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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 28-11-2007, 09.03.10   #1
tere
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Impenetrabili

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IMPENETRABILI
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C'è una particolare specie di creature umane che hanno il viso impenetrabile come acque di stagno. Esse oppongono un silenzio ostinato così che la gente attribuisca a loro saggezza, gravità e profondità di mistero. Sembra che dicano: io sono l'oracolo; se appena schiudo le labbra, non si sente un cane abbaiare. Sono reputati saggi solo perché non dicono nulla. Ma io sono certo che se parlassero, ben sfortunati sarebbero i loro ascoltatori! Ho spesso preso di mira nelle mie riflessioni la chiacchiera sboccata, il profluvio di parole inconsistenti, l'ostentazione della vanità e ho non di rado esaltato il silenzio nobile, la meditazione pacata, la solitudine contemplativa. Questa volta vorrei dare un colpo di frusta anche al mutismo sprezzante, all'impenetrabilità altezzosa, al vuoto ammantato di solennità. È Shakespeare ad aiutarmi con questo passo sferzante del Mercante di Venezia. C'è un proverbio che dice: «Chi tace acconsente». In realtà il più delle volte bisognerebbe essere realistici e dichiarare: «Chi tace non dice niente». C'è, infatti, un silenzio che è semplice assenza di idee, oppure è un sovrano disprezzo del pensiero altrui che, però, non si è in grado di contestare seriamente. Altre volte, invece, l'impenetrabilità è segno di una sorta di autismo spirituale: ci sono ragazzi (ma non solo) che comunicano solo con grugniti e che sembrano aver staccato il contatto con mondo, chiudendo le orecchie con gli auricolari delle loro musiche assordanti. Hanno calato una specie di visiera: sembrano essere rinserrati in un loro mondo, mentre in realtà si sono solo negati agli altri che temono o ignorano o rifiutano. Non tutti i silenzi sono profondi e gloriosi.
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tere is offline  
Vecchio 28-11-2007, 09.57.04   #2
gyta
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Originalmente inviato da tere
..Esse oppongono un silenzio ostinato così che la gente attribuisca a loro saggezza, gravità e profondità di mistero.

Spesso leggiamo nell'altro ciò che già ci appartiene!
C'è su questo tema un film degno di essere visto.. "Oltre il giardino" (1979):

L'analfabeta Chance (la sua sola fonte d'istruzione è la TV), ha passato tutta la vita facendo il giardiniere in una casa di Washington. Alla morte del padrone egli, che ha ormai cinquant'anni, ma l'età mentale di un bambino, si vede costretto a sloggiare. Mentre vaga per le strade viene urtato dall'auto di una ricchissima signora. Eve O'Brien. Colpita dalla sua aria di distinto gentiluomo, e preoccupata forse piu' di quanto meriterebbe l'incidente, la donna si porta Chance in casa, per farlo curare dal medico di famiglia. Il morente marito di Eve, Ben O'Brien - un uomo ancora potente, amico personale del Presidente degli Stati Uniti - è cosi' impressionato dall'aura di riservatezza che circonda il suo ospite, da attribuirgli doti che egli davvero non ha. Scambiato per un uomo di profonde intuizioni, mentre è un semplice di spirito, e confusa la sua goffaggine con il "sense of humour", Chance, di cui Eve si è addirittura innamorata, viene presentato al Presidente. Il colloquio tra i due - in cui i continui riferimenti di Chance al giardinaggio, cioè alla sola cosa che conosca davvero, passano per acute metafore sulla conduzione dello Stato - sconcerta il Presidente, che si affanna a ordinare inchieste riservate su quell'uomo di cui non aveva mai sentito parlare. Le indagini dell'FBI e della CIA non rivelano nulla sul conto di Chance, che intanto, pero', intervistato dalla stampa e dalla TV, è diventato una celebrità nazionale. Lo è a tal punto che, quando Ben muore, i suoi amici progettano di candidare Chance alla presidenza degli Stati Uniti.

