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11-05-2014, 12.55.53 | #12 | ||||
Ospite abituale
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Riferimento: Tra il Numinoso e il Dio dei filosofi
** scritto da paul 11:
Citazione:
Definiscila come meglio desideri ma siamo tutti ignoranti e nessuno puo' avere fiducia nel trascendente senza un pizzico d'irrazionalità, come si potrebbe, altrimenti, morire per un estraneo e perdonare il proprio aguzzino?!?! Citazione:
No, ci vuole l'opera, l'azione caritatevole, per essere autentici testimoni del pensiero di Cristo: "A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede (o la conoscenza!) salvarlo"? (Gc 2, 14) Citazione:
Sono d'accordissimo con questo tuo concetto, infatti la crisi non è economica (come vogliono farci credere, ahimè, in tanti continuano a cascarci!), ma morale. Solo aprendosi ai dono di Dio, Verità assoluta, si puo' scoprire la propria vocazione e dare un senso pieno e compiuto alla soggettiva esistenza. Citazione:
Grazie, ma il Vangelo spiega fino in fondo, e preferisco (per adesso) l'esegesi dei/delle dottori della Chiesa, per aiutare gli altri. Pace&Bene |
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11-05-2014, 18.17.48 | #13 | |||
Ospite abituale
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Riferimento: Tra il Numinoso e il Dio dei filosofi
Citazione:
Siamo tutti ignoranti davanti alla verità, ma ci sono gradi di ignoranza e di irrazionalità. Si può perdonare senza perdere di vista la giustizia: posso perdonare un aguzzino, ma esiste una giustizia a cui comunque va incontro colui che compie un maltorto affinchè non continui a fare del male. Il perdono ha senso se colui a cui è destinato si pente e non perpetua il maltorto. Citazione:
Certo: ci vuole coerenza fra pensiero ed azione Citazione:
Vorrei che non fossi malinteso. Sono cristiano e desidererei una chiesa come comunità che segua il pensiero di Gesù dei Vangeli e non gli orpelli teologici e metafisici di coloro che lo hanno poi interpretato. Così come si vuole coerenza fra pensiero ed azione del singolo cristiano allora anche coloro che si sentono rappresentanti del pensiero di Cristo devono ancor più essere coerenti e testamentari della nuova alleanza. Pace e bene anche a te |
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12-05-2014, 11.46.55 | #14 | |
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Riferimento: Tra il Numinoso e il Dio dei filosofi
Citazione:
L'irrazionale trascendente emerge potentissimo nel pantheon degli dei sumerici, nelle figure ibride e mostruose degli dei a cui si celebrano i sacrifici umani, nelle raffigurazioni dei templi induisti, lo incarna la dea Kali (rappresentazione della ancestrale mater terribilis) e Siva il tremendo distruttore danzante (di cui Dioniso è la rappresentazione greca, dio dell'ebbrezza e della follia, il dio che squarta, distrugge ed è squartato e come dio squartato si ritrova in Osiride e nella stessa figura di Cristo) e il portentoso si manifesta in tutta l'opera epica induista. Il senso irrazionale (inteso come oltre razionale) della pura trascendenza si ritrova nel sufismo islamico, nell' Abisso originario gnostico, nella eterna lotta tra i principi divini del Bene e del Male che completamente sovrastano la dimensione umana nello zoroastrismo, persino nel vuoto del buddismo e dell'arte cinese, ma soprattutto nel dio degli ebrei per come raccontato nella genesi nei libri dell'Esodo, il dio terribile nella sua ira e spietato contro il suo stesso popolo, il dio dei profeti e della divinazione, del quale si celebra l'onnipotenza e il mistero (Csì canta l'Ebreo: "Santo sei Tu e terribile è il tuo nome...", "Tua è l'onnipotenza di cui Ti avviluppi, Tuo il mistero... Tuo il nome segreto agli uomini della luce..." e ancora "Nessun come, nessun perché, nessun dove adetiscono a Te come indizi: Tu sei!"). E' l'assolutamente altro che si manifesta in questo sentimento religioso che non ha proprio nulla a che vedere con le favole che si