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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


Psicoanalisi e cognitivismo

Conversazione con Paolo Roccato (Psicoanalista)
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- dicembre 2007
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La psicoanalisi di Freud come appare retrospettivamente?

Il pensiero di Freud ha, fondamentalmente, un valore storico, e non più un valore diretto di conoscenza. Come il pensiero di Pasteur, del grande Pasteur: molte delle sue intuizioni e alcuni dei suoi esperimenti sono fondamentali nella storia del pensiero scientifico per quel che riguarda le scienze biologiche e mediche. Ma, dopo la fittissima rete di conoscenze aperte, per fare un esempio, dalla biologia molecolare, sarebbe del tutto insensato, nello studio di una qualunque malattia, rifarsi al puro e semplice pensiero di Pasteur.
Di Freud credo siano da salvare molti dei suoi portati di metodo, mentre credo siano da abbandonare quasi tutti i suoi portati di contenuto. È inaccettabile, per esempio, la teoria “energetica” della mente, secondo la quale essa sarebbe attivata dalle pulsioni (che sarebbero i rappresentanti psichici degli istinti). La pretesa “energia psichica” non esiste. È soltanto una metafora, che quindi può piacere o non piacere, può essere ritenuta utile e chiarificatrice o inutile e fuorviante. L’arcaico paradigma pulsionalistico di Freud, a mio parere, deve essere sostituito da un paradigma adattativo-cognitivistico-relazionale, capace di armonizzarsi con i portati delle ricerche empiriche osservative e sperimentali. Secondo questo paradigma, la mente si attiva non già per “scaricare” pretese “energie psichiche” (che non esistono), ma per cercare di conoscere sia la realtà esterna sia il soggetto stesso sia la relazione bidirezionale che va strutturandosi fra se stesso e realtà esterna, al fine di perseguire il massimo di armonia possibile e il minimo di disarmonia.
Io mi colloco all’interno delle prospettive della Psicologia psicoanalitica del e dell’intersogettività, che trovo molto chiare e utilizzabili a molti livelli: dal fondare teorie della mente che permettono profondità e ampiezza di comprensione dei fenomeni intrapsichici e relazionali e che sono confrontabili con altre teorie della mente; al fondare ricerche confrontabili con ricerche fondate in modi differenti; dal fondare teorie della tecnica psicoterapica confrontabili con altre teorie della tecnica; alla verificabilità della validità della prassi nell’ambito della clinica.
Se ci si fermasse ai percorsi tracciati dai pionieri, non esisterebbe più esplorazione. Siamo grati ai pionieri che hanno iniziato le esplorazioni, ma noi non ci fermiamo lì. Noi non siamo adepti di una setta mistica, ma studiosi e clinici vivi e attivi, che sentono irrinunciabile il porsi come soggetti nelle loro ricerche e nelle loro prassi.

 

Molti studiosi, digiuni di cognizioni psicoanalitiche, esaltano puntualmente alla prima occasione le straordinarie doti letterarie di Freud, salvo misconoscerne la fondamentale attività teorico-clinica. Lei cosa ne pensa?

Io, se contestualizzo il pensiero di Freud, non posso che esserne ammirato sia sul piano letterario sia su quello di fondatore di teorie e sia pure di inventore di metodologie cliniche. Ma se, invece, valuto il suo apporto per una sua utilizzabilità diretta da parte mia (di me, che mi trovo ad operare a un secolo di distanza), mi trovo a concludere che – di fatto – non posso far altro che trascurarlo.
Questo non vuol dire essere o porsi come “antifreudiano”. Se penso in termini scientifici rigorosi al calore, per esempio, non posso più fare riferimento al preteso “fluido calorico” che i nostri antenati ipotizzavano, anche se posso essere grato a loro che hanno esplorato quei territori. E così, io sono realmente ammirato dagli scritti di Galileo, dal suo modo di ragionare e di argomentare (che ancora oggi leggo con grande piacere), ma sarebbe insensato che io mi ponessi come “galileiano”, per contrappormi, che ne so?, ai teorici della relatività.
Trovo fondamentalmente oziose ed arcaiche (e fastidiose) queste discussioni.

 

Alla mente di chi ha una formazione psicoanalitica, i concetti della psicoanalisi forniscono strumenti utili per espandere, consolidare e arricchire la propria vita e le proprie relazioni con gli altri. E tuttavia è difficile comunicare tutto questo a chi non ne ha avuto esperienza. A coloro per i quali la psicoanalisi non è una realtà vissuta, i suoi concetti possono sembrare strani, astratti, alieni e distanti. A volte è difficile credere che proprio questi concetti siano tratti dalla reale esperienza umana… Le voci di coloro che hanno tratto beneficio dalla psicoanalisi o che la praticano non vengono ascoltate spesso. Come vede questo problema, ammesso che sia un problema?

Ero ancora giovane, ancora al liceo, quando ho pensato che se uno ti parla e tu non capisci o quello non sa ciò di cui ti vuol parlare, o ha le idee confuse, oppure ti vuole imbrogliare.
Io credo che, se una cosa è vera, essa parla da sola alle menti.
Nei miei scritti e nei miei seminari io ho sempre cercato di essere chiaro, comprensibile da tutti. Ho sempre cercato di parlare tenendo conto dei miei ascoltatori. Ho sempre cercato di dire cose da loro utilizzabili. E credo di esserci riuscito.
Penso che si può davvero parlare a tutti, facendosi da tutti comprendere, di ogni cosa: di inconscio, di emozioni, di conflitti, di ambivalenza, di relazionalità concordante e discordante, di strutturazione e ristrutturazione del Sé; delle modalità di passaggio della patologia mentale fra le generazioni; di collusione, di pressione relazionale, di transfert e controtransfert, di scissione; di repressione; di nevrosi e psicosi, di integrazione, di divenire psichico e relazionale, di psicoterapia, di vissuto condiviso, di rêverie, di relazioni fondanti di base, di attaccamento, di modelli operativi interni, di funzione riflessiva, di identificazione proiettiva, di proiezione, di isolamento, di potere relazionale, di controllo relazionale, di “Falso” Sé e di “Vero” Sé; di psicologia evolutiva, di prospettiva del Sé e di prospettiva intersoggettiva... Se ne può parlare in modo chiaro, ma rigoroso; semplice, ma esaustivo. E in modi utilizzabili.
Credo che quello di porsi in modi oscuri nei rapporti con gli altri non del mestiere sia stato uno dei più diffusi difetti degli psicoanalisti che ci hanno preceduto, quasi si trattasse, a volte, di comprensibilità riservate a comunità “iniziatiche”.
Tutti gli umani hanno avuto esperienza di eventi intrapsichici e relazionali, tutti hanno strutturato il loro proprio , tutti hanno vissuto conflitti e ambivalenze, frustrazioni e dolore, “incomprensibilità” di certo loro sentire, dissonante con certo altro contemporaneo loro sentire. Se uno sa “intonarsi”, sa anche parlare a chiunque sia desideroso di dialogo.
E poi, a me viene sempre da pensare che “lo Spirito soffia dove vuole” (per usare una espressione poetica). Gli interlocutori sono interi: se al loro interno c’è un qualche aspetto del loro Sé che è “refrattario” a qualche cosa, da qualche altra parte del loro medesimo Sé c’è di sicuro un qualche altro aspetto che è sensibile e risuona proprio rispetto a quelle cose. Questo pensiero mi aiuta a mantenere viva la fiammella della speranza anche nel corso del trattamento di psicoanalisi o di psicoterapia, e non solo nei dialoghi extraanalitici.

 

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