Originalmente inviato da nexus6
Tecnologia e Scienza, purtroppo, ahimè (sic, per chi l’ama!), dalla seconda metà del novecento sono strettamente connesse ed ormai sono divenute di fatto inscindibili: la cosiddetta tecno-scienza. E’ infantile ed ingenuo ancora distinguere, nella realtà delle cose, tra Scienza e tecnologia anche se per definizione e soprattutto come intima aspirazione dovrebbero essere divise. Non solo ingenuo, ma anche pericoloso, poiché si sottovaluta pesantemente il potere che hanno acquisito i tecnoscienziati (ahimè!). La tecnologia crea nuovi prodotti destinati ad una obsolescenza precoce e continuamente nuovi bisogni, come ben esplicitato da Visechi e l’ancella Scienza, degradata a ‘s’cienza, deve sottostare ai meccanismi di mercato se non vuol perire anch’essa per mancanza di fondi.
Fino a metà dell’ottocento, era proprio il tumultuoso sviluppo della tecnica che forniva materiale alla Scienza, che spesso giungeva tardi nelle spiegazioni dei fenomeni alla base di macchine già funzionanti – pensiamo alle macchine termiche; poi la Scienza assunse il ruolo dominante ed ha fornito, con le sue enormi e fondamentali scoperte, il materiale alla tecnica che si è trasformata dunque in tecnologia ed ha iniziato la tumultuosa produzione di innovazione e nuovi bisogni che hanno incominciato a rivoluzionare la vita umana; sino a metà del secolo scorso, diciamo, in cui la tecnologia ha finito per prendere il sopravvento sulla Scienza e fagocitarne gli interessi, gli obiettivi ed in ultima analisi, la morale.
Che sia da ammonimento questa frase di Oppenheimer dopo l’abominio di Hiroshima: «i Fisici hanno conosciuto il peccato».
E quando ricerche e risultati parziali, che dovrebbero giungere ad importanti innovazioni sociali, come quelli sulla fusione atomica (calda), vengono rastrellati per scopi bellici (nuovi mini-atomiche a fusione portatili), allora corre lungo la schiena il tremendo dubbio e brivido che molti dei fondi per quelle ricerche che si stanno protraendo oltremodo, tagliandoli di fatto all’altra fusione (quella fredda), non provengano in realtà che dalle stesse industrie belliche che tentano di reclamizzare anch’esse il loro unico prodotto: la guerra, il motore del "warfare", nuova "istituzione" economica che regge il mercato globale.
E le multinazionali odierne, per esempio quelle farmaceutiche, contano tra i loro consulenti e prezzolati gli stessi scienziati che compiono sperimentazioni sui prodotti che vendono, di fatto ignorando questa “regola” di base: che controllori e controllati non dovrebbero essere incarnati nello stesso gruppo di persone.
La conoscenza è divenuta ormai mera utilità, ovvero si ricerca e si scopre quasi esclusivamente in funzione delle applicazioni e del profitto che se ne trarrà; l’economia di mercato capitalista è la selva oscura in cui la Scienza ha smarrito la sua diritta via.
Il prematuro deperimento dei prodotti tecnologici, come ben detto da Visechi, è un altro paradigmatico sintomo di questa tendenza globale: gli ingegneri progettano i prodotti per durare pochi anni, ho parlato con alcuni di essi e d’altronde basta chiedere a qualunque termoidraulico o perito elettronico il regresso della vita media di una caldaia o di un cellulare, per esempio.
Quando, in conclusione, una scoperta scientifica da pura ricerca del vero e della conoscenza, quale era, assume sostanzialmente un “valore”, allora diventa dominio dell’etica e dunque delle scelte delle persone, della società. Le scoperte divengono politiche. Purtroppo. Questa è una presa di coscienza che gli ambienti scientifici tardano ad acquisire. Libera ricerca, certo, come profondo ed essenziale anelito umano... ed allora come si fa? Il filosofo Hans Jonas propone di uscire dalle secche imponendo questo ragionamento morale: ricercare sì, ma valutare anche le scoperte e le loro eventuali conoscenze e se palesemente rischiose non applicarle alla tecnologia, in quanto la nostra responsabilità si estende non solo ai viventi, ma anche a coloro che dovranno nascere. A me sembra ingenua anche questa proposta, non so, visti ormai i confini tra Scienza e tecnologia si sono sciolti definitivamente, purtroppo.
Quella da additare è proprio la Scienza, invece, e gli scienziati in toto, da quelli conniventi (che faccio molta fatica a chiamare “scienziati”) a quelli casti e puri, ma che non muovono un dito data la cappa di potere cui sono sottoposti, per denunciare i meccanismi che hanno palesemente sotto gli occhi, ogni giorno.
Una nuova stagione dovrebbe e potrebbe aprirsi in cui gli scienziati dimettano coraggiosamente i panni di nuovi sacerdoti per fare da paciere, neutro, tra i vecchi “bigotti” e quelli dal pensiero “debole”. Potrebbero mediare, gli scienziati, potrebbe essere nella loro indole e nelle loro corde, tra le varie istanze presenti nella società sulle questioni pressanti che la realtà ci impone di prendere in considerazione: accaparramento ed indipendenza energetica, inquinamento, ingegneria genetica.
Lo si farà? Lo faranno i tecnoscienziati? Sicuramente è molto complesso, come è complesso per il navigato e disilluso delfino di un re, tornare ad essere il semplice fanciullo curioso e stupito di fronte alla realtà.
Antonio
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