<<Un giardiniere ignorante, e da anni imbottito solo di TV, viene scambiato per un famoso e saggio filosofo. Di equivoco in equivoco diventa una celebrità nazionale, e viene ricevuto alla Casa Bianca come consigliere. Scritta da Jerzy Kosinski (1933-91) che ha adattato il proprio romanzo Presenze (1971), è un'amara, aguzza, divertente parabola satirica sulla società americana nell'epoca della TV. Penultima e memorabile interpretazione di Sellers (1925-90).>> (…)

Fonte critica Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli


..Segue..
http://www.municipio.re.it/cinema/ca...1?opendocument
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Vecchio 28-11-2007, 10.04.45   #3
gyta
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Il film si apre presentando con rapidi tocchi il giardiniere. Vediamo Chance iniziare una giornata come le altre. Spolvera le gomme della limousine nel garage, non curandosi del fatto che le gomme sono tutte a terra (a testimoniare che l'auto è ferma da tempo). Guarda con attenzione i televisori sparsi in vari luoghi della casa, cambiando spesso canale. Si appresta a fare colazione e si intrattiene un attimo con Louise, la cameriera, che gli annuncia che il vecchio è morto. Non reagisce alla notizia e Louise non è sorpresa di fronte alla sua impassibilità. Chance fa colazione tranquillamente, continuando a guardare la televisione. Guarda di tutto, dai cartoni animati al telegiornale, saltando qua e là senza meta. Sembra assimilare tutto. Cerca di imitare quel che vede. Il maggiordomo di Via col vento saluta i padroni alzando il cappello e biascicando «Sì, miss» con la pronuncia da negro dei film anni '30. E Chance ripete lo stesso gesto e le stesse parole con la stessa intonazione a Louise che sta lasciando per sempre la casa. Allo stesso modo, veduta la robusta stretta di mano del Presidente alla televisione, ripete il gesto stringendo la mano dei perplessi avvocati che lo cacciano e l'obbligano ad affrontare per la prima volta il mondo esterno. Quando esce, Chance si guarda intorno perplesso: gli viene incontro un mondo di rifiuti, di rottami, di auto demolite, di poveracci sgomenti, una realtà ben diversa da quella televisiva. Saluta cortesemente un gruppo di barboni attorno ad un fuoco e cammina senza meta per la città. Ferma una donna che forse gli ricorda Louise. Le chiede con garbo di preparargli la colazione, e quella scappa spaventata. Domanda a un gruppo di ragazzi dove si trovi un giardino per lavorare. Di fronte ai loro modi sfrontati e alle minacce, brandisce il telecomando e cerca di cambiare canale. Ritrova una parvenza di interesse quando si vede dentro la televisione di un negozio, che trasmette quanto riprende una telecamera dalla vetrina. Mentre cerca di intervenire con il suo telecomando è accidentalmente investito dall'auto della ricca signora. Nulla di grave.
A questo punto abbiamo ricevuto informazioni sufficienti per sapere che Chance è una specie di ritardato mentale. In modo discreto e accorto Ashby ci ha guidato dentro la vicenda, dandoci il vantaggio di conoscere quello che non sanno coloro che incontreranno il giardiniere. Così, la doppia lettura delle risposte e dei discorsi laconici di Chance diverrà motivo ricorrente di umorismo. Lo spettatore sa che Chance dice banalità quotidiane quando parla del giardino, ma gli altri personaggi pensano che le sue parole posseggano una misteriosa carica metaforica. Chance non è altro che un prodotto della televisione, di cui ricicla tutto, ma le sue banalità sembrano saggezza a chi è abituato alle contorsioni dialettiche ed alla falsità della vita comune. L'idiozia di Chance, serena e bovina, è scambiata per la tranquillità di un essere superiore. Chance tutto apprende e tutto imita, ma come accadrà pochi anni dopo con Zelig (1983) di Woody Allen. Zelig imita per piacere agli altri e confondersi con loro, mentre Chance è una carta assorbente, imita perché mosso da un'astratta curiosità, ma non ha alcun reale interesse per gli altri. In questo senso assomiglia molto, nella sua neutralità spirituale, a certi personaggi di Kurt Vonnegut, altro grande scrittore americano di origini europee con cui Kosinski ha diversi punti di contatto (ne condivide l'umorismo irresistibile e lo sguardo apparentemente astratto e quasi lunare). Ashby sarebbe stato il regista ideale per i romanzi di Vonnegut, di certo più di George Roy Hill che con Mattatoio 5 (1972) ne ha colto solo a tratti lo spirito.
