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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
25-09-2006, 15.29.45 | #3 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il caso "Veritatis Splendor"
Citazione:
La fonte è la gente e mi pare che la chiesa stessa vanti ancora di essere l’unica vera detentrice ed interprete delle parola di Dio. Oltre quel “mi pare” l’affermazione che facevo in apertura del 3d era questa: La seconda è l’idea di essere i detentori della “Verità rivelata” cioè di essere coloro che conoscono le scritture ed attraverso esse quindi la volontà di Dio. Non avevo messo “unica” all’inizio perché non ritengo che i cattolici siano gli unici a pensare di possedere la Rivelazione. Il termine Rivelazione è un termine usato nell’antico testamento per evidenziare che le sacre scritture erano emanate direttamente da Dio e rese palesi agli uomini per bocca dei profeti. Il Cattolicesimo estende questo concetto di Rivelazione ai Vangeli e asserisce che Gesù, non è solo un profeta di Dio, ma il figlio unigenito di Dio, mentre per l’Islam Maometto è l’ultimo dei profeti che completa la Rivelazione. La Rivelazione è quindi un concetto comune alle 3 religioni monoteiste. (Questo almeno è quanto ho sempre saputo io riguardo al termine Rivelazione, se poi le cose sono improvvisamente cambiate, ditemi voi dove posso trovare definizioni diverse.) Dell’enciclica in oggetto che, invece riguarda la chiesa ed il cattolicesimo, ho leggicchiato qui e là senza sottoporla ad un’analisi approfondita, (cosa di cui non ho il tempo), stralcio però questo passaggio che mi sembra emblematico: 27. Promuovere e custodire, nell'unità della Chiesa, la fede e la vita morale è il compito affidato da Gesù agli Apostoli (cf Mt 28,19-20), che prosegue nel ministero dei loro successori. È quanto si ritrova nella viva Tradizione, mediante la quale — come insegna il Concilio Vaticano II — «la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede. Questa Tradizione, che trae origine dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l'assistenza dello Spirito Santo».39 Nello Spirito la Chiesa accoglie e trasmette la Scrittura come testimonianza delle «grandi cose» che Dio opera nella storia (cf Lc 1,49), confessa per bocca dei Padri e dei Dottori la verità del Verbo fatto carne, ne mette in pratica i precetti e la carità nella vita dei Santi e delle Sante e nel sacrificio dei Martiri, ne celebra la speranza nella Liturgia: mediante la stessa Tradizione i cristiani ricevono «la viva voce del Vangelo», 40 come espressione fedele della sapienza e della volontà divina. All'interno della Tradizione si sviluppa, con l'assistenza dello Spirito Santo, l'interpretazione autentica della legge del Signore. Lo stesso Spirito, che è all'origine della Rivelazione dei comandamenti e degli insegnamenti di Gesù, garantisce che vengano santamente custoditi, fedelmente esposti e correttamente applicati nel variare dei tempi e delle circostanze. Questa «attualizzazione» dei comandamenti è segno e frutto di una più profonda penetrazione della Rivelazione e di una comprensione alla luce della fede delle nuove situazioni storiche e culturali. Essa, tuttavia, non può che confermare la permanente validità della Rivelazione e inserirsi nel solco dell'interpretazione che ne dà la grande Tradizione di insegnamento e di vita della Chiesa, di cui sono testimoni la dottrina dei Padri, la vita dei Santi, la liturgia della Chiesa e l'insegnamento del Magistero. Descriversi parte di una “Tradizione” in grado di fornire una "espressione fedele della sapienza e della volontà divina" significa, a mio modo di vedere, asserire di sapere quello che Dio vuole. Questo concetto è enfatizzato poco dopo, laddove si dice che "lo stesso Spirito, che è all'origine della Rivelazione dei comandamenti e degli insegnamenti di Gesù" garantisce, "l'interpretazione autentica della legge del Signore". |
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25-09-2006, 16.04.47 | #4 |
Ospite abituale
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Riferimento: Il caso "Veritatis Splendor"
La Chiesa, per come la vedo io, non è composta da sempliciotti che fanno della faciloneria il proprio credo. E’, viceversa, composta da fini pensatori. Uno di questi è senza dubbio l’attuale Pontefice. Il corpus dottrinale reso pubblico in questi ultimi decenni è alquanto ampio e parecchio complesso. Pretendere che in esso possa trovarsi l’esplicitazione di un concetto tanto inviso alle altre religioni, soprattutto in un momento s’ tanto delicato che tende a privilegiare il dialogo, sarebbe quantomeno ingenuo. Il concetto della superiorità del Magistero della Chiesa è assolutamente implicito e fa capolino in ogni espressione della Chiesa. Scorgere nelle recenti encicliche solo una mera raccolta di citazioni del Vangelo e della Sacra Scrittura, ancorché corredate da meditazioni e ragionamenti del Papa, è piuttosto riduttivo rispetto all’impegno profuso in questi ultimi anni (fermiamoci a questi due decenni) sul versante dell’affermazione e conferma della centralità della Chiesa e del suo Magistero nella vita sociale dei popoli dell’Occidente… e non solo.
