Esperienze di vita Indice
Un altro modo di raccontare U.G.
di Pierluigi Piazza
Indice - 2004 - Racconti anno 2005 - 2006 - 2007
- Gennaio 2005. Lettera ad un’amica.
- Febbraio 2005. Amorevole distacco.
- Marzo 2005. Baveno.
- Maggio 2005. Per le strade di Milano.
- Giugno 2005. Realista.
- Agosto 2005. A Gstaad.
- Dicembre 2005. La straordinaria intelligenza del corpo.
Gennaio 2005. Lettera ad un’amica.
Mi chiedi spesso di lui e sento che la tua non è solo curiosità ed hai un reale interesse, ma credo che tu abbia paura. Ti ho invitata a venire con noi, partiresti avvantaggiata perché sei con me e Teresa, ma qualche cosa ti blocca, ti spaventa ed io non voglio insistere e forzarti anche perché, varcare o no quella soglia non è nelle nostre mani, ne nelle sue. Credo sia un qualche cosa che semplicemente accade, se e quando, deve accadere. Ed anche quello che vedrai quando sarai lì, sarà quello che sei pronta a recepire, perché realmente lui è come lo spazio a cui puoi dare tutte le forme che desideri, o che puoi riempire con quello che tu vuoi. E la sua risposta verso di te sarà commisurata all’interesse che sentirai, così come la sua apertura nei tuoi confronti sarà uguale alla tua nei suoi. Non c’è niente di finto in questo, nulla di artefatto. Non so come spiegarlo. Forse le parole migliori in questo senso le ha dette Ramana Maharshi quando affermò: - La grazia del maestro è come l’oceano, chi viene con una tazza ne porterà via una tazza, chi viene col secchio ne avrà un secchio – Quello che posso assicurarti è che, se saprai vedere, non sarai delusa ed anche se non saprai vedere riceverai qualche cosa, ma in quel caso, perderai la gioia che da la consapevolezza di avere ricevuto un dono.
Io ho capito che due cose non sono ammesse presso di lui. La prima è volerlo possedere per se stessi. Lui appartiene a tutti e non accetta di essere posseduto. In quel caso farai un viaggio a vuoto. La seconda è che non devi essere scorretta e denigrare gli altri che sono lì. Credimi difende i suoi amici più di quanto difenda se stesso e sa diventare davvero terribile se vede avvilire una delle persone che sono con lui.
Per il resto quando sei con lui, nei limiti dell’educazione e della civiltà, tutto è lecito. Puoi fargli domande. Se gliele farai sarà bello perché vedrai la fluidità con la quale risponde e ti smonta la domanda. Se lo sfidi con le tue domande potrà diventare terribile e ad un certo punto sarai tu a fermarti, perché capirai che se vai oltre potresti finire in un abisso da cui non sai se ti sarebbe concesso tornare. Ma non è obbligatorio fare domande. Puoi startene buona in silenzio a guardare ed ascoltare, o puoi addormentarti e nessuno, men che meno lui, ti dirà nulla, perché lì c’è posto solo per la naturalezza e la spontaneità. Puoi piangere e nessuno si scandalizzerà, puoi ridere, cosa che succede spesso ed allora l’atmosfera diventerà leggera. Comunque sia potrai dire - io c’ero…… ma tu continui ad esitare.
Febbraio 2005. Amorevole distacco.
