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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 29-06-2005, 09.38.14   #1
arsenio
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Cent'anni di psicanalisi

“Cent'anni di psicanalisi”, Hillman – Ventura, '92 – 2005

La terapia ha fallito perchè ha considerato l'anima ripiegata all'interno mentre sta fuori parimenti alla malattia e lo stesso Freud riconobbe le disfunzioni della civiltà.
Non è sufficiente “imparare le abilità del sentimneto, ricordare veramente, saper liberare la fantasia, saper trovare le parole per le cose invisibili, andare in profondità e affrontare le cose”. Con questa crescita personale non si apprendono le abilità politiche né come funziona il mondo. Diventare in senso junghiano se stessi e conoscersi attraverso l'individuazione comporta la perdita di illusioni e di sicurezze, e tale crescita è solo una romantica fantasia di una persona, sia pure in evoluzione, creativa e integrata, mentre le emozioni andrebbero socializzate a favore della comunità. Indirizzi in auge negli USA come la psicologia evolutiva attenta ai primi anni di vita e le compensazioni adleriane non hanno valore perchè sin dall'inizio l”anima” sa chi siamo senza bisogno di elaborare emozioni.
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Sono questi i concetti più significativi di Hillman che non sorprendono chi conosce il suo modello di “Anima”. Già sappiamo che secondo il filosofo si deve abbandonare ogni illusione di padronanza dell'io sulle proprie prevalenti emozioni fantastiche e ogni pretesa di curare la psiche per privilegiare un aprirsi all'immaginale archetipico delle divinità del politeismo greco, che diventano le voci e le immagini abitanti la psiche, da lasciare liberamente parlare. (cfr. “Introduzione alla psicoanalisi contemporanea”, M. Recalcati, 2003)

Sono d'accordo sul riflesso del “disagio della civiltà” e sulle emozioni da socializzare, ma ai suoi miti contrappongo il modello postfreudiano evolutista ( contano i primi anni di vita) e “l'inconscio che si struttura in linguaggio” di Lacan, tra dialettica e interpretazione. Lo psicanalista intendeva ricondurre l'esperienza analitica al fondamneto della parola, dopo la rottura postfreudiana negli USA, ispirata a Melanie Klein orientata all'empatia in una dimensione istintuale e fantasmatica.
Per un ritorno a Freud è centrale lo scambio di parole tra l'analista e l'analizzando, senza fraintendimenti estranei all'esperienza dialettica, che faccia parlare e interpreti l'inconscio con il linguaggio dei sogni, dei lapsus, dei sintomi nevrotici, tralasciando versioni junghiane dell'inconscio mitologico.

In controtendenza a certi professionisti della psiche adeguatisi alla moda new age che promettono ai pazienti di scoprire i loro “miti personali”, io avrei fiducia nelle terapie che puntano più sulle forme e strategie del linguaggio necessarie anche per manifestare l'empatia, in particolare con un ascolto intenzionale e riformulante. Sia attraverso il decifrare la metafora del sintomo anche da manifesti disagi mentali, sia con ogni forma di sostegno tramite la parola oggi considerata alla pari di un farmaco che ha effetti sulla plasticità dei circuiti cerebrali.
Del resto un'altra tendenza oggi propone per ogni tipo di malessere psichico una profonda e più autentica relazione affettiva, quasi materna ( “maternage”), al di là perfino degli stessi modelli teorici di riferimento.

Miti o parole?
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L'analista

Quando t'ascolto e ti leggo in volto
la tristezza
vorrei dare conforto al tuo
inaridito cuore
per saldarti un credito d'amore.

Non ti sembri strano se oggi ti distendo
su di un virtuale clinico divano
e d'esserti amico non formale pretendo
mèntore d'un interiore viaggio
più da persona che non da persoanaggio
per vicendevole de-sublimazione.

Quale emozione ti risuona
quest'associazione
in più libera relazione transferale?

arsenio
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Vecchio 29-06-2005, 09.58.26   #2
sisrahtac
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L'analisi non deve dare conoscenze politiche o sociali, deve solo ricostruire la psiche danneggiata delle persone, che poi è comunque il primo tassello per poi integrarsi in una società.