L’enciclica in questione, ma non è l’unica, in svariati passaggi, tende, con non poca intelligenza, a reiterare questa nuclearità intangibile del mandato affidatole da Gesù. Dalle parole di Gesù, non so quanto veracemente riportate, ma non è questo il tema dell’attuale discussione, si fa discendere la missione dell’Assemblea Universale (Chiesa Cattolica) dei fedeli. La pretesa, supportata da un’attenta analisi delle Scrittura (attenta ma non so quanto sincera), di affermare l’universalità di una legge morale che s’innesta naturalmente in quella naturale (scusa il gioco di parole), tende sì a frenare un forte spinta verso il relativismo – grande cruccio del Papa – ma porta con sé anche conseguenze non di poco conto, che, se lette con attenzione, ineriscono al tema qui trattato e da te proposto. La Chiesa, ma è affermato in maniera assolutamente esplicita e non travisabile, non ha solo il compito di diffondere il Vangelo, ma si erge a custode della Verità lasciataci in dote da Gesù. La sua azione non si dispiega solo in un ambito religioso o teologico, discettando in ordine alle qualificazioni divine, non si limita a (s)ragionare in merito al (presunto) amore di Dio, ma soprattutto – e qui stà la secolarizzazione stessa della Chiesa, cosa che a quanto pare sfugge del tutto alla capacità di comprensione del Santo Padre – si rende manifesta nel quotidiano, nelle scelte di carattere sociale, andando così, come conseguenza, ad incidere profondamente nel tessuto delle società che ad essa fanno direttamente o indirettamente riferimento (quali leggi sono giuste e conformi al vero e quali lo contraddicono). Ciò implica un’immersione totale nelle questioni della Res publica, andando ad intridere di sé ogni manifestazione della vita pubblica e privata dei singoli. La dottrina morale della Chiesa attinge da questa pretesa di superiorità, in quanto ella e solo lei è la sposa di Cristo. Ciò, implicitamente ma necessariamente, esclude la possibilità di altre Verità che siano difformi o si discostino da quanto è parte del Magistero della Chiesa. Se leggi con attenzione l’intera enciclica potrai scorgere gli elementi che nutrono la (theo)logia della dottrina morale professata dalla Chiesa. Potrai scorgerne l’humus in cui si radica e che la nutre, le sue innervazioni, e i suoi inevitabili frutti. Per il resto convengo con te: tutto questo può piacere o meno, ma ciò non comporta. La Chiesa non è testimone di una sua propria Verità, ma è cinghia di trasmissione e custode (unico) della Verità rivelata (unica). Non avrei alcuna difficoltà a postare passaggi esemplificativi di quanto da me or ora affermato, non farei fatica, dovrei solo utilizzare le parole del Santo Padre (magari ci accluderei qualche commento personale). Ciao |
25-09-2006, 20.56.04 | #5 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il caso "Veritatis Splendor"
Ciao ragazzi,
ho letto i vs post e dato che hanno molti punti di contatto, voglio accomunarli in un'unica risposta, che più che una risposta è una domanda, dato che chiedo dei chiarimenti. Parto dall'introduzione di Fallen06 che è quella che racchiude il cuore della discussione : "il mio intervento esula dallo specifico contenuto della "Veritatis splendor",ma si concentra sul fatto che la Chiesa affermi o meno di essere l'unica detentrice della Verità." Ora...voglio capire che significa "detenere" la verità : chiunque detenga qualcosa, soprattutto se qualcosa di valore, come nel caso della verità, dò per scontato che questa cosa non la voglia perdere. Dato che la verità non è una cosa, un oggetto, che può essere rubato o espropriato al legittimo proprietario, l'unico modo che esiste per sottrarre la verità a qualcuno è quello di dimostrargli che la sua non è la verità, ma una menzogna, oppure la sua personale verità, che ha un valore ben diverso dalla Verità con la "V" maiuscola. Pertanto, colui che detiene la verità, non solo non accetterà la confutazione, laddove questa dimostrasse l'errore, ma per paura di perdere quello che ha non accetterà neanche il dialogo, rischio e pericolo per la sua proprietà ! E se intravede il pericolo, diventerà anche violento, e zittirà anticipatamente chiunque accenni a mettere in dubbio la sua proprietà, come nell'inquisizione o nell'eliminazione delle minoranze eretiche o religiose (giusto per dimostrarmi un interlocutore equilibrato). Mi seguite ? Ma supponiamo che veramente la Chiesa o la porzione di essa più autorevole e colta, nutra questa convinzione : perchè lasciarlo intuire e non manifestarlo apertamente ? A questa domanda mi avete già risposto un po' tutti : per ovvie ripercussioni sociali, politiche e religiose ! E' molto più prudente renderlo implicito, ed esercitare un ruolo da protagonista nel mondo, che non esplicitarlo e mettersi contro un rilevante porzione di società internazionali e di confessioni religiose. Ammettiamo anche questo (se non ho sintetizzato male le vs risposte). Dato tutto ciò, dicevo all'inizio, mi pongo qualche domanda : perchè cercare o alimentare un dialogo interreligioso (con le altre religioni) o politico (con nazioni lontane dal cristianesimo quali Cuba, Russia, ecc.) ? Non c'è il rischio che "dialogando" si perda la propria proprietà ? E perchè essere incoerenti cercando un dialogo, che di solito è mediazione, quando si stà solo cercando di esercitare la propria supremazia ? Possibile che quanto voi avete scoperto (voi di questo forum), gli interlocutori della Chiesa (capi di stato e alti esponenti delle altre religioni) sono così fessi da non averlo ancora scoperto ? Il dialogo mi sembra un azione gravemente controproducente ! E poi ancora : Che senso ha l'enciclica, se si possiede una verità, che per essere considerata assoluta, deve avere carattere di eternità ? Giacchè lo scopo dell'enciclica è anche quello di "adeguare" la dottrina cattolica ai tempi moderni...testualmente al punto 2, 3a frase : Citazione:
Perchè adeguarsi ai tempi col rischio di sottoporre la propria "proprietà" alle nuove sfide che il tempo e le società ci sottopongono (e che sono molto dure) ? Non è più coerente e vantaggioso, rindondare le solite cose (la ns proprietà) senza adeguarci a nessuno, senza confronto e senza dialogo ? Se è così, l'enciclica "Veritatis Splendor" mi sembra autolesiva ! Ah...a proposito...proprio stasera ho visto al telegiornale la convocazione di molti esponenti islamici e rappresentanti di nazioni islamiche, indetta dal Papa...Il "potente" Papa cercava di ribadire l'assoluta indispensabilità del dialogo, nonchè si scusava per l'ennesima volta dell'involontaria malinterpretazione del suo precedente discorso ! Se tutto ciò che dite è vero : dov'è la "Supremazia" ? Dov'è questo "dettar legge" in virtù di una pretesa detenzione della Verità ? I vantaggi, i frutti dove sono ? Io non li ho visti ! Ciao a tutti. |
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25-09-2006, 23.05.12 | #6 | ||
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Riferimento: Il caso "Veritatis Splendor"
Citazione:
Citazione:
Le fedi (o non fedi), di queste minoranze hanno lo stesso diritto di cittadinanza della fede cattolica che non può più permettersi di dire - noi siamo nel giusto e si fa quello che diciamo noi – dettando le regole morali che governano le società, ma questo è un qualche cosa che la maggior parte dei cattolici non ha ancora realizzato e continua a voler portare, attraverso la politica, a livello di scelte sociali, le scelte che potrebbero tranquillamente riguardare la sfera privata degli individui. In fondo se io maschio voglio vivere con un uomo saranno ben fatti miei. Se io malato terminale di qualsivoglia morbo, preferisco andarmene in maniera tranquilla ed indolore da questo mondo, saranno ben fatti miei, se io intendo convivere con la mia donna e non voglio sposarmi, saranno ben fatti miei....etc....etc |
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26-09-2006, 10.30.50 | #7 | |
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Riferimento: Il caso "Veritatis Splendor"
Citazione:
Le ragioni da te citate sono quelle vere per cui la Chiesa stà cercando un dialogo con le altre religioni, ma non sono quelle logiche che scaturirebbero se "veramente" la Chiesa fosse convinta di detenere la Verità ! Teniamo conto che l'affermazione "detenere la Verità" è una conclusione che abbiamo desunto da altre affermazioni, attraverso un calcolo logico : stiamo quasi facendo un processo alle intenzioni ! Ma a parte questo, abbiamo convenzionalmente accettato che questo calcolo logico sia vero ! Però, logica per logica, ho già dimostrato logicamente che il dialogo è nemico di colui che detiene una verità o la Verità : la Chiesa non sarebbe coerente nemmeno con le proprie intenzioni e volontà, giacchè, da quanto leggo sopra, opera a favore della pace mondiale, però autolesionandosi, chiedendo scusa per pensieri generati da qualcun altro, e cercando un dialogo che, inevitabilmente, la sottoporrà ad un grosso rischio : il rispondere di ciò che si sà ! Tieni conto VanLag, come ti ho già scritto precedentemente, che gli interlocutori della Chiesa non sono dei fessi : le questioni che tu stai sollevando, anche loro le hanno