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Bene
Bene, concetto che, nella storia della filosofia, è stato elaborato secondo due diverse prospettive fondamentali: quella metafisico-oggettivistica e quella soggettivistica. La prima domina nel pensiero antico e medievale. Essa riceve una compiuta formulazione con Platone, che nella Repubblica (VI, 508 sgg.) paragona il bene al sole: come il sole fa essere e rende visibili le cose, il bene fa essere e rende conoscibile il mondo delle idee, cui lo stesso mondo sensibile partecipa per quello che ha di vero e buono. Il bene è cosi la radice e la fonte dell'essere e del valore di tutte le cose. Aristotele (Etica nicomachea, I) polemizza con Platone sostenendo che il bene non è un'idea trascendente, ma qualcosa di agibile e praticabile da parte dell'uomo: egli permane però platonico quando identifica il bene nel senso di Platone con l'atto puro o motore immobile, che spiega il continuo passaggio delle cose dalla potenza all'atto e tutte in questo senso le muove come il fine ultimo a cui esse tendono. La concezione platonica è ripresa da Plotino, che fa del Bene la prima ipostasi dell'Uno: le cose sono buone in quanto partecipano al Bene derivando per via emanativa da esso. Questa concezione viene infine assunta dal pensiero cristiano, che la trasforma però alla luce della propria teoria creazionistica. Per la dottrina medievale dei trascendentali, bene ed essere sono convertibili: il bene è l'essere stesso in quanto appetibile, i gradi del bene e quelli dell'essere coincidono; Dio è Sommo Bene ed Essere Supremo e le creature sono buone in quanto, da lui create, gli sono in qualche modo simili.
Anche nell'antichità non mancarono concezioni soggettivistiche del bene (si pensi, per esempio, alla sofistica), ma esse furono sviluppate soprattutto nella filosofia moderna e contemporanea. Carattere comune di tali concezioni è la considerazione che il bene si definisce solo in relazione al soggetto che lo vuole o desidera. La soggettività può essere poi concepita come una soggettività puramente empirica, e si avrà allora una sorta di relativismo (per esempio nel pensiero dei libertini o in quello di Th. Hobbes), o come capacità di determinarsi secondo una legge universale, e questa è la posizione kantiana. Pur nell'ambito della definizione soggettivistica del bene, Kant intende venire incontro a quell'esigenza di oggettività cui soddisfaceva l'oggettivismo metafisico: bene è ciò che è voluto da una volontà che si determina secondo una legge universale, e in questo modo si identifica con la volontà buona. La polemica fra soggettivismo e oggettivismo continua anche nella filosofia contemporanea. Lo spiritualismo mira a far rivivere la concezione tradizionale (greca e medievale) del bene. Il neoidealismo, riprendendo lo sforzo dell'idealismo romantico di superare il formalismo della posizione kantiana, recupera, nel contesto di una nuova metafisica della soggettività, elementi di questa tradizione. Il pragmatismo, il neopositivismo e la filosofia analitica sono legati a una concezione più o meno radicale di soggettivismo relativistico. Un posto a parte meritano infine la fenomenologia e certe correnti neorealistiche (per esempio G.E. More) che sostengono l'oggettività del bene, o più in generale dei valori, senza legarla però immediatamente (o senza legarla affatto) con la prospettiva teologica cui la tradizione l'aveva strettamente connessa.
Fonte: Enciclopedia Garzanti di Filosofia - 1990
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