MALINCONIA, TRISTEZZA, PESSIMISMO: LE BUFERE DELL'ANIMA
Vorre, iniziare queste riflessioni intorno al pessimismo e alle mille controversie che esse conducono, con un pensiero originale ed esauriente di Madre Teresa di Calcutta. Dice: “ La sofferenza non scomparirà mai del tutto dalla nostra vita. Non abbiate, quindi, paura. Se la sappiamo sfruttare diventa un grande veicolo d’amore”.
Parole che non solo hanno del grandioso a sentirsi, ma che esprimono concetti a cui, spesso, noi non rivolgiamo la benché minima attenzione e considerazione. Siamo portati (in quanto umani) a sorvolare in più e più cose…. E’ un’inclinazione, per certi versi, normale, di cui non ci sarebbe da stupirsi. Chi di noi di noi non è stato mai superficiale –almeno una volta- nell’arco della propria esistenza?
Sarebbe come dire “chi è senza peccato scagli la prima pietra….”
Qualcuno di voi, a questo punto, potrebbe chiedersi cosa c’entri in tutto questo discorso sulle “bufere dell’anima”, la sofferenza di cui parla Madre Teresa. Ma, a ben rifletterci, quando il nostro animo è in tumulto, quando su di esso si abbattono tempeste e sconvolgimenti, non è perché si sta soffrendo?
In altre parole, il termine (così vasto) “sofferenza” non indica la nostra interiorità quando è dilaniata e dibattuta? Sì, senz’altro. E queste lacerazioni intime, spesso, si verificano in noi per cause incomprensibili, arrivando quando meno ce lo aspettiamo. Possono procurarcele eventi luttuosi, separazioni dalle persone più care, fine di matrimoni o storie d’amore e molteplici altri fattori ed innumerevoli situazioni. Talvolta, anche un fatto apparentemente banale, passeggero che, all’inizio, può sembrare tanto grave quanto irrisolvibile, basta a corrucciarci, a produrre in noi ansia, mancanza di tranquillità. Un detto americano sostiene che “preoccuparsi è come mettere le nubi di domani davanti al sole di oggi”.
Ma anche le preoccupazioni fanno parte della quotidianità, di questa rete fatta di innumerevoli maglie, che è la vita. E, accanto alle preoccupazioni, non mancano le malinconie, le tristezze, gli attimi di sconforto e di scoraggiamento. Noi per malinconia, intendiamo comunemente una forma di delicata, vaga ed intima mestizia, un languore, un aleggiante pensiero opprimente, accompagnato da sfiducia e avvilimento.
L’antica medicina, invece, con una definizione che potrebbe risultare più veritiera e appropriata, associa a questo termine “un umor nero di natura fredda e secca, secreto della bile”. La tristezza, poi, è un sentimento ancor più opaco e pesante. Esso esprime dolore, infelicità, amarezza, configurandosi anche di durata superiore alla malinconia, che invece ad essere più labile, più sfuggente, meno incisiva.
Tristezza, malinconia, demotivazione, insoddisfazione si pongono alla base del pessimismo, della cupezza, della mancanza di gioia, vitalità ed allegria. Ma, come tali, esse vanno a contraddistinguere e caratterizzare prevalentemente l’età adulta. E’ con l’avvento della prima razionalità, del senso di responsabilità e maturazione e sotto l’egida dei dibattiti e delle controversie che, a una certa età, è necessario affrontare volente o nolente, queste caratteristiche che contraddistinguono e conferiscono mestizia alla espressioni e ai visi di noi esseri umani.
Per contro, la fanciullezza, il periodo infantile, l’età più tenera e gradevole è armonica e lodevole proprio perché permeata da spensieratezza, felicità, contentezza, gaiezza. I volti dei bambini sono quelli che non hanno “ombre”, non conoscono brutture, pene, angosce, strazi e complessità. Li dovranno affrontare in futuro, quando sarà il loro turno, all’interno di quella catena irrefrenabile che corre, corre, corre, sulla base di giorni, mesi ed anni e va verso un culmine che arresterà tutto, per sempre….
D’altronde, è pienamente giusto che ognuno abbia il proprio momento di gaudio e letizia, nella vita; ed è giusto che esso coincida con la fanciullezza, l’ingenuità, i giochi, le corse, le illusioni, le favole…
Quel che, probabilmente, in tutto ciò è meno giusto è che questo periodo, questo arco di tempo è, in realtà, alquanto effimero, poiché tende ad esaurirsi, in fretta. Già l’avvento della pubertà, tende, infatti, i primi “tranelli”, dà i primi dispiaceri, elargisce e crea i primi dissidi, fornisce i primi i primi motivi per rabbuiarsi, per cominciare quella lenta ascesa verso la consapevolezza. Consapevolezza…., ecco, forse questa è la parola giusta da cui traggono origine le malinconie e le tristezze.
Perché l’ignoranza - quella pura dei bambini - evita tanta tristezza che, invece, la presa di coscienza non riesce, poi, a tenere lontana.
No è neppure la vita adulta a risultare così ostica e tanto piena di problematiche, ma piuttosto l’incalzare e il possesso della ragione, la capacità critica e obiettiva di comprendere e capire tante cose, tanti aspetti, tanti particolari. Tante piccole e grandi “macchinazioni” (anche nascoste, anche celate) che comportano quel dolore e quella sofferenza di cui ci facciamo portatori. Ecco perché la fanciullezza non dovrebbe mai venir turbata, lesa, rovinata, complicata o resa impossibile, come purtroppo sappiamo succede per molti bambini sparsi in ogni angolo di mondo ( e le ragioni risultano più che mai svariate: violenze, disordini morali, conflitti familiari, separazioni, costrizioni varie, lavoro e sfruttamento minorile, povertà, ecc.).
Cosa resta, allora, di questa che dovrebbe essere l’età più bella, più florida, più magica, in assoluto?
Affinché non la sprechi riducendola in polvere, in nulla, sarebbe bene che ciascun genitore o educatore non dimenticasse i versi del Leopardi, ne: ”Il sabato del villaggio” quando afferma: “Diman tristezza e noia / Recheran l’ore, ed travaglio usato / ciascun il suo pensier farà ritorno. "....Godi, fanciullo mio; ”.
Certo, non tutti possiedono gli stessi requisiti caratteriali (ed è questo che ci fa unici e che crea, poi, complementarietà). Per cui, l’ottimismo, l’allegria, la vitalità, o il contrario, il pessimismo, “i musi lunghi”, gli sguardi tristi, fanno parte dei nostri modi di essere, delle nostre personalità e anche (molto) dell’ambiente di vita in cui si è cresciuti, dell’educazione ricevuta.
Molto, quindi, dipende da noi e molto noi possiamo fare per noi stessi, per il nostro benessere, la nostra felicità.
Come asserisce Tagore: “Fuori nel mondo, cerchi materiale di gioia, ma solo in te stesso lo puoi trovare”.
E’ vero. Perché, la vita offre frequenti (pressoché continui) momenti di tristezza e malinconia. Ma sta a noi saper individuare e cogliere il “sereno”.