Testi per Riflettere
Il mito dell'io
Di Alan Watts
Da: "Il Tao della filosofia" - Red Edizioni
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Ne consegue che l'unica speranza per l'umanità è costringere questo universo irrazionale alla sottomissione, conquistarlo e dominarlo. Naturalmente, l'intero discorso e una perfetta idiozia. Se pensate che l'universo sia stato creato da un gentiluomo vecchio e bonario, vi accorgerete ben presto che Egli non è così bonario e che ha un atteggiamento che indurrebbe a pensare: 'Questo farà più male a me di quanto ne farà a te'. Potete, certo, avere tale idea, ma se questa nozione dovesse diventarvi scomoda, potete cambiarla con l'altro concetto a vostra disposizione, il concetto opposto: vale a dire che l'ultima realtà non possiede intelligenza alcuna. Almeno un'impostazione del genere ci aiuterebbe a sbarazzarci del vecchio spauracchio lassù nel cielo, in cambio però dell'immagine di un mondo totalmente stupido.
Naturalmente, simili teorie non hanno veramente senso, perché non è possibile arrivare a un organismo intelligente, come l'essere umano, partendo da un universo non intelligente. Non può esistere un organismo intelligente che vive in un ambiente non intelligente. C'è un albero in giardino e ogni estate produce mele; lo chiamiamo melo, perché l'albero fa le mele. C'è un sistema solare all'interno di una galassia e una delle sue peculiarità che (perlomeno per quanto riguarda il pianeta Terra) 'produce' esseri umani, proprio come l'albero 'fabbrica' le mele. Forse, due milioni di anni fa, dentro un disco volante è arrivato qualcuno da un'altra galassia, ha visto questo sistema solare, ha alzato le spalle e ha detto: "È solo un ammasso di rocce", ed è ripartito. Più tardi, due milioni di anni dopo, è ritornato, ha guardato di nuovo e ha detto: "Scusatemi, credevo che fosse soltanto un ammasso di rocce, ma in realtà è popolato, è vivo: ha fatto qualcosa di intelligente". L'uomo cresce in questo mondo esattamente come le mele crescono sul melo: se l'evoluzione ha un significato, il significato Ë proprio questo. Ma noi, curiosamente, lo distorciamo. Diciamo: "D'accordo, all'inizio non c'era altro che gas e roccia. Poi è capitato che vi sorgesse l'intelligenza, come una specie di fungo o poltiglia che si è posata sopra al tutto". Ma questo modo di pensare separa l'intelligenza dalle rocce. Dove ci sono le rocce bisogna stare attenti, perché un giorno diventeranno vive e saranno brulicanti di esseri. È solo una questione di tempo, proprio come la ghianda un giorno diventerà una quercia perché ne ha intrinsecamente la potenzialità. Quindi state attenti: le rocce non sono senza vita.
Dipende dal tipo di atteggiamento che scegliete di avere nei confronti del mondo. Se lo volete umiliare, potete dire: "Fondamentalmente è soltanto un po' di geologia, un po' di stupidità bella e buona, su cui appare, per caso, una specie di fenomeno che noi chiamiamo coscienza". Questo è un atteggiamento che possiamo assumere quando vogliamo provare agli altri che siamo tipi tosti, concreti, che guardiamo in faccia ai fatti, che non indugiamo nelle illusioni. In realtà stiamo semplicemente impersonando un ruolo e ce ne dobbiamo rendere conto: si tratta di mode intellettuali. D'altro canto, se provate amore per l'universo, lo elevate invece di umiliarlo, e a proposito delle rocce, direte: "Sono veramente consapevoli, ma una forma diversa di consapevolezza". Naturalmente la coscienza è qualcosa di molto più sottile. Ma se percuotete una campana o urtate un cristallo, essi rispondono: dentro di loro c'è una reazione estremamente semplice. È un suono che proviene dall'interno, mentre noi 'risuoniamo' a ogni tipo di colore, di luce, di intelligenza, di idee, di pensieri; è più complicato. Entrambe le reazioni sono ugualmente consapevoli, anche se in modi differenti. È un concetto perfettamente accettabile. Quello che voglio dire è che i minerali possiedono una forma rudimentale di coscienza; altri, invece, sostengono che la coscienza sia una forma complessa di sostanze minerali. Queste persone ritengono che ogni cosa sia scialba, mentre io affermo che la vita è uno spettacolo magnifico.
Ciò nonostante, mentre studiamo l'essere umano o qualsiasi altro organismo vivente e cerchiamo di descriverli in modo accurato e scientifico, ci accorgiamo che la normale percezione di noi stessi come tanti io isolati dentro una borsa di pelle è un'allucinazione. E veramente pazzesco, perché quando si cerca di definire il comportamento umano, oppure il comportamento di un topo, di un ratto, di un pollo (o di qualsiasi altro organismo) si scopre che se si vuole descrivere questo comportamento in modo accurato si deve analizzare anche il comportamento dell'ambiente. Supponiamo che io stia camminando e voi volete descrivere l'atto del camminare. Non potete parlare del mio modo di camminare senza descrivere il suolo, perché se non lo fate e se non descrivete nemmeno lo spazio dentro il quale mi sto muovendo, parlerete solo di qualcuno che sta facendo dondolare le gambe in un spazio vuoto. Così come raccontate il mio modo di camminare, dovete raccontare anche lo spazio in cui mi trovate. Non potete vedere se non vedete anche lo sfondo; ciò che sta dietro di me. Se i limiti della mia pelle avessero la stessa estensione della totalità del vostro campo visivo, non mi vedreste affatto. Osservereste le cose che riempiono il vostro campo visivo, ma non vedreste me, perché per vedermi non dovreste vedere soltanto ciò che è all'interno del limite della mia pelle, ma anche quello che è fuori.
È un fatto estremamente importante. In realtà l'ultimo mistero, quello fondamentale, l'unico che dovete conoscere per capire i segreti metafisici più profondi, è questo: per ogni fuori c'è un dentro e per ogni dentro c'è un fuori, e benché siano differenti, i due sono un tutt'uno. In altre parole, vi è una cospirazione segreta tra ogni interno e ogni esterno: ciascuno cioè deve apparire quanto più è possibile diverso dall'altro, ma sotto sotto entrambi sono identici. Non troverete mai l'uno senza l'altro. I due si sono messi d'accordo per darsi battaglia.
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