Riflessioni sul Senso della Vita
di Ivo Nardi
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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Claudio Naranjo
Aprile 2012
Claudio Naranjo è nato a Valparaiso (Cile) nel 1932, ha studiato medicina, psichiatria, musica e filosofia. Si è specializzato presso la Clinica Psichiatrica diretta da Ignacio Matte Blanco.
Ha insegnato Psicologia dell'Arte nell'Università Cattolica e Psichiatria Sociale all'Università del Cile e ha diretto il Centro Studi in Antropologia Medica. Negli anni '60 ha dato un notevole contribuito alla ricerca sulle sostanze psichedeliche.
Amico caro di Carlos Castaneda, è stato uno dei successori di Fritz Perls all'Esalen Institute in California, diventando uno dei principali esponenti della Terapia della Gestalt.
Ha contribuito allo sviluppo della psicologia transpersonale, integrando la psicoterapia con varie discipline e tradizioni spirituali, rifacendosi anche all'idea di "Quarta Via", ripresa da Georges Gurdjieff. La ricerca sui caratteri della personalità lo ha portato all'elaborazione dell"Enneagramma dei tipi psicologici", una sorta di ponte tra oriente e occidente nella concezione della mente umana.
E' considerato uno dei pionieri dei "Movimenti del potenziale umano".
Ha insegnato Religioni comparate al California Intitute of Asian Studies, Psicologia umanistica all'Università di California in Santa Cruz e meditazione al Nyingma Institute a Berkeley, California.
Nell'ambito del percorso educativo noto come Programma SAT, la scuola di crescita personale fondata da Naranjo all'inizio degli anni settanta, la sua linea pedagogica è quella di una educazione integrale, che si ricollega al pensiero di Jean-Jacques Rousseau, John Dewey, Maria Montessori e Rudolf Steiner, ponendo l'accento sugli aspetti emotivi e spirituali del processo di apprendimento e sugli sviluppi che la relazione educativa attraversa nell'ambito di questo processo.
Il suo ultimo libro: Amore, coscienza e psicoterapia. Verso una nuova educazione dell'essere umano, Xenia, 2011. Per la biografia completa www.claudionaranjo.net sito web del prof. Claudio Naranjo. Intervista 8 febbraio 2012.
[NdA] Claudio Naranjo scompare il 12 luglio 2019.
1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos’è per lei la felicità?
Comincio a conoscerla solo da vecchio.
All’età di vent’anni, attraverso un grande amore, ho scoperto di essere stato depresso tutta la vita senza saperlo, credevo di essere più o meno felice, ma ho conosciuto nell’amore una felicità tale che mi ha dato una nuova prospettiva.
Attraverso la vita ho conosciuto poco a poco diverse forme di felicità e solo recentemente, posso dire, di sentire stati di felicità nel quotidiano, vengono e vanno via.
Che cosa è la felicità non so dirlo, è molto difficile spiegare in parole la differenza tra uno stato di vera felicità e altre cose, per esempio tutta la filosofia utilitarista (Jeremy Bentham, John Stuart Mill), che propone la massima felicità per la maggioranza, non fa questa distinzione tra i vari livelli di felicità.
Per me la felicità è incontrarsi, incontrare la mente profonda, quello che alcuni chiamano Dio o che altri chiamano la buddhità, non importano le parole, esiste un livello di verità profonda che credo sia lo scopo della vita e che sia l’unica base della felicità piena. La felicità piena direi che è un po’ paradossale perché non è tanto stridente come la felicità che conosciamo prima di avere la capacità di metterci in contatto diretto con noi stessi, è come se fosse meno rumorosa, più invisibile, più legata alla soddisfazione …non so dirlo, solo la musica riesce ad esprimere i vissuti, non le parole.
Essenzialmente la mia risposta alla domanda è che la felicità viene dalla realizzazione spirituale.
2) Professore Naranjo cos’è per lei l’amore?
Anche l’amore non è spiegabile con le parole.
In una mia teoria dico che l’amore è come lo spazio, nello spazio ci sono infiniti punti e ogni punto si può rappresentare secondo tre coordinate, così anche nell’amore ci sono tre dimensioni, ma le sue forme sono infinite. Nell’amore è facile parlare di un tipo d’amore come il godimento, legato alla felicità, all’estasi, all’eros, che va dalla terra al cielo, poi l’agape, l’amore compassionevole che è legato alla forma materna dell’amore, è legato all’empatia, alla solidarietà e un terzo amore che potrebbe chiamarsi Philia, prendendo il termine di Socrate e Aristotele, l’amore che opera nell’amicizia, che non è né compassione, né godimento, ma un riconoscimento dei meriti, io lo chiamo l’amore apprezzativo, ammirativo, è l’amore che agisce nella devozione a persone o al divino o agli ideali, l’amore per la giustizia, l’amore per la verità. Dunque c’è un amore che guarda in alto che guarda il cielo, creando valori e un amore che guarda in basso, guarda la terra, guarda gli umani e un amore che va avanti. Delle qualità dell’amore si può parlare, ma quando si cerca di dire cos’è l’amore in se, all’origine di queste tre dimensioni, non si riesce ad andare più lontano che a termini come valore, che è come dire niente, è solo una parola.