raccontno ai bambini, ma che può avere molto a che vedere con quella che un certo cristianesimo chiama possessione demoniaca e una certa scienza follia o disturbo psicotico. La razionalità dopotutto è territorio dell'io, fare del divino un'istanza solo razionale (tecnica o morale che sia) significa volerlo confinare in questo territorio di cui l'io è guardiano e controllore, mentre il divino può apparire solo nell'Altro, nell'incomprensibilità dell'assolutamente altro, come peraltro ha ben mostrato filosoficamente Levinas che non per niente era di origini culturali ebraiche. Il sentimento del Sacro oggi è certo difficilissimo da cogliere, i suoi simboli appaiono ridicoli segni che non rimandano più a nulla a parte le fiabe per bambini o a credenze di una certa religiosità popolare, eppure può ancora succedere talvolta di evocarlo. Magari nella notte guardando (dove ancora è possibile farlo) nelle tenebre verso la volta stellata, lasciandosi prendere dal senso di meraviglia, fascino e persino terrore, terrore della propria miseria infinitesima a fronte di una tale incomprensibile vastità, per quanto fisica e cosmologia si sforzino di spiegarla in ogni dettaglio. Quel sentirsi persi, attoniti e angosciati in senso non psicologico, ma ontologico è il senso più profondo del sacro. |
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12-05-2014, 22.53.52 | #15 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Tra il Numinoso e il Dio dei filosofi
Citazione:
La risposta la puoi solo trovare all'origine della contraddizione culturale o all'origine della storia dell'umanità. Solo tre uomini di cultura, amio parere, hanno capito, o ne hanno avuto le qualità per arrivarci: Nietzsche, Heidegger e Severino e per certi versi ci aggiungerei Wittgenstein. Nietzsche ha capito l'appiattimento umano e il nichilismo umano, prima di proiettarlo verso la cultura della tradizione come causa di ciò. Heidegger colpisce la metafisica platonica che non dà risposta all'esistenza e intuisce che il linguaggio possibile è solo attraverso l'arte ,non basta la logica. Severino capisce la contraddizione logica e cerca soluzioni ancora nel formalismo del linguaggio logico. La causa è nella filosofia greca, perchè è da lì che nasce la nostra cultura, dalle prime regole formali logiche, dal processo epistemologico utilizzato, dal sezionamento della conoscenza in categorie: Aristotele ne è stato l'artefice massimo. Quella cultura procede analiticamente e ritaglia pezzi di conoscenze che cataloga nel processo di sintesi. Ma in realtà noi , intesi come esseri umani, non siamo pezzetti di conoscenza sottratti al mistero dello scibile, noi non siamo solo logica e procedimento cognitivo. Questo sezionamento epistemico ha corrisposto ad esaltare una qualità del nostro cervello atrofizzandone una parte fondamentale. Ha contribuito a creare tecnologia "esterna" impoverendo la tecnologia "interna" del cervello Il sacro è stato già definito nel suo tempo, oggi l'idolo è la vacca sacra della tecnica e la trascendenza è solo una fuga psichica, non è vera se nno coglie all'origine della contraddizione. La trascendenza non è una categoria logica, la logica è il primo passo per salire i gradini evolutivi e aprire la mente. Noi un fenomeno come un raggio di luce che ci colpisce arriva a stimolare il cervello non solo nella logica, ma anche nell'emozione psichica e in ciò che potremmo definire spirituale. Ma noi continuiamo a scartare le qualità che già sono nella nostra natura qualitativa e descriviamo quel raggio di luce come semplice energia elettromagnetica, ma possiamo descriverla anche nella sfera emotiva così come nella sfera spirituale. Ma adatto che la logica non è il linguaggio della psiche e tanto meno dello spirito noi soffochiamo dentro di noi le energie spirituali alienandoci nella speranza che la tecnica trovi una soluzione. Come se Dio fosse un neurone visibile al microscopio a scansione elettronica. Quando si è diviso la materia e lo spirito, l'empirico e il trascendente, il