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Krishnamurti - L'intelligenza della compassione
A cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60 e sul finire degli anni ‘80, Jiddu Krishnamurti, indiano d’origine, si spostò facendo il giro del mondo in quello che doveva essere un nuovo viaggio spirituale ed approdare così in una "terra senza sentieri". Definito per molti un profeta, un veicolo messianico paragonabile al nuovo Maitreya, Krishnamurti si avvierà con coerenza a sperimentare sia l’allontanamento dalla sua madre terra, l’India, che la familiarizzazione con l’occidente lontano da quel dolore e da quella miseria che caratterizzava il suo villaggio indiano di nascita a Madanapalle, venendo affidato sotto la tutela di Anne Besant, principale esponente della Società Teosofica che era sita nei paragi di Madras. Il giovane Krishnamurti appariva come un lord indiscreto, ma tuttavia non era questo il suo destino. Come il Buddha in gioventù soggiornò fra gli agi ed i lussi del palazzo imperiale che lo tenevano al riparo dalla sofferenza così Krishnamurti venne allevato come un distinto “inglese” all’indomani della nuova profezia.
Appena il grande momento fu giunto e tutti si aspettavano la sua nuova incoronazione, Krishnamurti sovvertì tutte le attese facendo una cosa inaudita. Infatti nel 1929 nel discorso tenuto ad Ommen, in Olanda, Krishnamurti sciolse il cosiddetto “Ordine della Stella d’Oriente” proclamato anzi tempo dalla stessa Anne Besant, e dichiarò che non vi erano religioni ne guru che potessero proclamare o rivelare l’unica via. La via se è davvero via è una “terra senza sentieri”. Non si può credere in capi, ne istituzioni, autorità, guide spirituali né tantomeno sette.
Con tale coerenza Krishnamurti decise di andare per il mondo, trasmettendo la sua nuova “scoperta”.
L’occidente e gli Stati Uniti, furono il suo nuovo trampolino di lancio, la sua nuova scommessa.
Bombay, Madras, Saanen, Oijai e Londra furono mete di grande importanza per Krishnamurti perché era lì che il saggio indiano si volse ad esplorare le questioni più cruciali dell’esistenza umana quali il dolore, la sofferenza, la paura, la saggezza, l’amore, la compassione.
Quest’ultima fu proprio il suo messaggio più trasparente. Le modalità di esplorazione erano varie. Erano atte soprattutto a sciogliere dubbi, a scardinare la paura ed a smantellarne la complessa struttura.
L’iconoclasticismo e l’antiautoritarismo diventano i due cavalli di battaglia per Krishnamurti che rifiutava sempre più ogni etichetta di guru o di profeta per dedicarsi al suo difficile ma “libero viaggio spirituale”. Cosi Krishnamurti non sondava soltanto i cieli dall’alto di un aereo mentre era da una parte all’altra di un continente, ma sondava anche le strutture complesse all’interno delle dinamiche esistenziali di ogni individuo quali la paura, l’incertezza, il futuro, il dolore, la morte, l’ignoto.
La paura è per Krishnamurti l’intervallo che va dalla certezza all’incertezza. Definito da lui intervallo psicologico essendo più una transizione che una dimensione esistenziale. Una intervallo tra l’idea e l’azione, tra osservatore e la cosa osservata. La vacuità è l’intervallo che non è possibile scavalcare con i mezzi del pensiero. Il pensiero può solo essere fuorviante. Solo l’attenta osservazione può svincolare l’uomo da ogni sorta di paura che non è alimentata da altre paure, ma è la paura stessa. L’uomo quale entità viva, osserva quella cosa altrettanto viva chiamata paura. Osserva la sua forma di processo impersonale e cangiante e non ne viene più spaventato. Sta diventando un tutt’uno con essa. L’uomo scopre di non esserne separato, anzi è lui la paura.
Non è un masochismo ragionato ma un abbandonarsi al proprio male, alla propria paura. Osservarla con molta attenzione, aver cura di lei e dopo lasciarla andare come un ospite temporaneo.
L’osservazione è vigile ed è lì la bellezza straordinaria. Questo se il campo di osservazione si apre subitaneamente e la mente non tende più ad accumulare conoscenze, essendo finalmente libera dal condizionamento psicologico di migliaia di ieri. Per Krishnamurti migliaia di ieri hanno fatto il mondo ciò che è, ma per penetrare realmente “ciò che è” bisogna liberarsi di ogni sovrastruttura psicologica e sociale, perché la società è un modello autoritario che tenta di guidarci attraverso le parole dei preti, dei filosofi e degli scienziati, dei guru e niente di questo corrisponde a verità. Falsificazione ed utopia sono le ipostasi che hanno costruito la società, sono il prodotto mistificato del nostro vivere. Ma per accettare la società e quindi non quello che dicono i preti o i guru, dobbiamo prima accettare noi stessi così come siamo. La pura accettazione al di là del velo criptato dall’illusione, é la consapevolezza oggettiva ed indifferenziata del tutto.