Da uno sguardo veloce o superficiale U.G. può sembrare la persona più lontana e chiusa ai tuoi problemi, lo diresti quasi menefreghista tanto il suo distacco rasenta l’indifferenza, ma questo se ti fermi alla prima impressione, perché se gli stai vicino e lo frequenti ti accorgi di quanto sia attento al tuo sentire ed in alcuni momenti lo trovi accanto a te più pronto e sollecito di una madre. A me succede spesso, quando sono in mezzo alle persone, ad esempio quando faccio yoga, o anche in ufficio tra i colleghi, di socchiudere gli occhi per un breve momento e di guardare le sensazioni che ho dentro. Le guardo, le soppeso e le paragono a quelle che ho quando sono con lui. E sono diverse. Ma non è neppure giusto dire così, perché invero, ogni sensazione è diversa dalle altre. Quello che realmente varia nei momenti che sono con lui è piuttosto il substrato o lo sfondo. Lui ha parlato del silenzio. Ha detto:
- Le persone vengono qui per discutere e si trovano davanti il silenzio. Allora, automaticamente, tutti quelli che vengono rimangono in silenzio. Se rimarrete qui a lungo anche voi sarete indotti al silenzio; non perché questo silenzio vi venga imposto o sia più razionale di voi, ma perché è il silenzio stesso che mette a tacere quel movimento la fuori. Qui il silenzio brucia ogni cosa. Vengono bruciate tutte le esperienze. –
Ha parlato anche della pace:
- Noi abbiamo una nostra idea di armonia. "Come vivere in pace con se stessi." Questa è solo un'idea. C'è già una pace straordinaria presente qui, dentro di noi. E' proprio la creazione di questa idea di pace, la quale è totalmente avulsa dall'armonioso funzionamento di questo corpo, che vi rende difficile vivere in pace. –
E quel silenzio, quella pace, vicino a lui ci sono davvero e si percepiscono nei vortici di energia pulita che si possono facilmente avvertire, vortici sospesi nell’ambiente che fluttuano e ti toccano carezzandoti o scuotendoti. Un qualche cosa di caratteristico ed inequivocabile, che forse non tutti colgono subito, (io ci ho messo un po’ a focalizzarli), ma che pur ci sono e potremmo definirli il colore del suo cielo o il suo profumo, il suo aroma.
Ed è difficile per me non pensare che sia speciale. Lui si è sempre battuto per affermare che è come noi ed è comprensibile perché l’idea di essere una rarità non è bello, ma noi ci muoviamo come elefanti in una cristalleria e ad ogni passo facciamo guai, mentre lui i cristalli sembra aggiustarli tanta è la sua capacità di rendere normale quello che a noi sembra storto. So che direbbe che questo ed il modo in cui io interpreto ciò che vedo e che ciò che vedo è un riflesso della mia intelligenza, ed ora smetto ma su questa cosa tanto mica gli credo.
Marzo 2005. Baveno.
Quando arrivi a Baveno, venendo da Stresa, fermati un attimo all’inizio del lungo lago e guarda la piazza che c’è ad un centinaio di metri in fronte a te, guarda con attenzione quello scorcio del piccolo borgo e dimmi se lì non abita la bellezza?
E’ tutta bella la sponda piemontese del lago Maggiore, ma Baveno, Teresa ed io, l’amiamo in modo speciale. L’amiamo sia perché c’è il nostro monolocale che ci ha dato tanti momenti belli, sia perché spesso, quando U.G. è in Italia si ferma lì. Ed oggi lui è qui.
Inizialmente le prime volte che venne sul lago si fermava da noi, nostro ospite ed io ero felice di mettere la mia casa a sua disposizione. Poi una notte scivolò e cadde così decidemmo che sarebbe stato meglio che anche lui rimanesse nel residence dove tutti i suoi amici avevano alloggio. Lui obbiettò un po’, si preoccupò per noi, pensando che ci sarebbe rincresciuto se lui non avesse accettato la nostra ospitalità, ma per noi era più importante saperlo sicuro. Il fatto che fosse solo lassù, in quel luogo un po’ selvaggio, non ci faceva certo stare bene ed anche noi fummo contenti quando si trasferì al residence, che ben presto divenne una sorta di piccola Gstaad invernale, nel senso che U.G. ci ha passato molto tempo ricreando quel turbinio di gente attorno a lui che è tipico di quando si ferma a Gstaad.
Ho ricordi belli ed intensi di quei momenti. Dalle mie fughe dall’ufficio, sfidando il traffico delle tangenziali, per stare un po’ con lui e gli amici alla sera, all’intensità dei week-end spesi con loro. Il tormentone dei giri a Bellaggio che ogni tanto, non si sa per che sorta di “algoritmo” si finiva per fare o i visitatori, che nel tempo hanno saputo che era lì, e sono venuti a trovarlo, o la volta che, emozionato e tremante, condussi da lui una mia amica. Tanti piccoli momenti in un certo senso più fulgidi che a Gstaad, perché forse lì l’intimità era maggiore.
Ero lì poche ore fa, nella cornice di Baveno ed ho ancora sott’occhio l’articolo scritto da Parveen Babi che parla di lui.
Nota: Parveen Babi era una star della cinematografia Indiana. Ad un certo punto della sua carriera iniziò ad evidenziare disturbi mentali che vennero diagnosticati come schizofrenia. Stava per essere sottoposta ad elettro shock quando Maesh Bath famoso regista indiano, la condusse da U.G. Vicino a U.G. Parveen Babi ritrovò piano, piano il suo equilibrio.
