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31-01-2006, 13.45.50 | #12 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 08-04-2002
Messaggi: 2,959
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Re: Re: il dolore del mondo
Citazione:
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31-01-2006, 13.47.07 | #13 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 04-09-2004
Messaggi: 586
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Re: Re: Re: il dolore del mondo
Citazione:
hai ragione ...scusami ..faccio sempre confusione tra questi due autori...li trovo simili... ciao |
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31-01-2006, 13.48.38 | #14 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 08-04-2002
Messaggi: 2,959
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Re: Re: Re: Re: il dolore del mondo
Citazione:
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31-01-2006, 16.59.20 | #15 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
Messaggi: 1,150
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Re: il dolore del mondo
Citazione:
Quante volte ciascuno di noi, nel corso della propria vita, si è dovuto confrontare con situazioni, anche non strettamente legate a fatti ed accadimenti, che inducono una sensazione dolorosa, come un singulto o un rigurgito proveniente dal nostro intimo, dal profondo fondo che ospita, sopite ma mai obliate, percezioni, ricordi e lamenti che vanamente tendiamo a tradurre in grafia e dizione, per fornirci così una rappresentazione di senso a ciò che senso e significato non ha. Le parole, le nostre parole, sono afasia a agrafia, ed ogni qualvolta si confrontano con questo sentore divengono espositive ed espressive dei simboli, delle vocali e consonanti in concatenazione logica da cui sono composte. E’ l’Anima magmatica che rigurgita il proprio contenuto. E’ l’Anima, ospite della pre-storica angoscia del Creatore, che riflette con tutta la propria virulenza l’eco profondo della lacerazione primigenia. Nessuno può esimersi da questa sensazione, perché mai esentato ab origine. Ognuno di noi, almeno una volta nella propria vita, è stato colto da questa percezione ineffabile e inesprimibile che definiamo dolore. Il dolore è un annuncio di Morte, è il sentore della furia della morte che vitalizza la vita. E’ fosco e bello al medesimo tempo il tuo urlo di dolore, bella la poesia. Occhi che rifiutano, perché impossibile, la ricomposizione e la suturazione della lacerazione originaria che dilania l’essere, nell’oscillazione perpetua di essere e non-essere, vuoto ed impossibile riempimento - fatuo - di questa vacuità, del non sense che ci abita, che abita la vita stessa. Occhi che osservano attenti per cogliere il dolore scaturente dall’ansito del mondo, sintetizzato e trasfuso nel viso sofferente di una persona (forse amata) – il tuo viso sofferente -, che tradisce dolore, patimento, sofferenza, tristezza, angoscia, spleen, male di vivere – lo stesso male, forse, declamato da Montale, lo stesso spleen di Baudelaire, la medesima afasia che coglie Caproni, o Rimbaud, al cospetto dell’indifferenza del Numinoso -. La stessa percezione che riverbera nel ricordo di ‘lunghe notti’ che guardano un limine inarretrabile, irraggiungibile, che è orizzonte mai varcato, mai solcato o traguardato da uno sguardo stanco, avvilito dal patire. Uno sguardo che dispera dell’alba e del sole, immerso in una tenebra più buia di una notte senza luna e stelle…. Il profondo buio dell’Anima. Ma vi è sempre un anelito di rivincita, di riscatto, una ricerca inesausta – spesso avvilita e destinata a frantumarsi in mortificazioni – di un senso che accenda un lume che rischiari le tenebre e la nebbia che avvolge, che avvinghia, che ghermisce come una fiera ruggente. E la sconsolata constatazione che il dolore, la sofferenza intima, quella del cuore, dell’Anima, modificano anche il senso di se stessi, il modo di percepirsi, di sentirsi immersi in un mondo circostante in perenne mutamento per effetto e per causa del dolore stesso… e tutto cambia insieme a te, ruotando attorno a questo indefettibile dolore. E poco rilevano le insensate (prive di senso) brame di conforto, le fantasticherie illusorie atte ad accarezzare una pelle resa ormai ruvida ed impermeabile ad ogni lusinga, ad ogni speranza… così è che anche la vana vocazione di essere d’aiuto agli altri s’infrange contro le banchine di un porto che non offre attracchi, che rifiuta approdi sereni, ma che esige da noi finzioni inenarrabili che ci narriamo per vivere. E non vi è gomma che possa cancellare i profondi solchi segnati sul cuore e sull’anima dal tempo inclemente, dal vivere impetuoso. Niente e nessuno potrà mai lenire le ferite, disconoscendole per sempre; non vi è prossimo (sempre un altro, sempre alterità mai incontrata per strada) che possa essere farmaco per il veleno che la vita spande e infonde nell’animo di ciascuno di noi. Solo l’oblio, la dimenticanza e l’ignoranza della vita, di questo flusso perenne ed impetuoso, e con l’oblio della vita, anche l’abbandono di se stessi, sono farmaci atti a lenire il senso di non sense che pervade ciò in cui si è immersi: il dolore, come la vita, non sono doni, sono condanne. Il dolore è inarretrabile, irredimibile, perché, ab origine, s’innerva nella creazione stessa, essendo baluginio dell’angoscia pre-storica divina, ante Origine. Creature, parto della (volontà?) creatrice divina, non possiamo che portare con noi, ben infissa nel profondo dell’anima, questa sensazione di angoscia che è immagine divina e dell’agon intra-divino. Il dolore è irredimibile, e si ammatassa, in un groviglio inestricabile, con la luce che promana da Dio stesso, dalla vita stessa, essendone nutrimento e, al tempo stesso, sua genesi. Dio trasmise alla Creazione quest’agon(ia) ante Origine, cioè quel che caratterizzava la Sua pre-storia. Lo infuse ab Origine, ed in ciò non è rilevabile alcun “peccato d’Origine” ascrivibile alla creatura, e non emerge neppure la maledizione e gli strali divini nei confronti della Creatura e della terra che la ospita narrata nel Libro della Genesi. Il ‘peccato d’Origine’ è infuso nella Creazione proprio per effetto ed in conseguenza della Creazione stessa. E si ode ancora l’eco della protesta di Cioran: <<...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.>>. Ma non vi è solo tenebra in noi. Vi è anche luce. E’ la stessa luce, nel perenne simbolico gioco delle compossibilità, che tracima in ombra, che genera quell’Ombra e che da quest’ultima è a sua volta generata; ombra di cui tu tanto sensibilmente parli nella tua poesia. E’ una luce che forse soffusa, forse appena accennata, soffocata come talvolta è da quel cono d’ombra grigia o nera che tanto affatica e prostra…. Ma è un lume, seppur fatuo, seppur flebile, seppur distante mille e mille miglia, che val sempre la pena di far avvampare, perché colà è anche racchiuso quel minimo senso germinativo che alla vita attribuiamo – foss’anche mentendoci spudoratamente – per non annegare fatalmente fra gli impeti insani e i marosi fluttuanti di questo perenne scorrere che c’ingloba. Ciao |
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