L'archetipo della divinità? Io effettivamente ho una visione molto idealizzata del mio analista. Lui è Dio che sta plasmando Adamo, lo sta facendo a sua immagine e somiglianza, perfetto! (Ma prima o poi, ecce homo...zac...in pensione, caro mio...)
Cioè, dall'archetipo non si scappa, alla fine la psiche si basa su immagini.

Che la parola abbia valore terapeutico non ne ho più dubbi. Anzi, mi sta facendo perdere fiducia nel farmaco, e per uno come me...ma non voglio dare dati personali...

Per quanto riguarda l'aspetto materno dell'analista boh. Io vedo, tanto per rifarmi ad archetipi, la psiche della donna come un labirinto geometrico e preciso. Magari il trovarsi difronte una mente femminile aiuta a far affiorare le cose più profonde sepolte nella mente. Ma sono discorsi che devo ancora sgrezzare io di mio, quindi...
sisrahtac is offline  
Vecchio 29-06-2005, 11.49.03   #3
sisrahtac
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L'analisi non da le abilità per l'integrazione sociale. Anche se ho fatto finta di niente, è' una tragedia! Durante l'analisi io mi sono scoperto in competizione con mia sorella, brillante, con buone riuscite all'università e adesso in affermazione nel suo futuro lavoro. Queste donne, sono snervanti! Io non posso diventare donna solo per studiare! Uomo sugnu, e che cazzo..

Per quanto riguarda la figura dell'analista ho detto che vedo a volte in lui una divinità idealizzata, ma vedo in lui anche una puttana, che si vende al primo che passa per sessanta euro! Alla faccia dell'aspetto materno! Gli psicologi sono peggio delle prostitute. Ciò rispecchierà la mia visione della donna, cosa vi devo dire.

Scusate se come ogni volta da un discorso di interesse generale finisco col parlare di me, ma sono confuso ed ogni spunto può essere utile per chiarirsi le idee.
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Vecchio 29-06-2005, 12.52.24   #4
Fragola
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Re: Cent'anni di psicanalisi

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Messaggio originale inviato da arsenio
“Cent'anni di psicanalisi”, Hillman – Ventura, '92 – 2005

La terapia ha fallito perchè ha considerato l'anima ripiegata all'interno mentre sta fuori parimenti alla malattia e lo stesso Freud riconobbe le disfunzioni della civiltà.
Non è sufficiente “imparare le abilità del sentimneto, ricordare veramente, saper liberare la fantasia, saper trovare le parole per le cose invisibili, andare in profondità e affrontare le cose”. Con questa crescita personale non si apprendono le abilità politiche né come funziona il mondo. Diventare in senso junghiano se stessi e conoscersi attraverso l'individuazione comporta la perdita di illusioni e di sicurezze, e tale crescita è solo una romantica fantasia di una persona, sia pure in evoluzione, creativa e integrata, mentre le emozioni andrebbero socializzate a favore della comunità. Indirizzi in auge negli USA come la psicologia evolutiva attenta ai primi anni di vita e le compensazioni adleriane non hanno valore perchè sin dall'inizio l”anima” sa chi siamo senza bisogno di elaborare emozioni.
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Sono questi i concetti più significativi di Hillman che non sorprendono chi conosce il suo modello di “Anima”. Già sappiamo che secondo il filosofo si deve abbandonare ogni illusione di padronanza dell'io sulle proprie prevalenti emozioni fantastiche e ogni pretesa di curare la psiche per privilegiare un aprirsi all'immaginale archetipico delle divinità del politeismo greco, che diventano le voci e le immagini abitanti la psiche, da lasciare liberamente parlare. (cfr. “Introduzione alla psicoanalisi contemporanea”, M. Recalcati, 2003)

Sono d'accordo sul riflesso del “disagio della civiltà” e sulle emozioni da socializzare, ma ai suoi miti contrappongo il modello postfreudiano evolutista ( contano i primi anni di vita) e “l'inconscio che si struttura in linguaggio” di Lacan, tra dialettica e interpretazione. Lo psicanalista intendeva ricondurre l'esperienza analitica al fondamneto della parola, dopo la rottura postfreudiana negli USA, ispirata a Melanie Klein orientata all'empatia in una dimensione istintuale e fantasmatica.
Per un ritorno a Freud è centrale lo scambio di parole tra l'analista e l'analizzando, senza fraintendimenti estranei all'esperienza dialettica, che faccia parlare e interpreti l'inconscio con il linguaggio dei sogni, dei lapsus, dei sintomi nevrotici, tralasciando versioni junghiane dell'inconscio mitologico.