3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?
Non saprei come spiegarlo, questo è troppo grande per il pensiero umano.
Si raccontano “storie”, ad esempio nella liturgia della Settimana Santa si dice O felix culpa [NdR O colpa felice] in riferimento alla Caduta di Adamo considerata una premessa alla risurrezione, alla salvezza che viene con Cristo. Tutte le mitologie, tutte le tradizioni parlano tanto di una caduta come il ritorno all’origine spirituale. Potremmo dire che esiste il diavolo e che ha il ruolo di “allenatore”, per sviluppare i muscoli spirituali abbiamo bisogno del male, del dolore, per alzarci serve una forza negativa, contro la quale dobbiamo lottare.
È solo un tentativo di spiegare cos’è la sofferenza, è utile, ma io, intimamente, non credo di saperlo.
La teodicea mi sembra un’aporia. [NdR Il professore ride]
4) Cos’è per lei la morte?
La mia risposta è simile alla precedente, perché ancora non sono morto, o almeno non sufficientemente per rispondere… [NdR Ride]
Credo che la morte esista come parte di una polarità morte-vita, il fenomeno totale è un fenomeno di vita-morte, questi due aspetti non si possono separare, tutto è nel divenire, tutto è mutabile, tutto cambia. Quando nella mitologia indù si parla di Shiva come il dio dell’azione, lo chiamano il Signore delle trasformazioni, egli è molto legato alla morte, un po’ come il diavolo nel nostro simbolismo, perché ogni cambiamento è morire alle cose come sono adesso, ogni movimento è lasciare indietro le cose come erano, la vita è movimento, dunque il movimento e la morte sono inseparabili, la vita e la morte.
Credo che la morte, che per noi può sembrare la fine, è il culmine della vita e l’opportunità di attraversare una porta. Probabilmente quando nasce il feto è terrorizzato, sicuramente un bambino che nasce sente che muore, che sta morendo.
5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?
Io non credo tanto agli obiettivi intellettuali, consapevoli, nella vita mi sono affidato molto allo sviluppo spontaneo, alla intuizione del momento, come un cane che segue i consigli del suo naso, un cane che cerca qualcosa non so se ha un obiettivo, ma il naso sa dove condurlo.
Ad un certo punto nella mia vita ho sentito di avere una missione, che non ho cercato o costruito, è come se questa missione, che non avevo mai immaginato prima, si fosse impossessata di me.
In tarda età ho compreso che le tante cose imparate nella vita si ripropongono insieme in una forma compatta e sintetica. Mi sono dedicato negli ultimi dieci o più anni ad una militanza, una partecipazione attiva dedicata al cambiamento dell’educazione, almeno nel mondo occidentale, ma non era qualcosa di previsto, era del tutto inaspettato.
Penso sia rilevante un concetto che hanno gli induisti, nella loro cultura si parla di Svadharma, il Dharma è la via, la legge, ma la particella Sva vuol dire che è propria, quindi è il Dharma che appartiene ad un individuo. Forse abbiamo un compito ma non è un compito che si può chiamare progetto.
6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?
Io non lo so, non so se tutti abbiamo un progetto esistenziale, al di là della riflessione precedente su che cosa è un progetto.
Io credo che tutti abbiamo una missione comune ed è quella di realizzare il nostro potenziale, di diventare ciò che siamo, perché si nasce in un mondo malato, in un mondo alienato, un mondo disumanizzante, quando si entra nel mondo ci si perde a se stessi, dunque il progetto esistenziale comune sarebbe re-incontrarsi e crescere, crescere e fruttificare, perché la maggioranza delle persone vive una vita allo stato larvale, non arriva alla vera maturità dell’essere, come se la cultura impedisca che le persone vadano troppo al di là della condizione della maggioranza, che non è una condizione di maturità emozionale. Per esempio la maggioranza delle persone non arriva all’amore, alla felicità che sarebbe intrinseca alla natura umana, come se fosse vorace di superficialità e senza la possibilità di potersi sentire piena.
Dunque trovarsi e incontrare il proprio frutto. La vita di ognuno è come un albero che dà un particolare frutto.
7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?
