitanti a cavallo, il ruscello coi canoisti, la mongolfiera che volteggiava tra le alture. Sembrava una paesaggio quasi artefatto, nella sua perfezione troppo ricercata, nella sua armonia di forme e colori..... Era come il plastico del trenino, che da bambini, guardavamo avidi nei grandi magazzini, desiderosi di possederlo, ma coscienti che mamma e papà non potevano permetterselo.....
Ora in quel plastico ci eravamo immersi, quasi senza vederlo, perché la nostra mente cercava altro. Ricordi Pascal come varcammo tremanti la porta di quello chalet.... Un po' timorosi, un po' imbarazzati, un po' esitanti. Lui ci accolse con un sorriso e fu il solo interesse che mostrò per noi. E lo ascoltammo parlare, capendo ben poco visto il livello del nostro inglese.... Lo ascoltammo e lo guardammo a lungo per poi andarcene alla sera, senza avere capito se era lui la risposta alle nostre domande. Sembrava non starci nei parametri che ci eravamo fatti tramite le letture, eppure sentivamo qualche cosa dentro e, soprattutto, la nostra stella interiore ci guidava lì. E non ci volle molto a sgretolare il muro di pregiudizi e preconcetti che avevano costruito le nostre menti. Io e Teresa saltammo il secondo giorno ma poi non perdemmo più un incontro.
E la magia ci avvolse lentamente e ritornammo ancora ed ancora, anno dopo anno, per assorbire qualche cosa che non riuscivamo a definire ma che ci teneva saldamente legati a quella meta. Per anni tutte le estati tornammo in quella valle, per gioire delle bellezze naturali, per incontrare amici vecchi e nuovi, per nutrirci di risate pazze..... Il cappuccino la mattina al bar, le passeggiate, le spaghettate la sera, i discorsi fino a notte fonda dove si parlava di ciò che ci premeva nel cuore. Ma soprattutto tornammo sospinti da quel magnetismo misterioso, quella energia fine ed impalpabile che forse, solo ora, dopo tanti anni, inizio a decifrare.
A quei tempi c'era un decennio in meno sulle nostre spalle, anzi, questa è la dodicesima estate..... Il tempo impietoso ci ha tolto tante illusioni, tante speranze, ma di più ce ne ha tolte lui, perché eravamo andati da lui come ladri che vogliono appropriarsi di qualche cosa ed invece ci siamo trovati con qualche cosa in meno. Volevamo delle risposte e lui ci ha rubato le domande. Volevamo altre suppellettili da mettere nel nostro zaino ed invece lui ha alleggerito i nostri pesi rendendoci un po' più veri a noi stessi.
Lo sai Pascal, cos'era quella magia che ci incatenava a lui e che percepivamo senza riuscire a decifrarla del tutto? Non era altro che il nostro amore, che lui, privo com'è di velleità egoistiche, ci rifletteva amplificato.
Estate 2000. L’anno in cui morì mia madre.
Fu una vacanza strana quell'anno. Andai da U.G. con quel grande dolore dentro, il dolore fresco per la perdita di una figura che, nel bene e nel male, tanto aveva significato nella mia vita, mia madre. Ed ero lì in faccia a lui. Non fece molto quell'anno, anzi mi ignorò parecchio, solo mi aveva riservato una stanza in uno dei graziosi chalet, mi aveva voluto suo ospite. Nella stanza vicino a me c'era Crim, un americano di una profondità d’animo e di una dolcezza incredibile. Era la prima volta che lo vedevo ma diventammo subito amici.
Arrivarono anche gli olandesi, con Robert che sembrava un gigante nero ed un po' punk, un po' inquietante a prima vista, ma di una sensibilità fuori dal comune. Lui, il mio maestro, continuava ad ignorarmi come mai aveva fatto. Non sapeva, non gli avevo detto del mio lutto. Quell'anno di lui ricordo solo l'apparente distanza, l"ignore". Eppure fu tutto tremendamente bello. Ricordo passeggiate tra pendii verdeggianti ed assolati, tra risa amiche, in buona compagnia. Ricordo le serate al pub con Crim e gli olandesi e Teresa, unica donna del gruppo. Ricordo il gorgheggiare del torrente che mi faceva compagnia quando mi attardavo sul balcone a fumare l'ultima sigaretta. Guardavo le stelle ed ascoltavo il mio dolore che sera dopo sera scemava. Ricordo arcobaleni che si mostravano nel cielo terso, distesi ad arco sopra il volteggio dei parapendii e che mi stupivano al punto che neppure mi chiedevo come venisse l’arcobaleno in un cielo completamente azzurro. Ma soprattutto ricordo che quando lasciai la valle, gli amici e U.G. il mio dolore era poco più che una piccola ferita, lo lasciai lassù tra quelle montagne verdi, in quel quadro dipinto da una mano angelica, quel posto che, come diceva Crim: - dovunque guardi è una cartolina –
Conoscendo ora meglio U.G. mi è difficile pensare che fu solo un sequenza di eventi benefici ed occasionali che curò il mio dolore e so, senza ombra di dubbio, che la sua grande mano grondante di sapienza, resse con maestrale regia il corso degli eventi.