In controtendenza a certi professionisti della psiche adeguatisi alla moda new age che promettono ai pazienti di scoprire i loro “miti personali”, io avrei fiducia nelle terapie che puntano più sulle forme e strategie del linguaggio necessarie anche per manifestare l'empatia, in particolare con un ascolto intenzionale e riformulante. Sia attraverso il decifrare la metafora del sintomo anche da manifesti disagi mentali, sia con ogni forma di sostegno tramite la parola oggi considerata alla pari di un farmaco che ha effetti sulla plasticità dei circuiti cerebrali.
Del resto un'altra tendenza oggi propone per ogni tipo di malessere psichico una profonda e più autentica relazione affettiva, quasi materna ( “maternage”), al di là perfino degli stessi modelli teorici di riferimento.

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L'analista

Quando t'ascolto e ti leggo in volto
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arsenio

Io credo che l'inconscio parli attraverso il mithos e non attraverso il logos, il che mi porta ad avere una visione mooooolto più junghiana che che lacaniana!! Fermo restando che il mito non è mai "personale"!

Ricordo che sia mithos che logos significano parola, ma si tratta di tutto un altro genere di parola!"

“Mito in senso stretto significa “parola”, parola che racconta, che narra, consiglia, dispone alla vita, parola che si compone in un racconto, parola capace di favoleggiare e descrivere, parola che pare una dimensione avventurosa e che costruisce mondo, mondo reale e mondo fantastico, perché il mito ricostruisce un mondo raccontandone le origine e le ragioni, i dubbi e le certezze, i fatti e le leggende.
La parola che racconta (mito) in qualche misura si oppone alla parola che spiega, che tratta, che argomenta, che saggia, che analizza e definisce, che svolge e sciorina, a quel Logos che rischiara e svolge. La luce del mito è meno chiara e meridiana di quella del logos perché il mito è la luce del mattino, la luce dell’alba e del tramonto, una luce meno tagliente e netta, una luce che allunga le ombre e quindi accoglie mondo e lo mostra nella sua profondità di campo perché non abbaglia” (Guliano Corti dalla prefazione a “Là dove il mito vive”)
)


Rimane il fatto che la psicoterapia dovrebbe, per prima cosa, aiutare ad uscire dalle proprie pastoie nevrotiche. Si inizia un'analisi perchè si sta male, non perchè si aderisce ad una concezione teorica!!
In assoluto, quindi, io non credo che esista un approccio terapeutico che funziona e uno che non funziona. Esiste l'approccio terapeutico adatto a quella singola persona! Conosco persone che dopo dieci anni di analisi lacaniana erano al punto di partenza e in un paio di analisi junghiana sono "rifiorite" e viceversa. (viceversa molto meno, perchè nessun analista junghiano che si rispetti terebbe qualcuno in analisi 10 anni!!!!!!)
La prima abilità di un buon terapeuta, quindi, dovrebbe proprio essere quella di riconoscere il tipo di approccio adatto a quella singola persona e, nel caso, inviarla ad un collega più adatto.
L'inconscio non ha mai UNA verità. Non c'è assoluto nell'inconscio. C'è compessità e ... poesia.

Fragola is offline  
Vecchio 01-07-2005, 09.36.35   #5
arsenio
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Fragola, catharsis

Mithos nel senso di parole, discorso; poi in età classica racconto intorno agli dei.

Freud stesso si riferì ai miti che oggi alcuni usano in modo improprio e superficiale. I personaggi simbolici dei miti, fiabe, romanzi, possono chiarire i sentimenti e le emozioni, conceedere confronti identificativi.

Non importa tanto il modello teorico di riferimento ma conta di più la personalità del terapeuta da verificare nel transfert e controtransfert. “Materno” in quanto dotato di qualità come accoglienza e contenimento.