La verità, per Krishnamurti non è statica, ma viva e mutevole, “quindi non ha vie o soste e non la si può incontrare in una moschea o in una chiesa in quanto cristiano, indù o musulmano”. In altre parole la verità non ha direzioni. E’ ovunque. Per Krishnamurti la verità ha una valenza più che individuale ma ha anche una valenza religiosa. L’essere umano e non l’individuo è di primaria importanza poiché l’individuo è limitato nel proprio schema circoscritto e subordinato ad essere di seconda mano, mentre l’uomo è libero poiché non ha centro che non possa farlo pervenire alla sua "mente religiosa".
Gli esseri umani di seconda mano (second-hands human beings) sono conformi ai modelli della società e agli schemi convenzionali. Il loro schema è automatico ed uniforme. Qualsiasi cambiamento possano avere, il loro non sarà mai un vero cambiamento, poiché sempre condizionato all’interno di un modello antico. L’esortazione di Krishnamurti è quella di rompere lo schema classico, farla finita con l’antico. Solo in questa dimensione si potrà scoprire il nuovo che accompagna sempre un senso di novità e di freschezza. La sfida è sempre nuova ma la risposta all’azione è sempre condizionata. In Krishnamurti la massima è quella di osservare e agire. Non come due centri separati ma un unico centro simultaneo. Vedere, agire, ascoltare, imparare costituiscono un unico movimento a prescindere da ogni azione voluta e da ogni definizione riguardo a concetti. Krishnamurti ribadisce che i concetti sono categorie astratte e nessuno di loro può descrivere la cosa effettiva. Per arrivare a questa intuizione e necessario saper ascoltare e nell’intimo riuscire ad immedesimarsi nella vera natura delle cose. Per far ciò è importante conoscersi e non ascoltare o ripetere quello che ha detto qualche filosofo o qualche guida spirituale, ed aggiungerlo poi al background di conoscenze accumulate. Per Krishnamurti bisogna eliminare anche quel background. Bisogna attuare una rivoluzione interiore non per cambiare sistema o metodo; ma per cambiare se stessi. Infatti nessuno può indicare un metodo che non diventi presto un nuovo modello di schiavitù.
Con queste premesse Krishnamurti guida l’ascoltatore verso l’accettazione del proprio condizionamento personale e lo sprona ad uscire dallo schema classico del proprio cervello e ad attuare un rinnovo, una trasformazione ed una percezione non più coartate dal pensiero.
Riconoscere il condizionamento è un buon segnale. E’ l’ingresso per il decondizionamento dal pensiero.
Solo attraverso la percezione intuitiva del condizionamento, si può cominciare a prendere consapevolezza del problema che sia la paura o il dolore.
Attraverso la consapevolezza, l’uomo non è più soggetto ad essere un fascio di ricordi inesplorato ma un entità dinamica in via di esplorazione.
Per Krishnamurti un uomo che non si porta dietro tutte le certezze e l’accumulo di ciarpame di quello che è stato detto e ridetto è libero di scoprire, di investigare. A questo proposito Krishnamurti afferma che un uomo sicuro è un uomo inutile a se stesso poiché non ha quella qualità di investigazione che è la continua libertà di guardare quella curiosità viva, quella freschezza che albeggia in una "mente religiosa".
La mente in tale stato, è innocente, viva, sensibile, dinamica, consapevole e vigile e la percezione è sempre nuova. Per Krishnamurti questa è la vera mente spirituale lontano da quelli che lui definisce i "Circhi Religiosi". Anche la meditazione non ha una modalità preferenziale per Krishnamurti ma è la comprensione di ogni pensiero e della sua struttura nell’osservazione continua e nella totale consapevolezza. La percezione, ovvero il contenuto emotivo (emotional content) può liberare in ogni momento dal pericolo. Vedere e agire sono l’azione simultanea, il movimento che ci tira fuori dal pericolo.
Un esempio a cui ricorre Krishnamurti è quello del cobra nella stanza.
La mente è l’osservatore, colei che osserva il cobra. E’ come starsene chiusi in una stanza soli con un cobra stando bene attenti ad osservare ogni suo movimento. Così è il rapporto tra la mente ed i pensieri. Osservare i propri pensieri-cobra è difficile se non si investiga in ogni minuziosa dinamica il movimento dei pensieri. Il campo della consapevolezza offre proprio questa possibilità. Ed è una possibilità reale in cui la modalità di consapevolezza è passiva, e ricettiva, neutra e senza preferenze di scelta (choicless awareness).
La consapevolezza lega anche ad un altro fattore caro a Krishnamurti, ossia quello della compassione.
Se molti degli ostacoli psicologici possono essere rimossi e possono essere visti e studiati alla luce della consapevolezza, la compassione viceversa può essere la stessa "intelligenza della percezione".
La compassione non ha centro né circonferenza e può subentrare nel momento in cui il censore, colui che osserva, sparisce del tutto. Il rapporto tra osservatore e cosa osservata, condiziona la vita di ogni uomo e lo chiude in cerchio autoreferenziale poiché crea quell’intervallo che è la sua stessa modalità di fuga. La fuga è anche il "tempo psicologico" che per Jiddu Krishnamurti è la stessa struttura del divenire.