Autunno 2004. Una visita di U.G.
Se ti avessi incontrato in un super mercato ti sarei passato vicino senza neppure accorgermi di te, ne sono certo perché ai tempi non potevo concepire un individuo eccezionale se non in termini di "issimo"..... come dire.... buonissimo o cattivissimo e non potevo certo sapere, perché non ti conoscevo, che si può essere veramente al di là del bene e del male. Ma tant'è che ti ho conosciuto.
Domenica, sei passato a trovarmi, così all'improvviso, regalandomi un'emozione inaspettata. Tu, che chiamo amico perché non ho un altro termine da usare. Le parole non sono ancora state inventate tutte.
Ti ho fatto sedere assieme agli altri che erano con te, mentre Teresa metteva sulla fiamma azzurrognola del gas, la caffettiera grande. Come sei diverso ora da quando ti conobbi. Ti ho guardato bene, sempre più segnato dalla senilità che ora vela la tua grande grinta, senza però riuscire a nascondere la bellezza del tuoi occhi affacciati sull'eternità.
La tua grinta fu quella che mi colpì maggiormente quando ti conobbi. In tanti anni non ho mai visto un visitatore uscire vittorioso da un confronto verbale con te, non importava la sua carica di convinzione o la sua carica aggressiva o la sua forza persuasiva...... non l'ho mai visto e, sinceramente, non saprei neppure immaginarlo.
Nel tuo distacco, tu ci lasciavi dire, ci lasciavi scaricare e poi, quando finivamo e ci trovavamo soli con le nostre stesse parole, allora, iniziavi tu.
Partivi lieve, aumentando, con progressione matematica, l'enfasi ed ogni frase era il preludio ad una frase più grande, più incisiva, una frase che ci colpiva sempre più nel profondo. Saliva il tono della tua voce che si caricava di una rabbia pura, pulita, quasi fosse la rabbia di tutta un'umanità oppressa, quasi fosse la voce di quella ragione troppo spesso vilipesa ed ingannata dalla menzogna. Parole che ci strappavano la nostra armatura e ci mettevano davanti alla nostra piccolezza e come avremmo mai potuto controbattere, noi meschini che ci reggiamo il gioco gli uni con gli altri, per convenienza o anche solo per paura.
Tu non eri coinvolto e potevi ignorare tanto la convenienza, quanto la paura, e la tua voce vera, e vibrante riempiva la stanza lasciando, tra una frase e l'altra, l'urlo lacerante del silenzio, in cui pareva che anche le mosche si fossero fermate ad ascoltare.
Ora la tua voce è flebile, anche se giri ancora per il mondo, ma si vede che stai economizzando le energie. Certo sapresti ancora tornare a ruggire ma non vuoi, come colui che sa di avere fatto quello che poteva per noi e di non dover più andare oltre. Con calma, come il viaggiatore stanco, alla fine del viaggio, raccogli il tuo già lieve bagaglio e ti avvii verso l'uscita, con eleganza e grazia, ed anche in questo mi sei maestro.
Ti guardo così seduto su una sedia della mia cucina, mentre mi chiedo dove navighi in realtà la tua anima, visto che solo una parte infinitesimale di te è con noi, di questo ne sono certo, perché ti conosco da tanto e so, quanto sornione sei, nel giocare il nostro gioco di uomini confinati in un corpo e mente, mentre per te quel corpo e mente non è altro che un piccolo dettaglio che giace sullo sfondo di una scena più grande, di una verità più vasta.
Ed ecco che già ti alzi all'improvviso trascinando con te il variopinto gruppo di amici e ci saluti senza cerimonie, senza finti ringraziamenti, scivolando via come un alito di vento, che scompigliandoci i capelli, ci ha rallegrato. Figura esile, svanisci dentro la vettura assieme agli amici che sorridono, mentre il mio grazie si perde dentro me a metà strada tra la gola e il cuore.
