Provare a mettere costantemente sotto pressione le nostre teorie, cercando controesempi e altro che possa falsificarle, è una impostazione chiamata ‘sperimentalismo’ ed essenziale per giungere ad un fallibilismo genuino e costruttivo.
E’ stato grazie al Pragmatismo che si capì che non è solo la credenza a necessitare di giustificazioni, ma alla pari anche il dubbio: questo è il punto della critica mossa da Peirce a Cartesio nella quale si afferma che quest’ultimo stesse solamente pensando di dubitare nell’esistenza del mondo esterno, tracciando così per la prima volta la distinzione tra il dubbio filosofico e il dubbio reale (distinzione raccolta poi anche da Wittgenstein (Della Certezza): “119. Ma si può anche dire: ‘Nulla parla contro, e tutto parla in favore del fatto che il tavolo è là anche quando nessuno lo vede’? Allora, che cosa parla in favore di ciò? 120. Se però un tizio lo dubitasse, come potrebbe manifestarsi praticamente il suo dubbio? E non potremmo lasciarlo tranquillamente dubitare, dal momento che non da proprio nessuna differenza?”).
Qui non voglio negare la fruttuosità del dubbio: un atteggiamento scettico in filosofia, quanto in una società civile, è di un’utilità incommensurabile. Il dubbio è condizione necessaria alla sperimentazione. Wittgenstein (Della Certezza): “Se faccio un esperimento non dubito dell’esistenza dell’apparato che ho davanti agli occhi. Ho un sacco di dubbi, ma non questo”. Infatti, tanto è costruttivo il dubbio quanto è distruttivo il dubbio radicale.
Il dubbio è fondamentale per la conoscenza, ma spesso ci si dimentica che è altrettanto vero l’inverso: la conoscenza è fondamentale per il dubbio, infatti senza la conoscenza non si può neppure formulare un dubbio; Wittgenstein (Della Certezza): “310 Uno scolaro e un maestro. Lo scolaro non si lascia spiegare nulla, perché interrompe continuamente il maestro con dubbi riguardanti, per esempio, l’esistenza delle cose, il significato delle parole, ecc. Il maestro dice: ‘Non interrompermi più, e fa’ quello che ti dico; finora il tuo dubbio non ha proprio nessun senso’.”
Wittgenstein scrive “L’essenza è espressa nella grammatica”; “Che tipo di oggetto una cosa sia: questo dice la grammatica”.
Wittgenstein (Della Certezza) osserva che “si ha pur bisogno di un esempio di un oggetto che esiste. Questo non esiste, come, per esempio, esiste…”
Io all’inizio di questo scritto ho affermato “Innanzitutto và dichiarato che vi è una struttura che è formata da elementi (che chiamerò spesso ‘oggetti’) e relazioni tra questi elementi (che chiamerò ‘fatti’). Tra le infinite strutture logicamente legittime, la struttura su cui noi desideriamo maggiormente concentrare il nostro studio è quella in cui viviamo. La struttura in cui viviamo io la chiamo ‘mondo’. Nella mia definizione, il mondo è esattamente la realtà”. Ovviamente ciò che viene identificato con l’oggetto è ciò che il linguaggio ci permette di identificare come tale, di conseguenza anche le relazioni dipendono da ciò che il linguaggio accetta: quindi non vi è una totalità di proposizioni ben definita perché il linguaggio cambia continuamente.
Una persona potrebbe vedere un bicchiere di vetro contenente dell’acqua e domandare “chi ci assicura che quel bicchiere sia effettivamente di vetro?” e “chi ci assicura che quel liquido nel bicchiere sia effettivamente acqua?”, poi vedere un gatto che si avvicina al bicchiere annusandolo e domandare “chi ci assicura che quel gatto sia effettivamente un gatto?” (domande tipiche di uno scettico radicale, non certo di una persona comune).
Tali domande in alcuni contesti sono più che legittime, ma per rispondere in modo definitivo non serve l’onniscienza divina, come molti credono, bensì, nella maggior parte dei casi, servono procedure abbastanza semplici: noi abbiamo definito cosa significa ‘vetro’, ‘acqua’ e ‘gatto’. Quindi basterà esaminare la struttura chimica del presunto vetro e della presunta acqua e il gioco è fatto! Per il presunto gatto basterà individuare le caratteristiche che deve possedere un gatto (forma del corpo, …). Il grado di complessità dei criteri è deciso dal linguaggio, non dall’osservazione.
E’ nondimeno chiaro, come sostenne il pragmatista Charles Peirce, che il significato di questi termini è aperto all’illimitata scoperta scientifica futura.
Noi abbiamo definito alcuni termini e basterà vedere se gli oggetti soddisfino le richieste di tali definizioni e si identificherà il segno con l’oggetto. (Ovviamente esistono definizioni vaghe, oppure un oggetto può soddisfare in una certa percentuale una data definizione.)
Qui ritorniamo al motivo delle definizioni dei vari tipi di esistenza. Infatti è palese che se non si chiarisce il significato del termine ‘esistenza’, cioè non si propone una definizione, allora la domanda “Ma esiste veramente quel camion?” non ha proprio senso. Citando Austin (Le altre menti): “Il trucco del metafisico consiste nel chiedere: ‘E’ realmente un tavolo?’ senza specificare, senza delimitare che cosa c’è che non va, così che non si sa da che parte cominciare per ‘provare’ che è realmente un tavolo”.
Wittgenstein (Della Certezza): “3. Se, per esempio, un tizio dice: “Io non so se qui ci sia una mano”, gli si potrebbe replicare: “Guarda un po’ meglio”. – Questa possibilità del convincersi fa parte del gioco linguistico. E’ uno dei suoi tratti essenziali.”, “Supponiamo ora che io dica “Non posso sbagliarmi su questo: che lì c’è un libro”, e così dicendo indichi un certo oggetto. Che aspetto avrebbe, qui, un errore? E ne ho un’idea chiara?”
Tutto questo dovrebbe convincere ulteriormente quanto il problema dello scetticismo radicale sia un problema meramente linguistico, e quindi risolvibile linguisticamente.
E’ vero che potremmo applicare male i criteri linguistici, come lo stesso Wittgenstein ci mette in guardia: “26. Ma in quali circostanze dall’impiego delle regole del calcolo sia logicamente escluso un errore lo si può vedere da una regola? A che cosa ci serve una regola del genere? Non potremmo (a nostra volta) sbagliarci nell’applicarla?”, “27. Se però a questo proposito si volesse indicare qualcosa di simile a una regola, in essa dovrebbe comparire l’espressione ‘in circostanze normali’. E le circostanze normali si riconoscono, ma non si possono descrivere con esattezza. Potremmo descrivere più facilmente una serie di circostanze anormali.”, ma un errore sistematico nell’applicare le regole sarebbe un non-senso, perché esso stesso sarebbe la regola. Inoltre le ‘circostanze normali’ non sono nulla di trascendente, ma sono circostanza che la ricerca e l’esperienza ci hanno insegnato essere migliori di altre per un nostro particolare scopo.
Scusate per la lunghezza
epicurus