Testi per Riflettere
Il mito dell'io
Di Alan Watts
Da: "Il Tao della filosofia" - Red Edizioni
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Ecco perciò il segreto: ciò che è esoterico, profondo, intenso, viene denominato "implicito". Ciò che è ovvio e pubblico si chiama "esplicito". Così, io nel mio ambiente e voi nel vostro siamo esplicitamente tanto diversi quanto possibile, ma implicitamente siamo un tutt'uno. Lo scienziato riesce a scoprire questa realtà molto velocemente, quando cerca di descrivere esattamente che cosa stiamo facendo; dato che tutta l'arte della scienza è quella di illustrare il nostro comportamento, quest'ultimo non è qualcosa che può essere separato dal mondo che ci circonda. Quindi lo scienziato si rende conto che siamo qualcosa che tutto il mondo sta facendo, proprio come quando il mare ha le onde, l'oceano "ondeggia". Così ognuno di noi è un 'ondeggiamento' di tutto il cosmo, l'opera completa, tutto ciò che c'è, e insieme con ciascuno di noi è questo 'ondeggiamento' che dice: "Ehi! Sono qui!", eppure ogni volta è diverso, perché la diversità dà sapore alla vita.
Il fatto strano, però, è che non siamo stati educati a sentire in questo modo. Invece di sentire che siamo qualcosa che tutto il regno dell'esistenza sta facendo, percepiamo di essere entrati in questa totalità come stranieri. Quando nasciamo non sappiamo da dove veniamo perché non lo ricordiamo; così pensiamo che anche quando moriremo sarà uguale. Alcune persone si consolano con l'idea che andranno in paradiso oppure che si reincarneranno, ma in generale nessuno ci crede veramente. Per la maggior parte della gente non è una storia accettabile; perciò la cosa che davvero ossessiona è che quando si muore ci si addormenta per non svegliarsi mai più. Saremo chiusi a chiave nella cassetta di sicurezza delle tenebre per sempre. Però, tutto questo si basa su una nozione falsa di ciò che è il sé di un individuo. Il motivo per cui abbiamo questo concetto errato di noi stessi, per quanto sono riuscito a capire, sta nel fatto che ci siamo specializzati in un tipo particolare di consapevolezza.
Generalmente parlando, possediamo due modelli di consapevolezza. Chiamerò il primo "faro direzionale" e il secondo "luce a largo fascio". Il faro è l'attenzione consapevole e fin da bambini ci è stato detto che costituisce la forma di percezione più preziosa. Quando il maestro dice alla classe: "Fate attenzione!", ogni allievo guarda verso l'insegnante. Questa è la consapevolezza "faro": fissare la mente su un solo oggetto alla volta. Ci concentriamo e anche se non siamo in grado di avere una durata di attenzione molto lunga, usiamo il nostro "faro": ci focalizziamo su un oggetto dopo l'altro, uno dopo l'altro... Tuttavia abbiamo anche una consapevolezza "a largo fascio". Per esempio, possiamo guidare l'automobile per diversi chilometri con un amico seduto a fianco e la nostra consapevolezza 'faro' può essere completamente assorbita nella conversazione con l'amico. Eppure l'attenzione "a largo fascio" si arrangia a guidare il veicolo, vedrà tutti i segnali stradali, gli altri idioti che stanno guidando e così via, e noi arriveremo alla meta sani e salvi senza neppure pensarci.
La nostra cultura, però, ci ha insegnato a specializzarci nella consapevolezza 'faro' e a identificarci solo con essa. "Io sono la mia consapevolezza faro, la mia attenzione cosciente; cioè il mio ego; cioè me." Sebbene in larga misura la ignoriamo, la 'coscienza a largo fascio' è all'opera senza sosta e ogni terminazione nervosa che possediamo è un suo strumento. Potete uscire a pranzo ed essere seduti accanto alla signora Tal dei tali, poi tornate a casa e vostra moglie vi chiede: "C'era anche la signora Tal dei tali?" "Sì, ero seduto accanto a lei." "Che cosa indossava?" "Non ne ho la più pallida idea." Avete visto, ma non avete notato. Ora, siccome siamo stati abituati a identificarci con la consapevolezza "faro", mentre quella a "largo fascio" è sottovalutata, abbiamo la sensazione di noi stessi in quanto consapevolezza "faro": un io che guarda e si occupa di questo e di quello. In tal modo, non siamo coscienti della immensa vastità del nostro essere. Persone che, grazie a diversi metodi, diventano totalmente coscienti della propria consapevolezza a largo fascio, fanno un'esperienza cosiddetta "mistica": il buddhismo la definisce bodhi, "risveglio"; gli induisti la chiamano moksha, "liberazione". In questa esperienza si scopre che il vero, profondo Sé, ciò che voi siete veramente, fondamentalmente e per sempre, è l'essere nella sua interezza, tutto ciò che è, che opera: quello siete voi. Soltanto questo Sé universale che costituisce la vostra vera realtà ha la capacità di focalizzarsi in numerosi e diversi qui e ora. Affermava William James: "La parola 'io' è in realtà un termine che esprime un concetto di posizione, come 'questo' oppure "qui". Proprio come il sole e le stelle hanno molti raggi, l'intero cosmo esprime se stesso in te, in voi, in noi, in tutte le variazioni possibili. Gioca: gioca il gioco chiamato Mario Rossi, Maria Verdi, Giuseppe Bianchi. Gioca il gioco dello scarafaggio, il gioco della farfalla, dell'uccello, del piccione, del pesce, delle stelle. Sono giochi diversi uno dall'altro, proprio come il backgammon, il bridge, il poker, il pinnacolo, o come il valzer, la mazurca, il minuetto, il tango. È una danza con variazioni infinite, ma ogni danza (cioè ognuno di noi) è ciò che sta facendo l'essere intero. Ma noi lo dimentichiamo e non sappiamo chi siamo. Veniamo educati in un modo tale da non renderci conto di questa connessione, ignoriamo che ciascuno di noi è l'opera, il gioco giocato in un certo modo per un certo tempo.
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