Non conosco i dettagli della teoria di Lacan. L'ho citato perchè rivalutò la parola come significante. La poesia, se autentica espressività e non solo giustapposizione di parole preziose, può “lacanianamente” strutturarsi come un linguaggio che svela l'inconscio sotto forma di metafora o come intersecarsi del piano della realtà con quello della fantasia. Estrinseca una storia da interpretare e dialoga con altri inconsci, rivela conflitti, è catarsi e autoconoscenza.

Le terapie brevi temo siano rare: sarebbero contrarie all'interesse dei professionisti.
Certe analisi protratte per anni si dice possano avere più un valore culturale che clinico. C'è integrazione sociale se si considera e rivaluta la competenza comunicativa

arsenio is offline  
Vecchio 01-07-2005, 11.24.04   #6
Fragola
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Re: Fragola, catharsis

Citazione:
Messaggio originale inviato da arsenio
Mithos nel senso di parole, discorso; poi in età classica racconto intorno agli dei.

Freud stesso si riferì ai miti che oggi alcuni usano in modo improprio e superficiale. I personaggi simbolici dei miti, fiabe, romanzi, possono chiarire i sentimenti e le emozioni, conceedere confronti identificativi.

Non importa tanto il modello teorico di riferimento ma conta di più la personalità del terapeuta da verificare nel transfert e controtransfert. “Materno” in quanto dotato di qualità come accoglienza e contenimento.

Non conosco i dettagli della teoria di Lacan. L'ho citato perchè rivalutò la parola come significante. La poesia, se autentica espressività e non solo giustapposizione di parole preziose, può “lacanianamente” strutturarsi come un linguaggio che svela l'inconscio sotto forma di metafora o come intersecarsi del piano della realtà con quello della fantasia. Estrinseca una storia da interpretare e dialoga con altri inconsci, rivela conflitti, è catarsi e autoconoscenza.

Le terapie brevi temo siano rare: sarebbero contrarie all'interesse dei professionisti.
Certe analisi protratte per anni si dice possano avere più un valore culturale che clinico. C'è integrazione sociale se si considera e rivaluta la competenza comunicativa


Freud fece certo riferimento ad alcune immagini della classicità. Al Mithos si collegò molto di più Jung vedendo gli dei come rappresentazioni, mediate dalla cultura, degli archetipi dell'inconscio collettivo. Quindi il mito non è un racconto "sugli dei" (che tale sarebbe solo la mitologia greca, mentre ogni cultura ha i suoi miti) ma una narrazione simbolica che racconta e ... "crea mondo".

La parola poetica è una parola metaforica e simbolica, dell'ordine del mithos, e non del Logos. Mentre il linguaggio cui fa riferimento Lacan, che si collega a Saussurre, è proprio il Logos. L'impostazione della terapia analitica lacaniana è stremamente razionale e entra poco (o affatto!) nell'ordine del simbolico, del'archetipico, della metafora. Il termine significante, nel modello lacaniano, va letto in senso strettamente saussuriano.

Oh sì, ciò che conta davvero è la relazione terapeutica, molto più della tecnica. Ma ovviamente ogni terapeuta ha le sue specificità, e se ha scelto di studiare a fondo una teoria, come quella lacaniana, estremamente razionale, difficilmente saprà relazionarsi in modo accogliente verso un individuo intuitivo e poco razionale, ad esempio. Sul fatto che il tipo do accogilmento, poi, debba essere "materno", beh, su questo non sono d'accordo, non in assoluto. Anche questo va valutato in ogni specifica relazione.