Quando U.G. ne parlava oggi avevo inteso che era morta da tempo, invece, ho visto ora su internet che è morta pochi giorni fa. Quello che dice di lui è bellissimo, tant’è che vorrei averlo scritto io, ma sicuramente lei aveva una lucidità straordinaria, (quella “lucida follia” dovuta forse alla sua malattia mentale, alla schizofrenia). La sua analisi è talmente profonda in ciò che scrive che una persona “ordinaria” non avrebbe colto così tanto. Parla della sua pulizia e della sua correttezza nei rapporti con le persone in un modo che mi sento di condividere quasi totalmente. Il suo brano di poche pagine inizia così:
Ho vissuto e viaggiato con U.G. e dopo essere stato con lui per un periodo di tempo significativo ho realizzato che U.G. tratta gli esseri umani come esseri umani – cioè come ogni essere umano merita di essere trattato – con rispetto, considerazione, comprensione e compassione. Ho anche realizzato che egli tratta tutti come uguali a se, sia che la persona sia la più giovane, la più povera, la più ricca o la più vecchia.
I nostri rapporti con le persone ci pongono in qualche modo sia sopra o sotto l’altro, noi non trattiamo l’altro come un qualcuno uguale a noi. U.G. invece tratta le persone non come relazioni, bensì come esseri umani e quindi suoi uguali. Io non ho mai conosciuto nessun altro che trattava gli esseri umani in questo modo. Io ho visto e sperimentato U.G. trattare le persone con rispetto e dignità che meritavano.
Ogni atto di U.G. e un atto giusto. – l’atto che è moralmente giusto, eticamente giusto, circostanzialmente giusto. Giusto per le altre persone e giusto per se stesso. Questo modo di comportarsi viene naturalmente a U.G. Lui non fa uno sforzo deliberato per agire in questo modo. Neppure il suo comportamento nasce dall’idea che egli è una persona speciale, che la sua condotta sia speciale e che egli stia facendo un favore alle persone trattandole con rispetto, dignità. Questa condotta è così naturale e così spontanea che molte persone non la riconoscono e non si accorgono che il suo modo di comportarsi è giusto e che loro sono trattati in un modo molto speciale. Molte persone che vengono in contatto con lui non riconoscono queste sue qualità. Non tutti possono riconoscere la perfezione soprattutto se uno non ha i suoi germi in se stesso.
Il comportamento di U.G. non è conforme alle definizioni sociali di moralità ed etica. Lui agisce in accordo con la reale morale e la reale etica. Nella società noi subordiniamo spesso l’etica e la morale alle nostre convenienze, ma la vera morale e la vera etica, non nascono dalle nostre convenienze, bensì nascono dalla coscienza. La coscienza umana conosce ciò che è “giusto”, “morale” ed “etico”.
Un’altra qualità speciale di U.G. è che egli non usa mai le persone per i suoi scopi personali. Io non l’ho mai visto usare la gente o trarre vantaggi dalle persone. Egli ha relazioni sociali come chiunque altro, e quindi le normali relazioni di dare ed avere, per esistere e funzionare in questo mondo, ma solitamente da indietro molto più di quello che prende.
Il suo donare è un puro dono. Egli da senza aspettarsi nulla di ritorno. Da senza aspettarsi neppure gratitudine. Egli da perché si sente di dare, perché uno lo merita o ne ha bisogno. Egli da con così tanto silenzio e mancanza di ego che il più delle volte chi riceve non realizza di avere ricevuto. Spesso da contro il suo stesso interesse. Ad esempio se per una persona è bene sentire una cosa egli va avanti al rischio di perdere l’amore della persona, il rispetto e l’amicizia.
Poche pagine in Inglese intensissime, tant’è che me le sono lette tutte seduto sulla sedia in mezzo agli amici. Ora è sera e sono a casa….. sto scrivendo al computer, ma la testa non è tutta qui. In questo momento, la mia testa, mi sembra, come un enorme stanzone vuoto, in cui rimbombano con fragore le idee. Non sto dando di matto…… è solo che la sua presenza è così intensa ultimamente, che subito dopo averlo lasciato sembra di essere in una specie di limbo, in uno spazio vuoto, che non è ne più bello ne più brutto di quello pieno, è solo diverso.