razionale e l'irrazionale e abbiamo pensato che la tecnica intesa come artificio creata dal processo cognitivo del nostro cervello in realtà abbiamo creato delle stampelle esterne per aiutarci alla sopravvivenza e al comfort moderno. Ma questo leviatano che rappresenta la summa delle nostre conoscenze in realtà non è più leggibile dal nostro povero cervello, è andato oltre e non ha i limiti che solo la spiritualità insieme alla logica poteva domare. La cibernetica per molti versi rappresenta proprio il nostro cervello logico e calcolatore, ma non potrà mai essere umano mancandogli quelle qualità intrinseche che noi atrofizziamo. Prima di tutto la storia antica era tramandazione di conoscenze prima di essere spiritualità e fosse formalizzata nelle religioni. Il sacro era già materiale , non vi era dualità, e questo corrispondeva ad una armonia che comportava il prendersi cura del mondo. Ma l'uomo ha quella parte animale in sè che se non viene limitata dalla morale decade in ferina atrocia e nonostante i moniti, così è stato Come può un alienato che non conosce più se stesso capire l'altrui e comprenderlo, molto più facilmente lo vivrà come concorrente ,come competitore, oppure sarà un'alleanza ai soli fini utilitaristici, pronti a liberarcene quando sarà non più congeniale al fine, perchè a questo ci ha portato la tecnica. |
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13-05-2014, 08.45.54 | #16 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Tra il Numinoso e il Dio dei filosofi
** scritto da maral:
Citazione:
Occorre tuttavia distinguere tra sacro e sacro. C’è infatti una sacralità autoreferenziale, rigida, centrata su se stessa, che ostacola l’azione di Dio. Lo si vede nell’episodio di Zaccaria raccontato da Luca (Lc 1,5 – 25). Zaccaria, futuro padre del Battista, è un sacerdote della classe di Abia e sta celebrando l’offerta dell’incenso nel tempio di Gerusalemme. Una celebrazione straordinaria, quella dell’incenso: si veniva estratti a sorte, poteva capitare una volta nella vita. Siamo quindi nel punto apicale, centrale della sacralità istituzionalizzata: Gerusalemme, il tempio, l’offerta dell’incenso... Ed è proprio qui che Dio fatica a entrare. Quando l’angelo annuncia a Zaccaria che sua moglie, Elisabetta la sterile, gli darà un figlio, non viene creduto. Le domande di Zaccaria sono quelle di un uomo dalla fede tentennante, incerta. E c’è poi una sacralità umile, santa, efficace, che viene da Dio e chiede solo di essere ricevuta con fiducia gioiosa. Dopo l’episodio di Zaccaria lo scenario descritto da Luca muta radicalmente (Lc 1,26 – 38): non siamo più a Gerusalemme, nel tempio, al centro della sacralità sacerdotale, ma a Nazareth, in un contesto periferico e assolutamente laico, la casa di una giovinetta del popolo. Qui Dio può liberamente entrare, non trova più nessun impedimento. Le domande che Maria rivolge all’angelo Gabriele sono simili nell’espressione verbale a quelle di Zaccaria («come è possibile?») ma profondamente diverse nello spirito: sono le domande di chi vuol sapere, partecipare con entusiasmo al pur insondabile mistero annunciato, vivere in modo pieno la fede. È questo il sacro di cui il mondo ha urgenza: non quello innalzato a Dio dagli uomini, come se Dio avesse bisogno dei nostri incensi, ma quello che viene da Dio, si incarna in uomini e donne di buona volontà, liberi da ogni tentazione di potere, e fa sacra(sacrum facere) l’intera realtà. Una realtà altrimenti destinata a rimanere profana, sofferente, incompiuta, ingiusta. |
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17-05-2014, 13.52.51 | #17 |
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Riferimento: Tra il Numinoso e il Dio dei filosofi
Il libro di Otto è viziato da un pregiudizio di fondo che ne mina tutta la credibilità: è quindi fondamentale, ma solo per comprendere come non si debbano compiere indagini su quegli argomenti senza prima essere disposti ad analizzare, riconoscere e accantonare ogni pregiudizio intellettuale.