Non posso esistere terapie brevi perchè sarebbero contrarie all'interesse dei terapeuti????????????????????? ???
Mio caro, io spero che tu non sia un terapeuta!
La psicoterapia è un lavoro che si può fare bene solo per amore, se lo si fa per denaro, certo si guadagna molto succhiando sangue e energia ai propri pazienti e creando dipendenza, ma siamo ai limiti del plagio.
La terapia DEVE essere breve. Si deve concludere quando il soggetto ha acquisito gli strumenti per andare avanti da solo. Jung insegnava ai suoi pazienti delle tecniche (l'immaginazione attiva, ad esempio) per proseguire da soli il percorso interiore. L'analista rimane magari ancora per qualche anno un punto di riferimento, ma occasionale. Questo è il punto di vista mio e della mia scuola. E non è nemmeno contrario all'interesse del trerapeuta, perchè una persona che ha lavorato con un terapeuta che nel giro di pochi anni lo ha aiutato veramente e che non lo ha risucchiato in un vortice di dipendenza, ne parlerà bene, manderà altre persone. Il giorno in cui dovessi riusire a diventare terapeuta, credo che preferirei avere un "ricambio" piuttosto che sentiore per 15 anni gli stessi 10 pazineti che se la menano sulle stesse cose. Se devo fare un lavoro così noioso me ne rimango in ufficio!!!


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Vecchio 04-07-2005, 09.18.54   #7
arsenio
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Fragola

Che fossi d'accordo sull'esigenza di correttezza e onestà per quanto riguarda le modalità di durata di ogni terapia pensavo si deducesse dalla mia frase :”Le terapie brevi *temo* siano rare: sarebbero contrarie all'interesse dei professionisti”

Mito, nella nostra accezione, è “leggenda”, “favola”, ecc. e logos è “argomentazione razionale”. Ma mito e logos sono entrambi due modi di conoscere e spiegare il mondo. Per il mito la realtà si può risolvere nel mondo interiore soggettivo proiettandolo all'esterno, così come il mondo interiore si può esternare sotto forma di divinità. Per cui la narrazione mitica vive nella sogggettivazione della realtà esterna ma anche nell'oggettivazione del mondo interiore.

Freud individua le radici del mito nella proiezione dei contenuti inconsci e ogni mito riconduce ad aspetti più o meno patologici. Per Jung invece è espressione senza tempo e autonoma dell'inconscio (archetipi) non da spiegare ma da comprendere.

Lacan intendeva ritornare al metodo freudiano. Per l'inconscio non funzionano le leggi logico-temporali del discorso cosciente che si presenta tuttavia con un linguaggio simbolizzabile in cui si trovano fugure retoriche come ad es. la metafora (condensazione) e la metonimia (spostamento).
Lacan al modello genetico- evolutivo postfreudiano oppone un modello strutturalista. Essendo l'inconscio strutturato come un linguaggio (lapsus, sogno, atto mancato, sintomo, ecc.) non è l'istintuale e primitivo su cui interviene l'Io, ma assume un senso razionale e colto.

Rasserenati, non sono uno psicoterapeuta . Figura, pur senza voler generalizzare, verso cui un po' diffido. Spesso “personaggio” calato in un ruolo con schemi fissi di riferimento e senza quel coinvolgimento emotivo che in certi casi si renderebbe necessario.

Mi sembra potremmo essre d'accordo, ho solo ritenuto di chiarire alcuni punti

arsenio is offline  
Vecchio 04-07-2005, 13.06.30   #8
T-Dragon
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Io trovo che la psicoanalisi sia uno studio che va fortemente contestualizzato. Si basa infatti su soggetti appartenenti a UNA società, peraltro sui più frustrati e repressi. Sono assolutamente contrario ad elevarla al livello di scienza delle psiche in genere. Servirebbero MOLTE prove affinchè mi convinca che la mente umana sia PER SUA NATURA così squallida ed insignificante come la psicoanalisi ce la dipinge. O ce ne vorranno molte di più per convincermi che la MIA mente è così patetica e frustrata.
Quanto alla terapia psicoanalitica, consiste semplicemente nel riportare all'ovile le pecorelle che corrono il rischio di diventare troppo autonome, spontanee, felici.
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Vecchio 04-07-2005, 20.35.19   #9
sisrahtac
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I tuoi mi sanno tanto di pregiudizi. L'analisi è solo qualcosa che ci deve mettere in contatto con noi stessi, quando per qualche motivo lo perdiamo, questo contatto..
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Vecchio 05-07-2005, 00.18.54   #10
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I tuoi mi sanno tanto di pregiudizi.

A cosa ti riferisci esattamente?
T-Dragon is offline  

 



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