Domani lo rivedrò, passerà di qui ed io vorrei riuscire a passare più tempo possibile con lui, perché poi andrà all’estero, andrà lontano e non so quando potrò ancora rivederlo. A voler ben guardare mi sto affezionando più adesso che i primi tempi. Ma non doveva essere l’inverso? Non doveva essere che la ricerca finiva e con lei finiva l’attaccamento al maestro e tutti gli attaccamenti? Ma forse non è attaccamento, è qualche cosa d’altro….. ma non so cos’è…… o forse lo so…. È una parola di quattro lettere.
Maggio 2005. Per le strade di Milano.
Noi stavamo fermandoci nel primo bar che abbiamo incontrato sulla strada quel giorno a Milano, anche se non era speciale, ma almeno non avresti camminato tanto, ma tu hai detto: - un bar così a buon mercato per il vostro te? - così ci siamo spinti più in là, fino a trovarne uno che sembrava più carino. L’America ti ha fatto davvero bene, è stato bello vederti tornare a camminare.
In effetti, neppure quel bar era speciale per essere a Milano a due passi dalla galleria, ma l’angolo dove ci siamo seduti era magico e tu avresti dovuto vederti, seduto sulla sedia con 4 passeri appoggiati sulla paratia posta alle tue spalle. Sembravano in adorazione anche loro, appoggiati lì per vederti ed omaggiarti. Oddio ho pensato a San Francesco, ma spero che nessuno ti traduca mai queste pagine perché non so davvero come la prenderesti.
Il cameriere deve avere visto “qualche cosa” in te, perché ha mostrato subito un’affabilità inusitata. Ti chiamava nonno e rideva… Tu non capivi ma eri colpito dalla familiarità con cui si rivolgeva a te, lo guardavi e ridevi anche tu. Scherzava con te dicendoti: – nonno cosa ti porto? nonno adesso ci penso io a te! - Poi sono arrivate delle ragazzine, delle clienti abituali e lui, dopo averle salutate ed avere fatto qualche battuta con loro, si è girato verso di te: - nonno adesso ti mando la Giorgia…. – E noi a ridere a crepapelle e tu con noi.
L’ultimo U.G. quello di questi tempi è aperto e senza scudi e suscita in chi lo vede un’enorme familiarità. Per noi che ti abbiamo conosciuto quando incutevi timore è difficile percepire questo, ma per chi ti conosce ora è diverso. C’è chi ti abbraccia all’improvviso, chi vorrebbe prenderti in braccio, chi si accoccola ai tuoi piedi, come se ti conoscessero da sempre. Per noi è diverso ma ciascuno di noi conserva dentro se il suo modo di amarti. Ed in quel bar noi ridiamo assieme a te per le battute del cameriere e quando ti spieghiamo che si rivolge a te come “grand father”, cioè come nonno – subito ribatti, ditegli che sono bisnonno, bisnonno di 4 nipotine –
Ero stordito quando sono arrivato in città sfuggendo dall’ufficio, stordito e teso, per il caldo, per i volti tirati e truci sulla metropolitana, per la nevrosi che palpita nell’aria. Chi glielo spiega alla gente che non siamo divisi e che quel dolore che ci portiamo dentro si riflette qui, esattamente nel centro del nostro essere, facendo entrare in risonanza una parte di noi? Chi me lo spiega a me il tuo segreto, che ti permette di passare indenne nel ferro e nel fuoco, ignorando il dolore? Chi mi racconta dell’immensa fucina di amore di cui sei fabbro e dalla quale riesci a forgiare l’armonia? Perché con te tutto si rasserena e si rinnova e svanisce il caldo e svanisce l’atroce odore dell’asfalto e l’ombra della sofferenza metropolitana. Sai che mi sono alzato da quel bar che ero avvolto come in una brezza leggera, (che tu l’abbia portata da Gstaad?) e stavo bene dentro di me. Ah potessi io rubarti qualche briciola del tuo segreto.
Giugno 2005. Realista.
L’anno che ti conobbi Teresa ed io abbiamo passato le ferie a Bad Gastein in Austria e durante quelle ferie, ogni tanto, parlavamo della settimana che avremmo fatto in Svizzera per conoscere “un illuminato”.