Tale pregiudizio si può ricondurre alla degenerazione che fra il XVIII e il XIX secolo ha subito l'idea di religione e tutti i concetti che ne costituiscono la struttura ontologica, a cominciare proprio da quello di sacro. La nascita e l'affermazione del razionalismo ideologico, combinato con l'empirismo scientifico, e la sua esaltazione come l'unico metodo sensato per conoscere il mondo ha contestualmente declassato e poi negato ogni conoscenza di tipo puramente intellettuale riducendo la religione a mero sentimentalismo, e proprio da questa base di tipo sentimentale, invero molto recente nella storia culturale dell'occidente, Otto è partito per elaborare il suo (peraltro del tutto personale) concetto di numinoso e utilizzandolo per spiegare il sacro che è invece un concetto intellettuale. Sacro deriva dall' antica radice sanscrita sak che significa unito, avvinto, avvinghiato, e, siccome in ogni parte della terra quando si utilizza tale vocabolo si fa riferimento principalmente e spesso esclusivamente alla divinità, tale vocabolo evoca l'unione fra qualcosa di terreno e un ente trascendente, che sta al di sopra dell'uomo e del mondo. Siccome il concetto di sacro è uno dei più antichi (o forse il più antico) della storia della cultura umana è buona regola partire dal suo significato conforme all'etimologia del vocabolo prima di formulare ipotesi fantasiose sulla sua origine. Se è l'uomo e la sua cultura ad attribuire "sacralità" agli enti e tramandarla alle generazioni successive, questi ultimi devono però evocare in qualche modo una unione con qualcosa che li supera, e tendere alla trascendenza. Affermava correttamente Claude Levi-Strauss: «è sacro ciò che attiene all’ordine dei mondi, ciò che garantisce questo ordine», e inoltre che «le cose sacre devono stare al loro posto e ciò che le rende sacre è il fatto che stiano al loro posto». Questo significa che il sacro attiene all'ordine, è qualcosa che nel suo ambito deve essere inamovibile ed evocare un ordine superiore, assoluto, divino. Non per caso le cose più sacre delle culture primitive e antiche erano spesso i monti e le rocce, proprio perché rimanevano inalterate per milioni di anni ed erano simboli ideali dell'immutabilità divina. Tale concetto è stato quindi elaborato a partire dalla comprensione di un ordine immutabile e trascendente che si è cercato di simboleggiare nel mondo del divenire attraverso l'attribuzione dell'aura di sacro ad enti, concetti, riti e a volte anche persone. Il misterium fascinans (o mirabilis) e il tremendum di Otto sono ricadute degenerative del concetto di sacro e non certo le sorgenti da cui è scaturito. Sono una traduzione in versione emotiva e sentimentale di una comprensione intellettuale evidentemente non accessibile da tutti, come quando i genitori usano l'escamotage dell'uomo nero per evitare che i bambini si addentrino in zone pericolose senza la necessaria consapevolezza o per salvaguardare oggetti a cui si attribuisce una particolare importanza, o al contrario quello delle fate e della magia per evocare qualcosa di mirabile. Il fatto che poi il sentimento del sacro, o del misterioso, o dell'ignoto, in una parola il numinoso, sia stato così tematizzato e quindi il libro di Otto abbia avuto così tanto successo si deve al fatto che ognuno prova nei confronti di ciò che è più grande di lui sentimenti diversi a seconda dei fenomeni, che possono provocare emozioni particolarmente intense che poi si esprimono in forme verbali e artistiche altrettanto estreme, e il mondo moderno, prima col romanticismo e poi con lo psicologismo, è particolarmente attento a recepire ed esaltare tutto ciò che sollecita l'emotività, e crede di poter spiegare con questi metodi tutto quel che sfugge all'occhio "oggettivo" della scienza. Checchè se ne dica l'uomo moderno è molto più infantile di quello antico, e non è più in grado andare al di là del senso letterale delle parole o della prima impressione suscitata da un'opera d'arte, perdendo così di vista tutta la realtà essenziale che le parole e i segni possono solo evocare. Si ferma così alle mere descrizioni del terribile e del magico che gli antichi testi utilizzavano per stimolare una riflessione ben più profonda, e si limita ad analizzare quelli inibendosi la possibilità di cogliere l'essenza di ciò a cui rimandano. |