In Oltre il giardino, lo stile del regista matura sino alla perfezione. Evitando i facili effetti comici, che pure non sarebbe stato difficile sfruttare, lavora di cesello giocando sempre sotto tono per far risalire, a contrasto, l'umorismo surreale della vicenda. In questo, aiuta assai la straordinaria prestazione di Peter Sellers. Se Oltre il giardino è indubbiamente un film di Ashby di cui rappresenta lo stile e la filosofia, non si può negare che sia anche un film di Peter Sellers. Non si può immaginare nessun altro attore nei panni di Chance. A un personaggio che deve aver amato molto, Sellers regala la sua migliore interpretazione degli anni '70. Muovendosi con circospezione come chi abbia paura di cadere e attenuando la mimica sino a rendere il viso una maschera apparentemente inespressiva, tratteggia con sottile sapienza le molteplici sfumature di un personaggio inafferrabile, novello Candido che non sa nulla e conquista tutti.
Chance si fa ammirare per i paradossi che enuncia, senza alcuna forzatura. Il Presidente degli Stati Uniti gli riconosce un «solido buon senso», dando atto che «è proprio quello che manca al Campidoglio». Il ricco Ben ne loda spesso la serenità e la schiettezza («Hai una grande virtù: tu non stai a ricamare con le parole per nascondertici dietro. Dici pane al pane»). Eve ne ammira prima la amichevole saggezza e poi ne ama l'imperturbabilità. Cerca al tempo stesso di scalfirla, e, apparentemente, per un attimo ci riesce. Chance, in camera da letto, sta guardando una scena d'amore alla televisione ed è colpito da un bacio appassionato. Eve, trepida e speranzosa, entra, ma teme di essere accolta con il consueto rigore di sempre. Invece, sorprendentemente Chance l'afferra e la bacia con trasporto, in una perfetta imitazione del bacio passionale visto in Tv. Quando la scena d'amore finisce sul teleschermo, Chance è "disattivato". Lascia Eve, che lo guarda perplessa pensando d'aver sbagliato qualcosa. «Mi piace guardare», le dice Chance, con semplicità. Come un aristocratico gay al party dell'ambasciatore in una spassosa scena precedente, Eve equivoca dando, al solito, un altro significato alle parole di Chance. Invece, è proprio quello che piace a Chance: guardare. Ma Eve non sa. Credendo di far piacere a Chance e facendo soprattutto piacere a se stessa indugia nell'autoerotismo. Ma Chance guarda qualcos'altro, e cambia canale alla televisione. Soddisfatta dopo tanto tempo, Eve esce dalla stanza felice, dicendo a Chance: «Tu liberi la mia libido». Ci si può domandare quanto potrà durare il bluff di Chance e quando gli altri finalmente si accorgeranno che è un cretino. Ma a poco a poco si comprende che il gioco può durare per sempre, perché in realtà non è un bluff. Chance dà agli altri ciò che vogliono ricevere. Come potranno accorgersi che è un cretino se non si accorgono di essere loro, cretini?
Immerso nei toni autunnali della splendida fotografia di Caleb Deschanel, il film procede senza sussulti, assecondando il ritmo naturale di Chance. Alla fine, ormai elevato dagli uomini al rango di prossimo Presidente degli Stati Uniti, camminerà tranquillamente sulle acque di un laghetto solitario. È una sequenza di sorprendente surrealismo, voluta da Ashby per chiudere simbolicamente una storia dalle molteplici suggestioni. Chance, personaggio semplice e amante della natura, è probabilmente un ritardato. Ma ha qualità che lo proiettano nell'infinito. Nella parabola di un personaggio che tutti chiamano Chauncey, per una funzionale storpiatura del nome, trova posto una pungente critica della società americana, di cui si stigmatizzano il vuoto spirituale e l'impreparazione culturale, oltre a una grettezza di fondo che sembra uno dei crucci principali di Ashby. La resistibile ascesa di Chance assomiglia, per la facilità con cui si compie, a una discesa. Rappresentando la forza del Caso (Chance, infatti), il personaggio non ha bisogno di faticare per affermarsi. Tutto viene da sé, per l'incapacità di un sistema monolitico ad affrontare l'eccezione se non inglobandola e, in questo frangente, venendone deriso. Non si può confondere Chance con l'ingenuo dei film positivi di Frank Capra. Sotto l'aria soave e l'apparente bontà, Chance - come ha rilevato Gualtiero De Marinis in «Cineforum» (n. 200/80) - «non solo non è portatore di buone novelle, ma tantomeno può essere preso come simbolo di una verginale e genuina realtà; come portatore di valori naturali e non alienati». E la televisione non è l'oggetto principale della satira. Sarebbe riduttivo. È piuttosto l'ispiratrice della banale piattezza delle esternazioni di Chance. La grandezza del personaggio (e del film) sta nella molteplicità dei suoi aspetti, nella sua inaffabilità. Il finale "metafisico" significa anche questo. E rappresenta la sublimazione del concetto di finale aperto che ha sempre guidato Ashby. Forse Chance è qualcosa che nemmeno gli spettatori che credevano di aver imparato a conoscerlo, possono comprendere veramente. (…) Autore critica: Rudy Salvagnini