- Chissà come sarà un illuminato? - Mi chiedevo nel mio animo. E Teresa, che di illuminazione conosce solo quella elettrica, chissà che avrà pensato dentro se. Avrà certo detto: - ma guarda cosa mi tocca fare per amore di mio marito - ed anche lei avrà pensato: - chissà come sarà questo illuminato? -
Di te – oh illuminato - conoscevo solo il pensiero, letto su: – La mente è un mito - Il tuo primo libro uscito in italiano, per mano di Giovanni (Giovanni Turchi Ed. AEQUILIBRIUM ndr). Conoscevo solo quel libro ma mi era piaciuto il tono che emanava dai dialoghi, quella tua propensione a smitizzare tutto, quel realismo quasi cinico, che faceva persino un po’ paura, ma che, nel contempo, sapeva tanto di “Verità”.
La risposta a quella domanda cioè “come sarà l’illuminato” non si è mai formulata nella mia mente perché se esiste una persona a questo mondo che è refrattaria agli aggettivi ed alle definizioni, quella persona sei tu. Ed a ben guardare un illuminato è proprio quello, cioè una persona originale e genuina come non se ne erano viste prima, perché se fosse assimilabile a qualche cosa di già visto sarebbe solo un’imitazione. Così io posso provare a dire tutto ed il contrario di tutto, ma il mio rimane un patetico tentativo di limitare l’illimitabile entro le anguste mura della parola pensata e scritta.
Un termine però per te l’ho trovato, un termine che si usa poco per le persone ma che a me piace. Sei realista e quel realismo, quella tua adesione strettissima al momento presente, contagia l’insieme che ti circonda. Ho scritto, da qualche parte, che sei una sorta di “Re Mida” che rende reale tutto ciò che tocca. E questa “sensazione”, vicino a te, l’ho avuta molte volte, anzi direi che è quasi una costante.
Sono solo parole che vorrebbero spiegare come un evento comune, possa avere un “sapore” così profondamente diverso. In fondo gli ingredienti che formano l’evento sono banali. Non c’è una battaglia di mostri alieni che sviscerano armi terribili, c’è solo un prato di uno chalet svizzero ed in quel prato ci sei tu seduto su una sedia e noi attorno a te. Quante volte mi è successo di essere seduto in mezzo ad amici? Tante direi, veramente tante, ma con te è diverso. C’è un’alchimia che trasforma la materia rendendola di una qualità più sottile come se l’intera scena fosse collocata in qualche luogo fuori dal tempo e dallo spazio. E i suoni sono dolci e non feriscono l’orecchio e la luce è tenue e non fa male agli occhi, c’è un’immensa pace, così che tutta la scena è trasfigurata.
Che buffo….. tu, il piccolo uomo che percorre le vie del mondo. Tu, sconosciuto ai più, un po’ nascosto, che ha sfuggito la fama, la gloria, il potere, la celebrità, tu stringi nelle tue piccole mani il potere più alto, quello di distruggere e di allontanare il male.
Agosto 2005 – A Gstaad
Se quest’anno al mare è stata l’orgia dell’azzurro a Gstaad è sempre l’orgia del verde. I prati della valle si inerpicano verso le cime tondeggianti rotti dalla vegetazione sempre diversa, che con le sue sfumature satura la vista. Un’orgia di verde senza ritegno che non si può guardare a lungo. E non bastano a rompere l’ossessione verde la dispersione sui dorsi delle montagne degli chalet e non bastano quei picchi di roccia in lontananza o l’azzurro del cielo. Gstaad è verde come la speranza.
Tu, invece, come sempre e per fortuna, di speranze ne lasci poche. Si! dico per fortuna, perché, per me, la disillusione ed il disincanto restano una vaga meta, presente nella mia vita come il fioco lume che nella notte pulsa all’orizzonte indicandomi la strada.
Distruttore di miti, anche se tu dici di no. Quando ti dissi a Baveno: - tu sei Shiva! Il distruttore. – Tu mi rispondesti: - ma che distruttore che non sono riuscito a distruggere nemmeno te – Eppure tutto in te brucia l’illusione, dalle tue parole, alla tua condotta, al tuo stesso essere.