17-05-2014, 21.59.33 | #18 | |
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Riferimento: Tra il Numinoso e il Dio dei filosofi
Citazione:
Resto abbastanza perplesso da questa conduzione del sacro entro i confini sicuri della razionalità (che poi così razionale ahimè non è mai, anzi quanto più vuole rendersi salda tanto più si espone all'irrazionale). Mi sembra assurdo negare o rimuovere la sacralità radicale di quel sentimento di attonita meraviglia e angoscia che coglie l'uomo (oggi di sicuro molto meno di un tempo) di fronte all'universo, all'incomprensibilità del mondo in cui si trova gettato secondo un ordine che gli è alieno pur partecipandovi, mi sembra assurdo negare il sentimento profetico, di fusione estatica e di terrore davanti al manifestarsi della divinità che pervade molti testi sacri, certo non solo cristiani e annacquare il tutto in nome di quel dio dei filosofi (o anche di tanti teologi razionalisti) di cui si può benissimo fare a meno in vista della sua totale astrattezza concettuale emotivamente del tutto insipida e amorfa, una mera formalità meccanicistica da motore primo immobile. I popoli cosiddetti primitivi vivevano di un sentimento sacrale profondamente emotivo, il sacro per loro viveva era certo alluso dalle pietre, dalle rocce, dai fiumi e dai mari, ma anche lo si sentiva nelle piante, negli animali oltre il loro apparire sensibile che le trasformava in ibridi mostruosi e terrificanti. Il sacro lo si ritrova nella ferocia ebbra e selvaggia dei riti dionisiaci di tutte le antiche religioni, nella sessualità e nelle auto castrazioni, nei miti che raccontano di dei fatti a pezzi e ricomposti per poter risorgere, negli olocausti, negli squartamenti e pure nei sacrifici umani, nelle possessioni ritualmente evocate. Tutto questo è ed è stato il Sacro, non certa roba intiepidita dal sentimentalismo o dalle favole per bambini o controllabile a mezzo degli intellettualismi della ragione e tale fu ancora per il greco antico che per sfuggire all'angoscia suscitata dalla tremenda meraviglia di cui ancora era partecipe preferì intraprendere il cammino filosofico dopo aver seguito e abbandonato quello del mito. Il sacro era un terreno vietato e quindi recintato, perché la manifestazione piena del divino realmente si riteneva annientasse l'uomo, a custodirlo solo pochi erano ammessi, i pochi che conoscevano i riti per controllarne il violento dilagare nella comunità che ne sarebbe venuta annientata e per renderlo propizio a quella comunità stessa, perché il sentimento del sacro, la radice dell'emozione incontrollata e selvaggia che lo manifesta è anche il più profondo nutrimento per l'esistenza umana, quando il rito prima e soprattutto la ragione poi, anziché opporsi ad esso illudendosi di poterlo controllare e rimuovere riesce a creare uno spazio di ragionevole convivenza. Sono state citate le fiabe per i bambini e soprattutto le fate, ebbene nei racconti originari, le fate, queste semi divinità femminili, non sono per nulla le buone soccorritrici magiche di cui si racconta nelle fiabe attuali, sono invece personaggi estremamente ambigui che con il loro potere irresistibile di fascinazione (quel mysterium fascinans che incarna la loro femminilità) portano