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Messaggio originale inviato da daniele
Secondo voi fino a che punto (se è corretto parlare di un limite massimo) la ragione può giungere a "negare" la religione?
Tutto bene finchè la scienza interpreta in modo "realistico" la realtà, ponendosi contro le allegorie dei testi sacri, ma fin quando sarebbe giusto il progresso che andrebbe contro la morale religiosa? Bisogna aspettarsi una religione che abbia totalmente perso tutta la sua funzione morale-sociale?
E' giusto (o perlomeno utile) che il progresso invada campi finora non appartenenti ad esso oppure la religione è padrona assoluta della morale?
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Personalmente ho maturato una concezione molto lontana dagli schemi da te proposti.
Provo ad accennarla in forma un po’ “ellittica”, nel senso che credo di rispondere in parte al tema che poni,integrando anche quanto da me già detto in questa e in altre sezioni di “Riflessioni”.
Fondamentalismo, evoluzionismo e “verità”.
Il fondamentalismo non è una prerogativa delle religioni, ma di tutte quelle impostazioni mentali che scambiano la parte con il tutto: la propria visione come unica legittimata a descrivere il "mondo"; atteggiamento diffuso in tutti i casi di "fede indiscussa" per qualcosa (scienza compresa) che diventano vera superstizione.
La Scienza è un "sistema ipotetico - deduttivo", statuto questo che è stato ed è la sua forza, rispetto alle fedi e alle religioni, ogni volta che uno scienziato abbandona questa concezione cade in una vera superstizione scientifica.
I processi culturali, compreso quelli scientifici, possono essere ricondotti, senza esitazioni, in "processi evolutivi", in nulla dissimili dai processi biologici.
Non sono insomma governati da un progetto precostituito e non si svolgono in vista di scopi prefissati.
Gli esseri umani, con la loro presunta ragione, non trascendono l'ordine naturale nel suo percorso evolutivo e selettivo, ma ne sono l'effetto, anche nella specificità del loro modo di pensare e conoscere nelle varie epoche storiche.
La direzione che si crede di scorgere nello sviluppo del pensiero (compreso quello scientifico) è il frutto a posteriori dei nostri schemi narrativi.
Così come l'evoluzione della specie non ha lo scopo di produrre l' "homo sapiens", l'evoluzione della conoscenza scientifica non ha lo scopo di produrre saperi più prossimi alla "verità".
Più semplicemente l'evoluzione genera varianti soggette alla selezione naturale sia in biologia che per idee e conoscenze.
Nel caso di Galileo per esempio, il consenso alle sue "varianti" proveniva da una minoranza di competenze, mentre venivano rigettate da una maggioranza di tendenze conservatrici, che vedeva minacciati consolidati interessi politici, religiosi e filosofici.
Quelle stesse varianti, dopo circa un secolo, si mostrarono perfettamente adatte all'ambiente in cui tutti si professavano kepleriani, galileiani e newtoniani, anche se non erano in grado di capire quelle teorie.
Questa teoria dell'evoluzionismo culturale (compreso quello scientifico) fu già descritta da un filosofo, pur se non in termini analitici e dimostrativi: Friedrich Nietzsche, che scriveva in "Verità e menzogna in senso extramorale" che "ciò che noi chiamiamo verità, non è altro che ciò che torna utile per la nostra esistenza".
E poi: " La logica è legata a questa condizione: supporre che si diano casi identici, perché senza costanti, l'uomo non può sopravvivere".
Ancora: "Sull'origine della logica: caos originario delle rappresentazioni. Le rappresentazioni compatibili tra loro rimasero, la maggioranza di loro andò in rovina e va in rovina".
Sui concetti: "L'intiero apparato della coscienza è un apparato per astrarre e semplificare, non orientato verso la conoscenza ma verso il dominio".
Perché verso il dominio? "Perché è funzionale alla nostra sussistenza", infatti: "E' impossibile che il nostro conoscere possa andare al di là dello stretto necessario per la conservazione della vita.
La morfologia ci mostra che i sensi e gli organi si sviluppano proporzionalmente alla difficoltà di nutrirsi, dunque la conoscenza esiste nella misura in cui è utile. Non c'è dubbio che tutte le percezioni di senso sono impegnate in giudizi di valore: utile, dannoso; piacevole, spiacevole".
E allora, che cos'è la verità: "Inerzia, l'ipotesi che ci soddisfa, minima spesa di forza mentale".
af
20.02.2003