Credo che sia molto vero che l’individualismo del nostro tempo ci ricopre, eclissa, crea una disconnessione della nostra parte solidale, siamo animali sociali o animali politici come diceva Aristotele, e siamo persone nelle quali la voglia del bene comune è parte intrinseca, è naturale, ma questo è stato rimosso, rimosso dalla cultura, rimosso dall’autorità, perché l’autorità politica dice: “lascia noi governare, tu non preoccuparti, non pensare tanto a queste cose”, sarebbe troppo complicato per le autorità politiche se tutti gli uomini diventassero animali politici, diventerebbe una Babele. Dunque siamo scoraggiati, si dà una stimolazione negativa a tutto ciò che riguarda l’interesse sociale, ci fanno credere che salvare il mondo è una pazzia, che solo un Messia può permetterselo, ma io credo che non sia così, è piuttosto come nel Buddhismo, dove il Bodhisattva, che vuol dire santo, è uno che già ha fatto a sufficienza per il suo proprio progresso e naturalmente comincia a interessarsi della salvezza degli altri.
8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?
Credo sia meglio non tentare di riconoscerli. [NdR Ride]
Io credo che il mito fondamentale della nostra cultura, il mito di aver mangiato il frutto della conoscenza, del bene e del male, causando la nostra caduta, sia vero, è vero che l’arroganza di sapere che cosa è bene, che cosa è male è il principio di autorità che comincia ad intervenire e ad obbligare le persone di essere buone, di non essere cattive, tutto questo paradossalmente non è buono, io credo che questo sia un atteggiamento normativo. Quando il bene è obbligatorio nasce il puritanesimo, nasce una mentalità compulsiva, come dicono i tedeschi: “tutto ciò che non è proibito è obbligatorio”, questa mentalità fa si che le carceri nel mondo civilizzato siano colme, è un atteggiamento criminalizzante, credo sia sbagliato, si dovrebbe pensare non tanto al bene o al male, ma alla virtù, la virtù è un’armonia interiore, la virtù nasce da una soddisfazione con se stessi perché si è trovata la radice del proprio essere, quando uno trova se stesso le azioni diventano buone. C’è una riga del Tao Te Ching che dice: “La virtù non è virtuosa, dunque virtù” [NdR Capitolo 38] più o meno il cinese suona così, ovvero, la virtù non ha la caratteristica, la voglia di essere virtuosa, la virtù è virtù perché è naturale, perché è spontanea. Dunque io credo che la preoccupazione per il bene e per il male dovrebbe diventare una preoccupazione sullo stare bene e non stare male, una preoccupazione piuttosto terapeutica che morale.
9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?
Per me, né la filosofia, né la religione.
Nella vita, nella giovinezza, mi sono interessato di scienza, per una voglia di sapere, per curiosità e non per un bisogno di aiuto, di consolazione. Dopo, deluso dalla scienza, passai alla filosofia, ma rimasi deluso anche dalla filosofia razionale e mi interessai del misticismo, ma non per trovare risposte, piuttosto mi interessava quello che dicevano i mistici, per arrivare dove loro sono, per avere una via, per sapere come evolvere, soddisfare un senso di incompiutezza. Alla fine, a ciò che dicono i mistici ho preferito il contatto diretto con le persone che hanno una realizzazione interiore, ho preferito l’influenza personale, non il contenuto intellettuale.
10) Qual è per lei il senso della vita?
Io credo che il senso della vita è la vita, ma nel senso pieno della parola. Che cos’è la vita? La vita è un processo evolutivo, la vita è crescita, la vita è… come dice una barzelletta, …il senso della vita è come una pianta di pomodoro [NdR Il professore Naranjo racconta la barzelletta]
…uno uomo che ha viaggiato sino all’Himalaya per visitare un famoso saggio che vive in una caverna, dopo un anno di ricerca arriva su questa alta montagna e pone al saggio questa domanda: “Qual è il senso della vita?” E il saggio famoso risponde: “La vita è come una pianta di pomodoro!”, e il cercatore molto indignato: “Mi hanno detto che lei può dirmi la verità, io ho investito tanto per arrivare qui e mi dice che è una pianta di pomodoro?” E il saggio: “Sarà come lei vuole! Forse non è una pianta di pomodoro…”
Io dico che è una pianta di pomodoro, nel senso che la vita è dare frutto, crescere e dare frutto.
Per la maggior parte delle persone la vita è un processo di espansione orizzontale, come fosse un albero che non cresce verticalmente. La vita non è solamente vivere di più, la vita è anche più che vivere, è intrinseco alla vita un movimento verticale di trascendenza, in questo senso completo della vita come evoluzione, di crescita, al di là dei suoi limiti, in questo senso credo si possa dire che il senso della vita è vivere.
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Ringraziamo il professore Franco Fabbro per aver reso possibile l'intervista al professore Claudio Naranjo.
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