alla follia e alla morte chiunque le incontri. Chi incontra le fate non può più sperare di tornare tra gli umani. In questo consiste la dimensione sacrale di questi personaggi, che non può certo tranquillizzare. Certo si può anche ridere del sacro come di un ammasso di sciocchezze o farne un reparto da clinica psichiatrica per esorcizzarlo combattendone chimicamente la sintomatologia, ma anche questo è solo un rito e probabilmente il più inefficace di tutti, perché come già sapevano gli antichi il sacro represso e deriso dilaga come follia annientante (la tragedia delle Baccanti di Euripide lo rappresenta magnificamente). Il sacro è l'essenza dell'altro che, proprio perché altro, elude ogni nostro potere di controllo su di lui e ci sovrasta all'infinito, è il buio infinito dell'universo che ci risucchia al solo guardarlo, ma ove brillano innumerevoli stelle lontane che tracciano inquietanti e portentose figure nell'inconscio più profondo della mente umana in cui il mistero si rispecchia in tutto il suo portento e per questo la lega per sempre a sé. |
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17-05-2014, 23.53.35 | #19 | |||||||
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Sul sacro.. (visto che non di Otto si parla)
Io penso che la realtà sia esattamente come la immaginiamo, come crediamo che sia,
perché è la nostra immaginazione, il nostro credere che dà senso e significato alle cose ed all’esperienza. Ogni cosa non ha valore in sé, non ha senso e significato che non siamo noi ad attribuirle. Ciò che noi crediamo reale lo diventa. Dapprima limitatamente a noi, alla nostra coscienza, sino poi approdare in graduale estensione: ciò che chiamiamo cultura ambiente contagio. Non ci sono dati di fatto solo opinioni su un’esperienza che seppure ci accumuni resta comunque esperienza di coscienza al singolare. La grande difficoltà del possedere il paradiso nell’esperienza non è data da fatti concreti ma dalla loro interpretazione. Un’interpretazione che ci accumuna e che talvolta o più di frequente ci distrugge. La realtà, il mondo, l’universo intero, è a nostra immagine e somiglianza. Il sacro è a nostra immagine e somiglianza. Il bello è a nostra immagine e somiglianza. L’inferno è a nostra immagine e somiglianza. Sono certa che questa realtà sia incredibilmente grandiosa e potente capace di rendere giustizia ad ogni volontà bramata nel profondo, sia questa in bene che nel male, sia questa creazione o distruzione, sia questa potere costruttivo o auto distruttivo. La religione, la spiritualità, il misticismo, la passione, la morte interiore non sono che il moto in cui si esprime la nostra ricerca di possesso verso quel sentore indefinito che anima la nostra coscienza e che ci sussurra, a dispetto di qualsiasi esperienza devastante, che noi siamo. Un siamo, un essere, che sorpassa tempi e spazi, un essere ben lungi da essere racchiuso nella dimensione dell’esperienza [temporale]. Ciò che chiamiamo trascendere non è che termine coniato a demolire tempi e confini, confini di immagini, confini di spazi immaginari. La razionalità sa che è reale ciò che sperimentiamo, tanto basta a lanciare un ponte sull’ignoto, un ignoto a nostra immagine e somiglianza, un ignoto che ci anima e ci sostanzia. Un ignoto che diviene la nostra anima, il nostro credo, le nostre opinioni: l’immagine attraverso cui proiettiamo il reale ed il sentore medesimo dell’intangibile. Non c’è un’immagine originale dalla quale provengono tutte le altre c’è solo l’immaginazione dalla quale proviene ogni originale. C’è solo un potenziale dal quale origina ogni possibile aspetto e significato. Citazione:
Citazione:
