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26-11-2005, 20.31.40 | #1 |
dnamercurio
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Pulsione di pace, pulsione di guerra
Gentili amici,
vorrei porre l'attenzione su un argomento veramente importante che andrebbe sviscerato a fondo da tutti noi. Si tratta della pulsione di Pace e quella di Guerra; una chimata Bontà e l'altra definita con nome di Cattiveria. # In realtà una è figlia dell'altra nella sua manifestazione libera nei limiti umani. Poichè il discorso è veramente molto ampio e carico di complicazioni, generate da stereotipi pro pace o pro guerra, ho pensato, dopo aver letto l'epistole fra Albert Einstein e Sigmund Freud di farvi cosa gradita riportare i pensieri di questi grandi uomini: uno scienziato matematico, l'altro scienziato ed umanista. Non voglio dilungarmi, ma vi invito a leggere il link poichè qualcuno rimarrà sorpreso, come, me delle tesi di questi illustri personaggi. http://www.psicologiaonline.it/Einstein-Freud.htm Buona lettura Saluti a tutti |
03-12-2005, 00.23.50 | #7 | |
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Citazione:
Da quando le domande bloccano il dialogo? E' la mancanza di una risposta a farlo. |
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03-12-2005, 00.30.56 | #9 |
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Caludio Risè - psicoanalisi della guerra
“Con un approccio che per certi versi anticipa la crisi della modernità e del razionalismo che l’ha caratterizzata, Tolstoj suggerisce “il primato di forze ignote e inconoscibili: forze situate al di là del regno delle ‘decisioni’ [in effetti autoillusioni] umane”
Spiegando perché ogni indagine storica si illuda di individuare le cause oggettive della campagna di Napoleone contro la Russia sia vana e illusoria, Tolstoj così conclude: “Il cuore del re è nella mano di Dio. Il re è schiavo della storia. La storia, cioè la vita incosciente comune, la vita di sciame dell’umanità, si serve di ogni momento della vita del re come di un mezzo per raggiungere i propri fini” (L.Tolstoj, Guerra e pace) In questa visione Tolstoj ripresenta, nel pieno fulgore dell’epoca della modernità, quella che era sempre stata l’antica interpretazione dei motivi e della natura della guerra, prima che I’Illuminismo la riducesse a ragioni e interessi. E l’inconscio collettivo (la “vita incosciente comune” di Tolstoj) che si impadronisce delle decisioni dei re, per realizzare i propri fini, attraverso le guerre. E questo inconscio è il dio nelle cui mani è il cuore del re. La comprensione delle vicende mosse da questa “forza superiore” non può essere un’operazione di ricostruzione razionale, ma richiede una partecipazione alla passione che agisce da tramite tra gli uomini e gli dei. Come dice Giovanni Reale, rileggendo Gadamer alla luce di Platone: “Solo colui che ama ben comprende, perché l’amore è relativo a questo. La passione dell’Eros integra la dimensione del Logos e della ragione, facendo comprendere all’uomo, appunto, ciò che sta al di sopra della ragione stessa. (G. Reale, L’ermeneutica gadameriana applicata all’indagine della dottrina platonica dell’amore, Il Sole 24 Ore, 27 Agosto 1995) Anche la guerra, come altri fenomeni centrali della vita dell’uomo, non viene compresa con la ragione, ma con l’amore, la passione. Si tratta più di un’esperienza emozionale, passionale, che di calcolo. Quando l’osservazione psicanalitica era ormai avanzata, qualche decennio dopo la stesura di Guerra e pace, e la visione organicistica e razionalistica dell’inconscio, che era stata in parte quella di Freud, era stata affiancata dall’approccio antropologico-culturale di C.G. Jung, lo psicologo svizzero spiegò bene come quel dio, o quegli dei, che avevano nelle loro mani il cuore dei re, fossero gli stessi archetipi dell’inconscio collettivo che da sempre, nella storia dell’umanità, avevano impersonato i diversi aspetti psicologici. La ricerca identitaria postmoderna, a differenza della negazione ‘moderna’ delle diversità, fondata sui concetti di uguaglianza e ‘progresso’, riattiva proprio quegli estremi referenti di ogni diversità e di ogni appartenenza che sono gli archetipi. Così Jung ha chiamato le invarianti simboliche che, di natura trascendente e fondanti, nei simboli dell’inconscio collettivo, la simbolica degli istinti e dei legami primordiali. Dotati della forza del sacro, questi simboli eterni su cui si fondano le appartenenze forniscono ai singoli individui, come alle comunità, direzione verso il futuro oltre che la partecipazione al passato. Come spiega Jung: “Simili potenze,… immagini o tipi originari innati nell’inconscio di molte razze, esercitano su di queste un’influenza diretta” (C.G. Jung, Wotan) “Se ci fosse lecito dimenticare per un momento che viviamo nell’anno del Signore 1936 e che per conseguenza crediamo di spiegare il mondo razionalmente in base a fattori economici, politici e psicologici, se accantonassimo la nostra ben intenzionata ragionevolezza umana, troppo umana; se ci permettessimo di accollare