Ottobre 2004. A Moneglia con U.G.
E può succedere che, mentre sei preso a srotolare la matassa della tua vita, ti arriva una telefonata da U.G. che vi invita per il prossimo week-end a Moneglia sulla riviera ligure. Ed allora ti lasci prendere dalle velleità di quello che per una volta si sente invitato e ti dai un sacco di importanza, dicendo che non sai ancora se sei impegnato per il week-end e mentre lo dici sai benissimo che non è vero e che hai voglia di andare. Infatti, lui che ti conosce meglio di quanto tu conosci le tue tasche, taglia corto e ti dice: - vi aspetto qui – e tu capisci che c’è una sola risposta che ha senso anche se la puoi modulare in cento modi: “ o.k.” oppure “ci saremo”, o ancora, “va bene” – Insomma in fondo è quell’assenso che volevi dare.
A Moneglia ci andavo da bambino piccolissimo, forse bimbetto di due o tre anni, eppure la mia memoria conserva qualche flash di quei tempi. Ricordo il sugo di pomodoro della pasta che, mia madre, chiedeva che fosse passato appositamente per me. Ma si può? Del paese non ricordo nulla, e nulla del mare, ma ricordo il sugo della pasta.
Il paese lo riscopriamo Teresa ed io, in questo viaggio, quando alla sera scendiamo con Mario a mangiarci un gelato. U.G. e gli amici che sono con lui, hanno scelto un residence arroccato sulla montagna. Le scelte degli alloggi sono sempre fatte con una certa oculatezza perché “l'asharm viaggiante” di U.G. (come ormai lui stesso si è rassegnato a chiamarlo), deve tenere conto anche delle spese, dato che non tutti siamo milionari.
E’ una giornata fredda di ottobre, c’è tanto vento, eppure il mare mi guarda esercitando il suo fascino misterioso. Il residence non è curatissimo, ma anche lui ha fascino. E’ grande, un po' vuoto, con il gestore che si rivela un fan di U.G. Le stanze sono spaziose, con i terrazzi vista mare. E poi c'è la stanza dove ci si trova tutti a mangiare, che solitamente è quella di qualcuno di noi. Questa volta è quella di Mario. E quando siamo tutti lì c’è un’atmosfera calda e confortevole per l'intimità amica che si crea.
Mi pizzico una gamba. Ma davvero io stò vivendo queste cose? Mi ripizzico, non convinto. Si si, sta succedendo proprio a me!
Non che non sia abituato all'avventura. Ne ho viste di stanze d'alberghi, dai cinque stelle, alle brande frugali dei rifugi alpini, o le panche di legno degli ashram in India, o le cuccette di qualche international express. Ne ho fatti di incontri con persone. Incontri informali, formali, con amici, con conoscenti, con parenti. Ma come si fa, Dio santo, ad applicare i riti e i ritmi dell'abitudine con quest'uomo col quale un attimo non è mai uguale al successivo e col quale tutto si ravviva e si colora di momento, in momento.
Ed ecco che già si passa a pianificare gli spostamenti successivi. Non importa se sono le dieci del mattino, abbiamo appena finito un brunch e siamo con in mano un biglietto, aperto per la giornata. Il piano della si compone nell'aria come guidato da registi misteriosi. Ci sono i suoi amici americani e U.G. vuole mostrargli la riviera. Teresa, che è sempre ben documentata e che ha sempre i piedi saldamente piantati nella terra, (diversamente dal marito), ha l'onere di selezionare le mete. Si va a Sud, verso le cinque terre. Appena fuori Moneglia, ci fermiamo all'imbocco delle gallerie a senso unico, ad aspettare che il semaforo diventi verde e scendiamo dalle macchine.
Ma sai quanto è bello il mare oggi? Con quel vento che solleva enormi cavalloni che ruggiscono frangendosi sugli scogli. E quel cielo frantumato in mille frammenti di grigio scuro e scorci di sereno. Ma sai come può essere bello scoprire che sei innamorato del mondo e della vita. E mi chiedo ancora se sta succedendo davvero a me?
Chissà perché con U.G. non conta la meta ma la strada. Non arriviamo alle cinque terre ci fermiamo a Bonassola. Ora il pomeriggio è soleggiato, ci sediamo ad un Bar nella zona pedonale, qualcuno cammina per sgranchirsi le gambe, qualcuno attraversa un angusto tunnel di sassi e va a vedere la spiaggia. I più rimangono con U.G. al bar. In fondo quello che conta è vivere con pienezza ogni momento e quel week-end sul ligure è straripato tutto di pienezza.