Qualcuno mal tollera questa spietata radicalità con la quale attacchi verbalmente, ogni modello della cultura umana. Ma è facile vedere che non è un fatto personale, che non ce l’hai realmente con J.K. o con Ramana o con chicchessia, ma ce l’hai col modello che la società ci ha posto davanti e che ci ha portati a non accettare più ciò che siamo nel profondo di noi stessi. Ma non voglio fare filosofia! Non qui! Non ora! Forse un giorno la farò, quando sarò più bravo, ma non adesso. Adesso voglio parlare di Gstaad e dell’orgia del verde e di questa volta che sono rimasto 5 giorni e che in modo diverso da altre volte, sono stati cinque giorni speciali.
Sembra un fatto che quando vengo da te con un lutto tu mi snobbi profondamente. Lo facesti l’anno in cui morì mia madre e lo hai fatto anche questa volta, per la morte recente di mio padre. Questa volta sapevi del mio lutto e non appena arrivato mi hai chiesto qualche cosa su di lui. Uno scambio di poche frasi, dopo del quale mi hai lasciato, praticamente senza rivolgermi un’occhiata, una parola, una considerazione, per il resto della vacanza.
Non che fosse particolarmente strano, perché lasci sempre molto poco spazio ai nostri ego e capita spesso che ci ignori a lungo. Ma questa volta stentavo a capire. Accettavo, come accetto sempre ma non capivo, anche perché dentro mi sembrava di avere la voglia di essere più protagonista, più partecipe dell’allegria degli amici, più vicino, presente, attivo.
Credevo di non avere avuto dolore per la morte di mio padre. Credevo perché è stata una morte aspettata e poi lui era tanto che non era più con noi a causa del morbo di alzhimer. Invece il dolore c’era ed io lo stavo inibendo. Non forte ma c’era. L’ho inibito da subito e lo inibivo ora a Gstaad, mentre camminavo nella valle, quando uscivo per sgranchirmi le gambe o per fumare una sigaretta, o per respirare la montagna.
Poi, l’ultima sera, quando sono uscito all’imbrunire e camminavo nelle ombre del temporale imminente ho capito cosa mi succedeva dentro in quel momento. In realtà, non avevo voglia di attenzioni, avevo voglia solo di silenzio, di solitudine, di rimanere un po’ con me stesso, solo, invisibile, ignorato da tutti, senza doveri, senza richieste, senza domande.
Oddio….. volevo esattamente quello che mi stavi dando. Quell’essere ignorato, quell’essere lasciato in pace, quasi in disparte, per un momento, per un poco. Volevo quello e tu me lo stavi dando esattamente come la parte più intima e profonda di me stesso lo desiderava.
L’ho capito solo alla fine, anche se, appena arrivato, leggendo il tuo nuovo calendario del 2006 avevo trovato questa frase: - Il vostro problema non è come ottenere qualcosa da qualcuno, ma come rifiutare tutto ciò che vi è offerto dagli altri. – Essere presente, attivo, partecipe dell’allegria degli amici, in quel momento non era una mia reale esigenza. La mia reale esigenza era rimanere solo e tu la stavi colmando.
E’ presto per dirlo. Sono arrivato a casa poche ore fa e sono stanco ancora dal viaggio. Per di più siamo passati dai 10 gradi di Gstaad ai 30 di Milano, l’orgia del verde balla ancora nei miei occhi ed il calore degli amici scalda ancora il mio cuore. E’ presto per dirlo ma adesso mi viene da pensare che come distruttore sei un po’ scarso, ma come consolatore sei sempre una forza della natura perché quella sera, sotto quel temporale che sembrava voler squarciare il cielo, ho fatto pace con me stesso.
Dicembre 2005. La straordinaria intelligenza del corpo.
Una delle cose più evidenti, per me che ti ho frequentato con abbastanza assiduità, è la tua capacità di normalizzare gli eventi, accompagnata da quell’ondata di pace che si percepisce standoti vicino. So la tua idiosincrasia verso la spiritualità o i richiami alle scritture, ma voi indiani avete una parola per descrivere questa fenomeno di trasmissione della pace, una parola che noi occidentali non abbiamo e questa parola è Sat Sang, cioè il sodalizio con i saggi.