Per eliminare il centro che poi è il fulcro del divenire si deve eliminare anche la circonferenza. Krishnamurti afferma: "Quando non c’è un centro allora c’è amore". Il centro è solo il permanere di una divisione.
Solo sbarazzandosi di questa divisione implicita, è possibile disattivare il centro ed aprire i canali verso la compassione e l’amore. La compassione è il fulcro degli insegnamenti di Jiddu Krishnamurti. A più riprese Krishnamurti parlava di una leggenda indiana. La leggenda del santo compassionevole Maitreya. Il maitreya è l’emblema della compassione. E’ un Buddha, vale a dire un illuminato. La sua responsabilità è estesa alla salvezza di tutti gli esseri viventi. La stessa responsabilità e coerenza che Krishnamurti identifica come "intelligenza della percezione". Una percezione di cui solo gli esseri straordinari sono dotati. Infatti solo questi esseri, sperimentando fino in fondo la propria sofferenza, possono riuscire a carpire la sofferenza dell’intera umanità. Questo è uno dei maggiori insegnamenti di Jiddu Krishnamurti.
Bisogna però arrivare alla chiara conclusione che l’osservatore è la cosa osservata. Non sono due entità separate. Colui che osserva l’immagine è l’immagine stessa. "La consapevolezza di tutto ciò che è vera meditazione" afferma Krishnamurti, "ha svelato che c’è un immagine in più a tutte le immagini percepite dalla mente. E quest’immagine è il censore, colui che osserva le altre immagini con parzialità e se ne vuole sbarazzare. Il censore è l’immagine centrale che giudica ed emette opinioni e valutazioni per conquistare ed assoggettare le altre immagini. Le altre immagini sono il risultato delle conclusioni e dei giudizi dell’osservatore, e l’osservatore è il risultato di tutte le altre immagini, quindi l’osservatore è la cosa osservata".
Così non è possibile scindere tra colui che fa l’azione e l’azione in sé e per sé. Essi sono il medesimo processo. Sono un tutt’uno.
L’idea di uno è calcato da Krishnamurti nella consapevolezza dell’unità.
Tutto fa parte di un processo totale, di un vasto movimento che scandisce il tempo ai confini del divenire.
Il divenire come tempo psicologico sovrasta le nostre esistenze e ciò è deleterio per Krishnamurti.
Per porre fine alla rincorsa psicologica del "divenire" è necessario risiedere in ciò "che è".
Ciò "che dovrebbe essere" sono solo le proiezioni illusorie dei nostri desideri mentre "ciò che è" è realtà al di fuori delle proiezioni e degli schemi abituali del pensiero. Il divenire è insito stesso nella struttura dell’uomo ma per Krishnamurti è possibile mettere fine al tempo psicologico eliminandone la stessa convenzione. Negare la società con i suoi modelli, negare il tempo, non fanno parte di una tendenza iconoclastica e ribelle, ma di una possibilità reale, almeno per uscire fuori da meccanismi condizionatori di cui la società è apportatrice. L’auto-negazione è il sentimento più onesto che ci possa essere, un sentimento che si sbarazza di tutti i modelli di tutti gli stili di vita. Vivere è morire ad ogni ieri, morire ogni minuto, psicologicamente ad ogni paragone, ad ogni certezza, ad ogni desiderio, per vivere ogni giorno come fosse una nuova bellezza. La forza da cui trarre giovamento è solo la solitudine e l’ascolto empatico con gli elementi della natura. La chiave del misticismo Krishnamurtiano è nelle sue opere registrate e nel suo "Diario segreto", nelle sue conversazioni e nelle sue passeggiate fra i boschi.
Il contatto con la natura ma soprattutto con quello che egli definiva "l’assoluto, impenetrabile vuoto, l’energia di cui fa parte l’universo", sembra trarre forza in Krishnamurti, soprattutto nella contemplazione della solitudine.
La solitudine è stata la grande messaggera di Krishnamurti. La chiave arcana della sua esistenza e l’energia misteriosa che lo pervadeva dall’interno e lo inondava all’esterno. Krishnamurti era solito svegliarsi sia a Madras che a Oijai, che a Parigi, nel cuore della notte, percorso da una devastante energia, misteriosa che divampava in lui come una sorgente misteriosa.
Quello che egli definì il "processo", la "benedizione" o la "diversità" erano i processi psichici del suo livello di coscienza. Erano questi gli stati sublimali ed intuitivi che gli spalancavano "le porte verso l’incondizionato".
Anche se gli insegnamenti di Krishnamurti erano volti al pragmatismo, è stato il misticismo, la forza intrinseca ed irresistibile che si manifestava in lui. Era la grande sensibilità artistica che lo faceva essere anche un poeta dal tocco mistico e geniale. La genialità spirituale di Krishnamurti rimane l’emblema della grande saggezza contemporanea che travalica oriente ed occidente e l’esperienza di un uomo che con intuizione e consapevolezza ha raggiunto la più grande meta spirituale, quello di nessuna meta come meta e di nessuna via come via, la terra senza sentieri.
Diego Pignatelli Spinazzola
Diego Pignatelli è autore su Riflessioni.it della rubrica:
Riflessioni sulla Psicologia Transpersonale
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