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Spunti di Riflessione
di Marco Biagioli
Lo stolto rinvia al futuro che non c'è
Lo stolto rinvia al futuro che non c’è; il malinconico, l’uomo dell’acedia, al passato che non c’è più; il saggio si compone nel presente
L’emozione è essenzialmente “relazione” e dalla qualità delle nostre relazioni possiamo leggere il grado della nostra intelligenza emotiva, la cui educazione oggi è lasciata al caso. “Io sono stato abituato dalla vita isolata, che ho vissuto fino alla fanciullezza, a nascondere i miei stati d’animo dietro una maschera di durezza o dietro un sorriso ironico. Ciò mi ha fatto molto male, per molto tempo: per molto tempo i miei rapporti con gli altri furono un qualcosa di enormemente complicato”. Gramsci
Tutte le statistiche concordano nel segnalare la tendenza, nell’attuale generazione, ad avere un maggior numero di problemi emozionali rispetto a quelle precedenti e questo perché oggi i giovanissimi sono più soli e più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e impulsivi, più aggressivi e quindi impreparati alla vita perché privi di quegli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti quali l’auto consapevolezza, auto controllo, l’empatia, senza i quali saremo sì capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare. Ad esempio se i figli si sentono giudicati in maniera abnorme, diventano insicuri. Il figlio non prediletto sente meno amore, meno attenzione, ma ciò lo rende enormemente più libero. A lui i genitori chiedono, di solito, meno che agli altri. E’ più difficile che venga fatto oggetto di aspettative elevate e che susciti cocenti delusioni. Catastrofi educative che invece spesso non risparmiano chi si trova nella posizione di numero uno nell’affetto genitoriale. Se l’altro riconosce un mio talento io mi sentirò motivato a coltivarlo e spenderlo: se sarò riconosciuto un buon capo sarò un capo migliore, se sarò valutato un buon padre sarò un padre migliore. “Per il primitivo è facile essere sano, mentre per l’uomo civilizzato è un compito difficile” così Freud attribuiva la difficoltà all’eccesso di regole che governano le società civili, e quindi iscriveva la depressione nel novero delle “nevrosi” dove si registra il conflitto tra norma e trasgressione, con conseguente vissuto di colpevolezza. Oggi le norme limitative non esistono più, per cui ciò che un tempo era proibito è sfumato nel possibile e nel consentito. Per cui oggi la depressione (nuova malattia del secolo) origina da un “senso di insufficienza” per ciò che si potrebbe fare e non si è in grado di fare, o non si riesce a fare secondo le attese altrui, a partire dalle quali ciascuno misura il valore di se stesso. Il rimedio farmacologico al blocco della depressione può essere peggio del male perché, mettendo a tacere il sintomo, vietando che si ascolti, induce il soggetto a superare sé stesso, senza essere mai se stesso, ma solo una risposta agli altri, alle esigenze efficentistiche e afinalistiche della nostra società, con conseguente inaridimento della vita interiore, desertificazione della vita emozionale, omogeneizzazione alle norme di socializzazione richieste dalla nostra società, a cui fanno più comodo robot depersonalizzati e automi impersonali che soggetti capaci di essere sé stessi. Non è davvero “nostra” quella quiete dell’anima raggiunta al di fuori del dialogo di noi con noi, che è la prima condizione per cui, davvero possiamo dirci soggetti della nostra vita. La famiglia spesso è un luogo di violenza o perché si da sfogo in modo incontrollato alle emozioni, ai sentimenti, alle passioni che la nostra società ci costringe a reprimere fuori casa o perché si prosegue a casa quello stile educato e formale che si è appreso fuori casa, intervallato da gelidi silenzi o da taglienti parole educate, violenza calda o fredda, ma che va a violare l’alterità. Non si capisce che il figlio è altro dal padre (a volte un figlio trova più rispetto per l’alterità durante le vacanze con gli zii al mare), che la moglie non è proprietà del marito (“al primo matrimonio si cerca la perfezione, al secondo la verità”; “ci si sposa come si va al McDonald, poi si fa zapping”), non c’è rispetto per l’alterità dell’altro. Quella cosa opprimente, viscida e intrusiva che nelle famiglie si è soliti chiamare “amore” il più delle volte è “possesso” dell’altro, è annullamento di quella distanza che rispetta l’altro per la sua alterità. Quasi mai il dialogo è promosso per capire come è fatto l’altro, cosa pensa e cosa sente, perché l’altro semplicemente non esiste più nella sua alterità. Con l’alterità è abolita quella distanza senza la quale nessun dialogo è possibile. Paradossalmente per ridurre la violenza bisogna creare distanza (non disinteresse), una curiosità volta a scoprire quei mondi diversi che ognuno abita come sua casa anche se vive nella stessa casa. Senza la curiosità per l’alterità degli altri membri della famiglia, la casa diventa uno spazio di solitudine dove gli altri sono percepiti solo come risposte alle nostre esigenze e mai come