Libro da cui e' stato tratto il film "Presenze" di Kosinski Jerzy


http://www.municipio.re.it/cinema/catfilm.nsf/0/3466EEDF7785A301C1256F0C0032E4 51?opendocument


Lo specchio dei nostri bisogni.. lo specchio di noi stessi.. La solitudine intellettuale, la solitudine dell'animo umano alle prese coi propri più profondi bisogni: riconoscere quella bellezza alla quale da sempre anela ..
Noi di fronte.. a noi (stessi)!

Gyta
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Vecchio 28-11-2007, 23.46.05   #4
m.85
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C'è un proverbio che dice: «Chi tace acconsente». In realtà il più delle volte bisognerebbe essere realistici e dichiarare: «Chi tace non dice niente». C'è, infatti, un silenzio che è semplice assenza di idee, oppure è un sovrano disprezzo del pensiero altrui che, però, non si è in grado di contestare seriamente. Altre volte, invece, l'impenetrabilità è segno di una sorta di autismo spirituale: ci sono ragazzi (ma non solo) che comunicano solo con grugniti e che sembrano aver staccato il contatto con mondo, chiudendo le orecchie con gli auricolari delle loro musiche assordanti. Hanno calato una specie di visiera: sembrano essere rinserrati in un loro mondo, mentre in realtà si sono solo negati agli altri che temono o ignorano o rifiutano. Non tutti i silenzi sono profondi e gloriosi.