a Dio o agli dei, anziché all’uomo, la responsabilità degli eventi contemporanei” potremmo capire molto di più di quanto stava accadendo in Germania e in Europa, osservava lo scienziato svizzero, mettendo il relazione l’esplosione della guerra nazionalsocialista e il dio germanico della guerra, Wotan. “Gli dei” continuava “sono indubbiamente manifestazioni di forze psichiche”, e queste non sono riducibili né al conscio né alla razionalità: “…le forze psichiche non hanno certamente niente a che fare con la coscienza; per quanto ci piaccia trastullarci con il pensiero che coscienza e psiche siano identiche, la nostra non è altro che una presunzione dell’intelletto. …Le forze psichiche hanno piuttosto a che fare con l’anima inconscia”. Ecco dunque affiorare, con Jung, dall’indagine psicologica, ancora quella “vita incosciente comune” che l’intuizione artistica di Tolstoj aveva intravisto, al di sotto degli schematismi illuministici. L’inconscio collettivo, continua Jung, ha in sé enormi forze, e potenti tendenze, che esplodono quando la coscienza collettiva, gli orientamenti dominanti non lo rappresentano adeguatamente. E spiega: “La più antica intuizione umana ha sempre deificato simili potenze, caratterizzandole ampiamente e con gran cura per mezzo dei miti, a seconda delle loro peculiarità. Ciò era tanto più possibile in quanto si tratta di immagini o tipo originari innati nell’inconscio di molte razze, che esercitano su di queste un’influenza diretta” (C.G. Jung, Wotan) Dunque gli dei rappresentano archetipi, “tipi originari” attivi nell’inconscio delle varie razze (data l’inconsistenza scientifica di questo termine io preferisco pensare alle culture di appartenenza), capaci di influenzarle. Ogni cultura attribuisce uno spazio e un senso alla guerra. Lo stesso Jung insiste sul carattere ‘nazionale’ (dunque poiché parla di nazione ‘naturale’ oggettiva, e non di un sistema giuridico, possiamo ancora tradurlo con ‘culturale’) degli archetipi, anche se ciò complica un facile egualitarismo psicologico. Essi non sono attivi in modo univoco in tutte le culture, ogni cultura costella i propri, le cui manifestazioni sono quindi parte dell’identità nazionale. Gli uomini si organizzano attorno a credenze, fedi, visioni del mondo, culture appunto, ognuna delle quali ha una data visione della guerra, che è espressione degli archetipi, dei modelli di comportamento bellicosi in essa presenti. …La guerra è prodotta dalla cultura nel suo complesso, nella sua totalità, e in particolare dai suoi riferimenti trascendenti, dalle convinzioni metafisiche in essa presenti. Meno importanti, in tutte le guerre ma soprattutto in quelle identitarie della postmodernità, sono gli aspetti razionali della cultura, le considerazioni di opportunità, che ogni cultura contiene in misura più o meno ampia. Per fare la guerra servono molto più delle ragioni (“che sono comuni come le more” diceva Falstaff) o interessi: servono delle visioni del mondo, delle passioni che abbiano per oggetto una visione totale dell’uomo e della vita. … Perché una guerra si scateni occorre che gli stessi archetipi, gli dei, appunto, facciano irruzione nel campo storico degli uomini. Ciò accade quando le civiltà, nei loro momenti di fondazione, di nascita o di successiva trasformazione, si aprono, a volte controvoglia, agli archetipi, alle immagini produttrici di visioni del mondo, cui ispirano la propria cultura e la propria vita. … La guerra, con il suo esito di messa a rischio e di distruzione della vita e della ricchezza, è il contrario di un calcolo razionale. E’ l’irruzione di un archetipo nella vita degli uomini: essi, avvicinandosi a quest’immagine piena di energia per nutrirsi del suo significato simbolica e rafforzare così la propria identità e il proprio potere, ne cadono preda. Per conoscere la guerra, dunque, è necessario innanzi tutto conoscere gli dei, gli archetipi, che muovono le battaglie degli uomini.” Claudio Risè, Psicanalisi della guerra |
03-12-2005, 00.39.12 | #10 |
dnamercurio
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Gentili amici,
ciò che mi è rimasto più impresso nel il dialogo fra questi illustri scienziati, è lo scritto di Sigmund Freud il quale scrive all'amico Albert, il gra matematico della relatività, anche molto idealista e spesso sognatore: <<Posso ora procedere a commentare un'altra delle Sue proposizioni. Lei si meraviglia che sia tanto facile infiammare gli uomini alla guerra, e presume che in loro ci sia effettivamente qualcosa, una pulsione all'odio e alla distruzione, che è pronta ad accogliere un'istigazione siffatta. Di nuovo non posso far altro che convenire senza riserve con Lei. Noi crediamo all'esistenza di tale istinto e negli ultimi anni abbiamo appunto tentato di studiare le sue manifestazioni. Mi consente, in proposito, di esporle parte della teoria delle pulsioni cui siamo giunti nella psicoanalisi dopo molti passi falsi e molte esitazioni?...... >> Lo scienziato quindi inizia a raccontare le sue idee in merito alla nuova psicoanalisi. Saluti a Tutti |