domande che chiedono: chi sei tu? Nella sfera più ristretta della nostra vita privata il diniego dilaga in tutte le sue forme in maniera insospettata (chiudere un occhio, distogliere lo sguardo, guardare dall’altra parte, mettere la testa sotto la sabbia, non sollevare la polvere, fare lo struzzo, lavare i panni sporchi in casa propria, dire una mezza verità). Spesso i membri di una famiglia hanno una capacità sorprendente di ignorare o fingere di ignorare che cosa accada davanti ai loro occhi, sia esso abuso sessuale, violenza, alcolismo, follia, o semplice infelicità. Esiste un livello sotterraneo dove tutti sanno quello che sta succedendo, ma in superficie si mantiene un atteggiamento di assoluta normalità, quasi una regola di gruppo che impegna tutti a negare ciò che esiste. Qui il diniego è il primo adattamento della famiglia alla devastazione causata da un membro, sia esso alcolista, drogato, pedofilo, violento, folle. “Non c’è niente di più profondo di ciò che appare in superficie” Hegel
La sua presenza deve essere negata, ignorata, sfuggita o spiegata come qualcos'altro, altrimenti si rischia di tradire la famiglia. E così finiamo con il sostituire alla responsabilità, alla sensibilità morale, alla compassione, al senso civico, al coraggio, all’altruismo, al senso della comunità, l’indifferenza, l’ottundimento emotivo, la destabilizzazione, la freddezza, l’alienazione, l’apatia, l’anomia e alla fine la solitudine di tutti nella vita della città. Contro il diniego, non dobbiamo invocare la “verità” che talvolta nemmeno a noi stessi possiamo ammettere, ma la “responsabilità” di fronte a quel che sappiamo, perché in caso diverso diventiamo irrimediabilmente immorali, a colpi di diniego. Il primo e più grosso errore fondamentale nel golf è quello di sbirciare per vedere dov’è arrivato il tiro prima di aver finito di colpire la palla. Il più grosso errore fondamentale nella vita è di non finire una cosa in maniera impeccabile. G. Hendricks
Se la scuola non è sempre all’altezza dell’educazione psicologica, la società dovrebbe sopperire se i suoi valori non fossero solo business, successo, denaro, immagine e tutela della privacy, ma anche qualche straccio di solidarietà, relazione, comunicazione, aiuto reciproco che possano temperare il carattere asociale che, nella nostra cultura, caratterizza sempre più il nucleo familiare. Oggi infatti quel che succede in casa resta lì compresso e in comunicato, e quel che succede fuori è trattato con quelle maschere che ogni giorno indossiamo per non lasciar trasparire proprio nulla dei drammi, delle gioie e dei dolori che si vivono dentro le mura di casa ben protette. “Nella solitudine cresce la bestia interiore” F. Nietzsche
Posso capire un’altra persona non solo se ci parlo ma se colgo la sua identità più profonda; in quel momento mi diventa comprensibile quello che prima mi appariva incomprensibile. Per questo occorre il dialogo, che non è assolutamente una cosa dolce, rilassante, perché il dialogo è guerra. La parola dialogo, come tutte le parole greche che iniziano per dia in dica la massima distanza tra due punti della circonferenza come nel caso del dia-metro, tra due posizioni di pensiero diametralmente opposte come nel caso del dialogo. Per questo Eraclito poteva dire: “il logos è guerra” perché è armonia di opposti contrastanti che si compongono attraverso il dia-logo, dove gli opposti si fronteggiano. Si fronteggiano per capirsi non per elidersi, per questo ci vuole tolleranza, che non significa tollerare la posizione dell’altro restando convinti che la nostra è quella giusta, ma ipotizzare che la posizione dell’altro possieda un grado di verità superiore al nostro, e quindi disporsi nel confronto con l’altro a lasciarsi modificare dall’altro. Modificare profondamente mettendo in gioco la nostra personalità profonda fino a farcela contaminare da quella altrui... il parere dell’altro infatti, se accolto, relativizza il nostro, ci libera dall’isolamento del nostro assolutismo, completa la verità che non è mai tutta da una parte e rende i rapporti più rilassati, perché gli altri, quando rivendicano le loro ragioni, ciò che in realtà vogliono è di essere considerati, di essere accolti, di sapere che per l’interlocutore esistono e sono degni di ascolto. Raccontare la propria vita significa esplorare, recuperare e dare senso a una materia debole fatta di cose incerte, enigmatiche, di oggetti materiali, di persistenze e di cambiamenti. Vuol dire entrare in quell’ambiguità fondamentale che è l’esistenza di tutti. Oggi c’è una forte ricerca di identità, il motivo va ricercato nel fatto che viviamo una vita frantumata in cui ci sentiamo spersi e non sappiamo dove collocarci, dunque prendiamo tempo per raccontarci e fermare pezzi di identità e di vita che sono incerti e disorientanti. Si diffondono patologie legate ai consumi, sostanze, cibo e cose che creano dipendenza e ciò genera una sorta di analfabetismo emotivo. Quindi dialogare, raccontarsi, scrivere un’autobiografia costituisce un salto verso una dimensione superiore di consapevolezza.