Se mi avessero chiesto quindici anni fa come immaginavo il sadana con un maestro spirituale, avrei subito pensato a ginocchia indolenzite nella posizione della meditazione, avrei pensato a salti quantici nella mente, bagliori di luce, risvegli di canali energetici, concentrazione, impegno, serietà, preghiera, mantra. Ed invece stò scoprendo che la vita è tutto un cammino e che non occorre andare al tempio per nutrire l'anima. Stò scoprendo che l'amore abita a Moneglia, non meno che nelle anguste pareti del mio ufficio, abita a casa mia, nel volto di chi mi sta vicino, nei gemiti di chi soffre, nelle carni e nei nervi di chi vive. Abita nella gioia e nel dolore, abita nella capacità di vivere in modo integro le proprie esistenze, facendo dell'innocenza la propria bandiera e il proprio scudo.
Ma che strano guru che sei. Mi avevano detto che vendendo da voi si imparava la via del cielo ed invece tu mi stai insegnando a camminare sulla terra. Sei uno strano guru ma ti voglio bene e non ho nessun timore ad urlarlo ai quattro venti.
Novembre 2004. A volte il mio amore per lui si esprime tramite metafore.
...........Ed eccomi in questa nuova vita a far la parte della quercia che tale mi è capitato di sentirmi più di una volta. Eccomi a dispensare ombra al viandante, a proteggere i nidi delle rondini, a regalare i frutti alle ghiandaie, a donare legna al contadino. E' bello dare ma a volte ho la sensazione che un po' tutti sfruttino la quercia e, finanche chi mi vuole bene e dice di amarmi, spesso, con troppa solerzia ha preso e preso, dando per scontato il dono. Sembrerebbe che tutto è dovuto dalla quercia.
Solo tu, guerriero, venisti sotto le mie fronde, venisti silenzioso e ramingo, o almeno così sembrasti a me che non sapevo granché del mondo. E ti fermasti, all'ombra dei miei rami, intento nei riti del guerriero. Ringraziasti l'erba sotto le tue ginocchia, ringraziasti il sole, l'aria ed il cielo, ringraziasti il suono degli uccelli ma soprattutto ringraziasti me. - Sei tu - dicesti, - o grande quercia, che oggi mi onori della tua ospitalità. Tu che accogli sotto i tuoi rami caldi e protettivi questo guerriero stanco. Sei tu che ti innalzi possente tra la terra ed il cielo che oggi sei premio alla mia vita, al mio essere qui. -
E lungi dal turbarmi le tue parole mi facevano tremare il cuore di emozione e gioia. - Oddio - dicevo tra me e me - perché quando c'è quest'uomo, questo guerriero che calpesta coi suoi piedi scalzi la terra io finalmente mi sento amato? Perché con lui non ho quella sensazione di furto, di abuso, di non essere visto. Perché invece di essere io a dare, sento che quest'uomo, questo piccolo immenso uomo sta dando a me? -
E non sapevo che mentre su questa terra sei un nobile guerriero, nel tuo mondo, cioè il mondo vero, tu sei anche giardiniere, perché nel mondo vero, quello da cui vieni tu, non c'è nulla di scontato e non solo le querce ma persino i fili d'erba hanno qualcuno che li conosce ad uno ad uno, che li ama e li cura.
E ti ascoltavo e seguivo i tuoi riti, ti guardavo deporre la tua grande spada, stendere il tuo tappeto e sederti assiso in meditazione, il viso scarno, lo sguardo essenziale, l'abito comodo come colui che deve muoversi con agilità e solerzia per fronteggiare le battaglie della vita. E ti guardavo cercando di immaginare dove veleggiasse il tuo cuore, il tuo sentire. E con te ero felice e stavo bene perché tu non mi chiedesti mai nulla e mi donasti molto, tu non chiedesti e mi accettasti così com'ero.
Poi un giorno arrivò un passero, tra i miei rami, un passero ciarliero e petulante, e cinguettando raccontò che ad oriente, proprio dove il sole si spegne all'orizzonte, tra volute di incenso e rulli di tamburi, un grande guerriero era spirato ed io, io sentii un tremore che dalle radici si snodò nel tronco e su, su per i rami fino a diffondersi a tutte le mie foglie. Sapevo che eri tu e piansi a lungo. Eppure ora che non abiti più questa terra ti sento ogni giorno sotto le mie fronde e so che il nostro sodalizio va oltre i limiti dello spazio e del tempo e questa consapevolezza ora la chiamo felicità.
Dicembre 2004. Il Maestro.