Poiché il divenire manifesto è tutt’uno con la nostra strada percorsa. Ci appartiene solo ciò a cui diamo anima e vita. Se è negazione, negazione sarà la nostra esperienza reale. Ciò che riconosciamo è ciò a cui diamo vita. Quel Dio che si vendica negando sé stesso è la nostra stessa anima negata [o riconosciuta]. Semplice detta a parole.. dolorosi e gravi i passi per conquistare quella libertà capace di disporre di quel potenziale che ci appartiene a patto di non negarlo. Citazione:
Citazione:
ma in quell’apertura che anche tu descrivi come riconoscimento di una trascendenza che è alterità, l’assenza autentica di confine dunque. Alterità che non è alienazione o mistero terrifico ma per l’appunto sacralità, esperienza di sacralità, un “mistero” che è intimità sostanziale, esperienza di stupore e commozione profonda e non certo di estraneità o sentimento di piccolezza o ignoranza/oblio. Citazione:
[coi tagli effettuati] ..Condivido!! Citazione:
fra sentimenti di terrore esorcizzanti e volontà analitica vitale e creativa. Allora il sentimentalismo non trova posto laddove non vi sia da esorcizzare alcunché.. Così almeno reputo.. Citazione:
l’elusione del controllo sull’altro ovvero del possesso decade dal momento che l’alterità non è al di fuori di noi ma ci appartiene nel profondo proprio attraverso l’esperienza dell’assenza autentica di confine. Cosa non comprendo del tuo pensiero? Perché mi stupisco delle tue differenti conclusioni? O sotto sotto c’è una sorta di passione verso l’idea della morte come limite? Nonostante alcune persone mi reputino di non semplice comprensione francamente penso di avere una natura interiore del tutto molto semplice.. continuo ad essere convinta che il dolore dai più nomi che ci portiamo addosso abbia una sola identità, la negazione [dell’amare o negazione all’essere].. |
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18-05-2014, 11.09.12 | #20 | |||
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Riferimento: Sul sacro.. (visto che non di Otto si parla)
Citazione:
Sto leggendo "L'essenza del cristianesimo" di Feuerbach e questa che scrivi è esattamente la sua tesi: la divinità è l'essenza dell'uomo oggettivata, ossia il soggettivo individualmente sentito che l'essere umano oggettiva come essere divino i cui perfetti attributi non sono che gli stessi di chi (individuo, popolo o cultura) lo ha posto, l'oggetto divino descrive quindi l'oggetto umano. Eppure credo che questo sia insufficiente a descrivere propriamente il senso del sacro, così dicendo il sacro è riducibile a tratto dell'io definibile in termini puramente psicologici che riducono il sacro a un trattato di psicologia accademica. Penso invece che il senso originario del sacro non venga da una proiezione del me stesso fuori di me, ma proprio da quell'irresistibile emozione di terrore-meraviglia che colgo nell'apparire dell'infinito e insondabile altro da me (oltre me) e che in me si riflette come portento numinoso, il sacro è sentimento dello sconosciuto che mi sovrasta e dunque mi trascende completamente. Per questo ho fatto l'esempio del cielo notturno stellato di fronte alla cui incredibile e inaccessibile vastità io mi sento nulla (e qui si potrebbe a lungo volendo parlare del significato delle divinità del Cielo e di quelle della Terra, della copula che lega le une alle altre in cui l'esistenza umana si interpone). Ho conosciuto diverse persone che non potevano sopportare la visione del cielo notturno in aperta campagna: era per loro insopportabilmente angosciante, forse inconsciamente troppo terrificante la sovrumana affascinante maestosità di quell'infinito altro. Citazione:
E' forse per questo che in tutte le antiche storie sacre c'è un Dio che viene smembrato e diventa cibo, ma questo Dio fatto a pezzi a scopo di nutrimento risorge ogni volta di rinnovata e indomabile potenza. |
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