Trova il tempo per lavorare, è il prezzo del successo. Trova il tempo per riflettere, è la fonte della forza. Trova il tempo per giocare, è il segreto della giovinezza. Trova il tempo per leggere, è la base del sapere. Trova il tempo per essere gentile, è la strada della felicità. Trova il tempo per sognare, è il sentiero che porta alle stelle. Trova il tempo per amare, è la vera gioia di vivere. Trova il tempo per aiutare gli altri, è la magia che combatte la solitudine. Trova il tempo per essere contento, è la musica dell’anima.
Nel deserto della comunicazione emotiva che da piccoli non ci è arrivata, da adolescenti non abbiamo incontrato, e da adulti ci hanno insegnato a controllare, fa la sua comparsa il gesto, soprattutto quello violento, che prende il posto di tutte le parole che non abbiamo scambiato né con gli altri per istintiva diffidenza, né con noi stessi per afasia emotiva. E allora prima dello psichiatra, prima dei farmaci dobbiamo convincerci della necessità di un’educazione emotiva preventiva, di cui scarsissime sono le occasioni in famiglia, a scuola e nella società. “Se svegli il futuro prima del tempo, il presente sarà annebbiato”. Kafka
C’è un gran lavoro da fare nell’educazione preventiva dell’anima (e non solo del corpo o dell’intelligenza) per essere all’altezza del nostro tempo che ha bruciato gli spazi della riflessione, ridotto all’insignificanza quelli della comunicazione, ma soprattutto ha inaridito il sentimento, che è poi l’organo attraverso il quale si “sente” prima ancora di “sapere”, cosa è il bene e cosa è il male. “Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà tutti presi dal passato, oppure dall’avvenire. Non pensiamo quindi affatto al presente; e se ci pensiamo, è solo per prendere lumi per predisporre l’avvenire. Il presente non è mai il nostro scopo: il passato e il presente sono i nostri mezzi, e l’avvenire solo è il nostro scopo. In tal modo noi non viviamo mai, ma speriamo di vivere; e predisponendoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai” Pascal
Nelle epoche precedenti l’uomo era più a contatto con la vita, agiva di più, aveva una mente legata all’azione. Non se ne stava ore e ore a pensare. Lo stress ci riempie di idee ossessive, pensiamo e ripensiamo sempre le stesse cose, ci giudichiamo incessantemente. Bisognerebbe che ci fosse un’ora del giorno , in cui tutto si ricapitola, in cui tutto si rappresenta; per tanti saggi da san Bernardo a Valery da Leopardi a Caillois essa c’è, è il mezzogiorno della luce zenitale e della tentazione più insidiosa, come vuole il salmo XC. Da un lato pienezza e auto sufficienza, dall’altro ora senza ombra, senza riparo, senza rifugio, ora in cui Dio discende nel paradiso terrestre, Adamo si nasconde e inizia la coscienza del peccato e la cacciata (Genesi, III, 8).
“L’attimo, in fondo, non è l’atomo del tempo, ma l’atomo dell’eternità; è il primo riflesso dell’eternità nel tempo, il suo primo tentativo, per così dire, di fermare il tempo” Kierkegaard
Marco Biagioli - 2005
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RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA 365 MOTIVI PER VIVERE |
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