Effettivamente tante volte il silenzio cela solo un'incapacità di comunicazione, un vuoto interiore, una paura del contatto con gli altri, od ancora il disprezzo per l'altrui pensiero, o la semplice quanto spaventosa indifferenza...silenzi dolorosi, silenzi pesanti, silenzi distruttivi... eppure in questo mondo d'oggi che vorrebbe definirsi il tempio della comunicazione si denota un'innegabile incapacità da parte di molti a comunicare, e questi tristi silenzi si manifestano ogni giorno di fronte ai nostri occhi...
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Vecchio 29-11-2007, 07.39.37   #5
acquario69
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C'è una particolare specie di creature umane che hanno il viso impenetrabile come acque di stagno. Esse oppongono un silenzio ostinato così che la gente attribuisca a loro saggezza, gravità e profondità di mistero. Sembra che dicano: io sono l'oracolo; se appena schiudo le labbra, non si sente un cane abbaiare. Sono reputati saggi solo perché non dicono nulla. Ma io sono certo che se parlassero, ben sfortunati sarebbero i loro ascoltatori! Ho spesso preso di mira nelle mie riflessioni la chiacchiera sboccata, il profluvio di parole inconsistenti, l'ostentazione della vanità e ho non di rado esaltato il silenzio nobile, la meditazione pacata, la solitudine contemplativa. Questa volta vorrei dare un colpo di frusta anche al mutismo sprezzante, all'impenetrabilità altezzosa, al vuoto ammantato di solennità. È Shakespeare ad aiutarmi con questo passo sferzante del Mercante di Venezia. C'è un proverbio che dice: «Chi tace acconsente». In realtà il più delle volte bisognerebbe essere realistici e dichiarare: «Chi tace non dice niente». C'è, infatti, un silenzio che è semplice assenza di idee, oppure è un sovrano disprezzo del pensiero altrui che, però, non si è in grado di contestare seriamente. Altre volte, invece, l'impenetrabilità è segno di una sorta di autismo spirituale: ci sono ragazzi (ma non solo) che comunicano solo con grugniti e che sembrano aver staccato il contatto con mondo, chiudendo le orecchie con gli auricolari delle loro musiche assordanti. Hanno calato una specie di visiera: sembrano essere rinserrati in un loro mondo, mentre in realtà si sono solo negati agli altri che temono o ignorano o rifiutano. Non tutti i silenzi sono profondi e gloriosi.
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io invece ho conosciuto molto bene una persona che in moltissimi casi e' silenziosa..ma un silenzio "trattenuto",come una certa incapacita di comunicare in un preciso momento,poi si chiudono e per questo credo ne soffrano,perche magari a un certo punto sbottano,ma quando lo fanno e' pure tardi,nel frattempo somatizzano e compaiono bruciori di stomaco o cefalee..invece ci sono persone che al contrario ti dicono tutto di getto,in maniera molto impulsiva,si sfogano,durano cinque minuti, pero dopo tutto finisce li...pero mi viene da dire,appunto in questo caso,come ce ne saranno molti altri simili,di queste persone chiuse che secondo me e' pure un comportamento che hanno ereditato dalle persone piu vicine cioe i genitori..se a casa,in una famiglia si parla poco,poi diventera' pure normale imparare di conseguenza una certa modalita..questo per dire che e' molto probabile che a soffrirne siano loro stessi,proprio per gli effetti che potrebbe comportare..percio non solo casi di silenzio indifferente o di rifiuto ma anche silenzi che andrebbero aiutati o magari capiti..
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Vecchio 29-11-2007, 11.20.12   #6
arsenio
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C'è una particolare specie di creature umane che hanno il viso impenetrabile come acque di stagno. Esse oppongono un silenzio ostinato così che la gente attribuisca a loro saggezza, gravità e profondità di mistero. Sembra che dicano: io sono l'oracolo; se appena schiudo le labbra, non si sente un cane abbaiare. Sono reputati saggi solo perché non dicono nulla. Ma io sono certo che se parlassero, ben sfortunati sarebbero i loro ascoltatori! Ho spesso preso di mira nelle mie riflessioni la chiacchiera sboccata, il profluvio di parole inconsistenti, l'ostentazione della vanità e ho non di rado esaltato il silenzio nobile, la meditazione pacata, la solitudine contemplativa. Questa volta vorrei dare un colpo di frusta anche al mutismo sprezzante, all'impenetrabilità altezzosa, al vuoto ammantato di solennità. È Shakespeare ad aiutarmi con questo passo sferzante del Mercante di Venezia. C'è un proverbio che dice: «Chi tace acconsente». In realtà il più delle volte bisognerebbe essere realistici e dichiarare: «Chi tace non dice niente». C'è, infatti, un silenzio che è semplice assenza di idee, oppure è un sovrano disprezzo del pensiero altrui che, però, non si è in grado di contestare seriamente. Altre volte, invece, l'impenetrabilità è segno di una sorta di autismo spirituale: ci sono ragazzi (ma non solo) che comunicano solo con grugniti e che sembrano aver staccato il contatto con mondo, chiudendo le orecchie con gli auricolari delle loro musiche assordanti. Hanno calato una specie di visiera: sembrano essere rinserrati in un loro mondo, mentre in realtà si sono solo negati agli altri che temono o ignorano o rifiutano. Non tutti i silenzi sono profondi e gloriosi.
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Mi ricorda uno degli svariati tipi maschili che in genere abbagliano voi ragazze.
E' il bel tenebroso, di poche parole, enigmatico, alterna lunghi silenzi a monosillabi, qualche frase tirata fuori con il cavatappi. “Finalmente ,dicono le donne, in un mondo di chiacchiere fatue, un uomo intelligente, che non chiacchiera a vuoto, profondo, ispirato, chissà quante cose saprà". Finchè un giorno scoprono che non aveva proprio nulla da dire. Il vuoto.Poi certamente ci sono anche quelli che fanno meglio a tacere. E non invidio voi ragazze destinate a decidere quale sia meglio. In quanto a me preferisco le donne che si dedicano al gossip. Non annoiano mai, a fronte di certa pretenziosita da esperti di alcuni maschi
Non tutti sono belli,dannati, misteriosi come Jeremi Irons, che tra l'altro è stato interprete filmico de Il mercante di Venezia.


Grazie per l'apprezzamento del mio post,. Ma il tuo è altrettanto bello. Benvenuta
arsenio is offline  

 



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