Cosa dire di te che abiti la casa dell’amore? Un luogo dove ogni cosa occupa il posto che le compete e l’armonia è immensa, la qualità è sovrana. E come l’umidità e l’odore del muschio nel sottobosco indicano al cercatore di funghi che il posto è buono, così armonia e qualità indicano al cercatore del vero che lì è la porta dell’immenso. E quell’immenso è sintomo del bene ed il bene indica un’altra cosa, una cosa di cui si fa sempre un gran parlare, ma se ne parliamo tanto è proprio perché, di quella cosa ne circola poco. E sto parlando dell’amore. Così che dire di te che abiti la casa dell’amore e ce lo hai mostrato abbondantemente?
Ed anche se ti sei impegnato molto per non lasciare trapelare troppo del tuo mistero, che poi è anche il nostro, ma che in te rifulge non oscurato dalla brutta maschera dei personalismi. Anche se ce l’hai messa tutta qualche raggio di luce ogni tanto ti sfuggiva ed era difficile, per te il controllo ed era difficile per noi non caderne affascinati e non stupire che una simile bellezza potesse veramente esistere.
Sono passati in tanti dalla tua porta, lavoratori, o figli dei fiori, miserabili o ricchi, intellettuali e semplici viandanti. Chiunque era interessato poteva aver accesso a te che, hai sempre voluta la porta di casa tua aperta a tutti. Anche ai potenti, ponesti una sola condizione - cioè quella di lasciare i loro privilegi, con le scarpe, sulla soglia, fuori dalla tua porta e di presentarsi a te come un chiunque altro di noi - Di certo non avresti mai abdicato alla tua equanimità ed hai potuto tranquillamente rifiutare un colloquio privato ad un ministro che non accettava di sedersi con noi, uomo tra gli uomini.
Eri accessibile si, ma eri anche un po' nascosto, come la stella alpina che richiede una lunga ascesa per essere scoperta, e non sempre il visitatore trovava un posto accanto a te. Ti ho visto invitare tanti a non tornare fin dalla loro prima visita, magari lo facevi con estremo garbo e gentilezza ma con un messaggio sempre chiaro e diretto. Mentre per altri subentrava una specie di selezione naturale, cioè si auto escludevano per mille motivi. Eppure sono certo che non ci sia stato un visitatore che è passato dalla tua porta, che non abbia portato via un'impronta o un segno del contatto con te. E' una certezza mia, ma so di non sbagliare.
In questo mondo capovolto in pochi sanno dove risieda il vero. La gente del mondo nei suoi giorni ottenebrati dalla fatica e dal dolore misura tutto col metro dell'utilità e se lasciandoti stringono nelle mani un gioiello, allora dicono: - ecco quell'uomo è grande e ci ha fatto un dono prezioso - Ma se le loro mani sono vuote, allora si lamentano e dicono: - ecco, tanta fatica per andare da lui e ce ne torniamo a mani vuote -
E non sono le tenebre, ne il male, ma solo la disattenzione e la paura che non permette loro di scorgere quella fiammella piccola che tu hai acceso nel loro cuore, una fiammella invisibile agli occhi, che all'inizio solo tu conosci ma che un giorno, diventerà un incendio immane che farà cenere di universi di illusioni, liberando l'anima dalle sue catene.
E tu vai a spiegare queste cose a chi misura guadagno o perdita con la stadera. Vai a parlare della luce ai ciechi e del suono ai sordi. Se ti va bene non ti ascoltano o se ti ascoltano ti prendono per pazzo e ti sfuggono o ti vogliono lontano. E quindi è bene queste cose dirle in luoghi un po’ nascosti, misurando le parole e non dicendo troppo e soprattutto, dirle nei luoghi dove la gente non si indigna se racconti verità scordate.
Ma io non temo di essere additato come pazzo o visionario. Mi conosco abbastanza per non barcollare sotto il giudizio, che lo reputo un problema di chi vuole giudicare più che mio. Temo piuttosto di scivolare, sbagliando le parole e rischiando di rinchiuderti nel mito. Quel mito brutto che tu tanto ti sei prodigato per distruggerlo in noi e che, non essendo vero, ci ha resi prigionieri ed ha riempito le nostre vite di dolore. Potrei sbagliare nel dire troppo apertamente, o forse anche per troppo entusiasmo ed allora chiedo scusa al mondo ma soprattutto a te, che sei un uomo sulla terra, per le mie parole, per la mia enfasi, per il mio amore.
Indice - Racconti anno 2004 - 2005 - 2006 - 2007
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