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- Raccolta di lettere inviate dai visitatori
Interrogarsi
di Gaetano dell'Isola
Il pensare, secondo Socrate, chiamato in causa da Platone a dialogare con Teeteto, è:
"un ragionamento attraverso cui l'anima
discorre da sé con se stessa sulle cose che
esamina.
... l'anima, quando pensa, non fa altro che
dialogare, interrogando e rispondendo da sé a
se stessa, affermando e negando".*
La discussione verte sul tema della
conoscenza, ma qui, senza fare alcun torto
all'insieme testuale, prendiamo licenza di
fare alcune considerazioni sull'anima, che
dialoga interrogandosi.
Quell'anima, che ha possibilità di porre
questioni, porta in sé il dèmone della
provocazione. Il pensiero chiama, davanti a
sé, e pone in essere le cose da mettere in
conto.
Il dialogo è la forma in cui prende
consistenza l'interrogare se stessi. Una forma
eletta alla istituzione del conversare, del
confrontarsi, che disprezza l'arroganza del
sentenziare, che tollera l'altrui pensiero,
riconoscendone la sua essenziale libera
espressione.
Ma, se questo è il dialogare interpersonale,
il ricercare che si fa complicità, il
reciproco costituirsi nel verbo che è
di-verbio, nel dialogo interiore scorgiamo
qualcosa che sorpassa il limite della parola
scambiata.
L'interrogarsi è forma che accoglie a sé la
consistenza della parola, ma le dà nuovo e
superiore senso, muovendo verso regioni dell'
interiorità, dove la corposità del verbo si
scioglie nei silenzi che l'hanno originata.
Il silenzio, dice Nicola Abbagnano, nel suo Dizionario di Filosofia:
"L'atteggiamento mistico di fronte
all'ineffabilità dell'essere supremo".**
Il misticismo, in quanto disposizione
dell'anima a vagare in luoghi che non sono
luoghi, nel tempo fuori dal tempo, è
fluttuazione incontenibile, purezza della
forma, i cui contenuti sono mistero della
parola.
E non senza causa, mistico e misterico sono
corradicali, la cui origine è rintracciabile
nel greco mùo, che vuol dire socchiudo le
labbra e dunque, taccio.
Nei misteri orfici, ma anche in quelli eleusini, era praticato il silenzio sia
durante lo svolgimento del rito, che dopo, e
quindi al di fuori di esso, sotto forma di
segreto da non rivelare.
Il misticismo scopre nel silenzio una forma
diretta, immediata,di comunicazione con
l'essere, che gli sta di fronte nelle
profondità del dialogo interiore,
dell'interrogarsi.
Pròsopon, in greco, è colui che mi sta di
fronte, colui che io guardo faccia a faccia e
nel quale io mi specchio.
L'amato, con cui vivo l'esperienza della
congiunzione, è pròsopon. E allo stesso modo è
pròsopon l'essere con cui vivo la mistica
unione, nel silenzio degli sguardi che si
compenetrano.
L'essere che mi trascende, e che mi oltrepassa
nel trascendermi, è il mio stesso essere, che
nella sua fondamentale possibilità, infrange
il limite stesso della sua frammentarietà e
genera la suprema tensione verso la totalità
dell'essere.
Nell'esperienza interiore del dialogo, allora,
io conosco me stesso, di fronte a me, nella
tensione estrema, verso quella ineffabilità
cui si addice il silenzio più che la parola,
l'immediatezza della mistica più che la
mediazione della ratio.
E proprio lì, nei silenzi dell'esperienza
mistica, nel mistero della congiunzione con la
totalità, scopro il mio sommo limite.
Quel limite è l' "èscaton", il fine e la fine,
il cui oltrepassamento è dato intuibile, non
conoscibile.
Ma, il mio estremo limite, è anche il luogo da
cui muovono la condizione e la forza del mio
trascendermi.
Il mio essere discontinuo e frammentario è
possibilità (dynamis) fondante, è energia in
continua trasformazione.
Movimento, circolarità, che dalla totalità si
disgiunge e, navigando pericolose acque,
scorge lidi verso cui non approda, ma, onda di
perenne ritorno, ne lambisce le rive estreme.
Gaetano dell'Isola
* Platone: "Teeteto", 189e, 190e.
** Nicola Abbagnano: "Dizionario di Filosofia",
alla voce "silenzio", UTET 1968
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