Già Ramana Maharishi, in accordo con la tradizione indiana, asseriva questo concetto parlando della superiorità del Sat Sang rispetto a tutti gli altri metodi di indagine e di crescita personale e con una bellissima metafora paragonava le varie tecniche ad un ventaglio ed il Sat Sang ad una fresca brezza:
– Dimmi a cosa serve, o Arunachala, un ventaglio quando spira la fresca brezza del sud? –
Ora io non voglio disquisire sul fatto se esista una crescita personale e se sia il caso di intraprendere o meno la strada per arrivare ad essa, e in caso affermativo, disquisire se è vero che il sat-sang è il metodo più valido, ma quella fresca brezza, per dio, io l’ho sentita e sperimentati sulla mia pelle e non era la suggestione di una volta, ma era una costante di ogni incontro. E se venivo da te con il fiato corto perché la testa era piena di vibrazioni e di emozioni, dopo un po’ che ero lì, tutte quelle tensioni interne, retrocedevano sullo sfondo ed al suo posto subentrava una specie di “armonia” fatta di una quieta calma, che si poteva risolvere in una più chiara percezione dell’insieme, o a volte in un dolce torpore che conduceva al sonno, o altre volte in ilarità che stentava a frenarsi.
Concordo con te che non era niente né di mistico, né di paranormale, non uno stato alterato di coscienza ma, per fare un esempio recepibile, un po’ come il benessere che si prova dopo un buon sonno. Quell’effetto era innegabile ed era forse, ciò che teneva me, assieme a molti altri, inchiodato sulla sedia, al solo fine di starti accanto. Era lo stesso effetto che, probabilmente, aiutò Parveen Baby a superare la sua crisi ed era così potente che arrivava ad armonizzare anche il corpo Si perché poi tu l’hai detto, a qualcuno di noi, un po’ troppo preoccupato per la sua salute. Stringendogli la mano gli hai detto, con grande enfasi: - non c’è niente che non va in te! Se ci fosse questo organismo, (riferendoti a te stesso ed al tuo corpo), lo sentirebbe – E quando parlavi dell’incredibile intelligenza e sensibilità del corpo eri molto chiaro: – Questo corpo sa!... conosce!... Esso ha attraversato milioni di anni di evoluzione e racchiude in se una straordinaria intelligenza e straordinarie conoscenze. –
Se dico io una cosa simile a qualcuno mi prendono per matto, ma la tua enfasi e la tua certezza erano così assolute che si capiva che parlavi di qualche cosa che per te era assolutamente chiaro ed evidente. E tale era il tuo modo di sentire in quello che, cedendo alle nostre pressioni, qualche volta chiamasti “lo stato naturale”. Quello che succede fuori si riflette qui, all’interno del nostro essere, dicesti. Si percepisce come – un tonfo nel timo –
Teresa non ha mai realizzato pienamente che l’anno che ruppe il polso lasciò il suo male a Gstaad, così come io lasciai il mio nell’occasione della morte di mia madre. I polsi devono essere il suo tallone di Achille, perché già da ragazza li aveva rotti entrambi. Questa volta i medici dissero che era “una brutta frattura”, perché l’osso era rotto di traverso e soprattutto: - non era garantita la ripresa della piena mobilità - Per tutto il tempo che tenne il gesso si lamentò del male, così come, subito dopo averlo tolto, piangeva, durante le sedute riabilitative, per il dolore. Io quell’anno arrivai a Gstaad una settimana prima di lei, proprio perché lei doveva fare la fisioterapia. Ricordo con tenerezza e con simpatia il pomeriggio che doveva arrivare, e la mia ansia.
Tu, quell’ansia la cogliesti nell’aria ed era così forte che ad un certo punto dicesti: - non capisco perché siete così ansiosi quando deve arrivare una persona – Non ti rivolgesti direttamente a me ma, come spesso fai, lo dicesti in maniera generica. Oh cavoli era vero, neppure io sapevo il perché di quell’ansia e perché in quel momento non bastava neppure la tua presenza a tenerla lontana, ricordo solo che fui ansioso finché non scese dal treno e la strinsi fra le mie braccia. Aveva ancora il braccio legato al collo e mi parlò del suo dolore.
Il dolore di una vita, il dolore che c’era a casa, il dolore del polso, presso te non potevano albergare. “Quell’organismo lì”, l’avrebbe curato. E lei piano, piano, standoti vicino, iniziò a dimenticare il polso ed il dolore e di quel fatto, dopo Gstaad, non ne ha mai più parlato.
Non vuoi essere associato ai maestri, agli uomini di fede ed alle religioni. Ma io, non ho ancora le parole per spiegare, ed allora mischio le parole tue e le mie: - Quell’organismo lì, che sente nel timo ciò che lo circonda, ha due occhi che ardono di compassione, che curano e confortano. –
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