sollevate...e ti dirò di più : mentre un laico, un cristiano atipico (come me) o un ateo hanno poco da temere dal dialogo, perchè non detengono alcunchè, un alto esponente della religione Cristiano Ortodossa, Islamica o Buddista, affilerà per bene le proprie armi della dialettica, perchè si troverà nelle stesse condizioni di pericolo della Chiesa : la perdita della Verità ! Quindi, se vogliamo sbloccare la situazione o abbandoniamo la conclusione calcolata logicamente : "La Chiesa Cattolica ha dichiarato di essere l’unica detentrice della Verità" poichè i fatti vanno contro la sua dichiarazione (a meno che non l'accusiamo di irrazionalità) oppure il calolo logico che ci ha portato a desumere quell'affermazione lo dobbiamo ritenere sbagliato, e ritenere la Verità diffusa dalla Chiesa una semplice "diffusione" di quanto, qualcun'altro, le ha consegnato e che ha valore per colui che "crede" che questo qualcun'altro sia effettivamente quello che dice di essere : il figlio di Dio, il Messia, mentre, per chi non crede, non vale semplicemente nulla : è solo un ulteriore punto di visto nell'immensa costellazione delle opinioni ! Scusa se il resto del tuo post non te l'ho riportato : l'ho letto con attenzione ed interesse, ma ho preferito trascuralo perchè allarga il discorso sul piano etico, sociale e politico, mentre io vorrei concentrarmi sul piano logico per scoprire se l'affermazione desunta è calcolata bene o è calcolata male. Gli argomenti sono come gli eserciti : più aumentano di dimensioni più è difficile governarli ! Eventualmente, in un altro post, possiamo trattare specificatamente il rapporto fra Chiesa e scelte etiche e morali, individuali. Ciao |
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26-09-2006, 11.21.03 | #8 | |||
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Riferimento: Il caso "Veritatis Splendor"
Citazione:
Ciao Tommy,da parte mia vorrei precisare su questo punto. Io non ritengo che la Chiesa non manifesti apertamente la sua convinzione di essere nel vero e nel giusto.Ma dobbiamo intenderci sul concetto di "manifestazione aperta",perchè se per manifestazione aperta intendiamo una pubblica uscita in cui il Papa o un cardinale,attraverso una dichiarazione o un'enciclica,ribadiscano in "diretta mondiale" che l'unica religione vera è quella cristiana e che il vero Dio è quello cristiano,allora no,la Chiesa non manifesta apertamente. E' troppo accorta e troppo raffinata per sparate del genere(nei suoi alti vertici,intendo). Però mi pare che,con altri mezzi,la Chiesa manifesti eccome la sua convinzione;non lo fa,ad esempio,durante ogni messa?Non lo fa nelle encicliche,non lo fa quando sente di dover intervenire sulle questioni sociali,non lo ha fatto in occasione dell'ultimo referendum? E il tanto acclamato(e pur meritorio)dialogo interreligioso,è stato pur sempre condotto all'insegna del limite,fin da GPII,che rispetto al Concilio II ha mostrato,a detta di tutti gli studiosi,una certa volontà di tornare indietro ribadendo,pur nel rispetto delle altre religioni e confessioni,una forte sicurezza identitaria(importanti le sue opinioni riguardo al buddismo,per esempio,in cui sosteneva,con il massimo garbo,che tale dottrina non avvicina l'uomo a Dio ed è anzi sostanzialmente atea-quindi negativa,nell'ottica cattolica). Questo per intenderci sul concetto. Citazione:
Qui sollevi un problema secolare,che è centrale negli ultimi secoli di vita della Chiesa ed è centrale anche nel pensiero di GPII(quando parla di "inculturazione",che tanto ha fatto discutere gli antropologi). Il mio indirizzo di pensiero è sintetizzato dalle ultime righe dell'intervento precedente,quando parlo della reale conduzione,da parte cattolica,del dialogo interreligioso. Sostengo,in pratica,che il dialogo ci sia e che questo sia senza dubbio un passo in avanti ed un'apertura nei confronti del "diverso".Ma sostengo pure che,nello specifico da parte cattolica,sia stato condotto all'insegna del limite:ovvero,all'insegna de "su qualche punto possiamo intenderci,su qualche altro punto possiamo anche cambiare opinione,su qualche altro punto ancora la pensiamo uguale,ma su questo proprio non si discute". E non facciamo fatica a credere che sia così,dal momento stesso in cui pensiamo che,senza andare troppo a fondo,la religione cristiano-cattolica è una religione dogmatica,ed il dogma è una fondamentale verità di fede,sulla quale non si discute perchè non può essere compresa razionalmente. *(preciso che il mio non è un attacco frontale esclusivamente rivolto al cristianesimo,perchè penso che,in un certo senso,siano dogmatiche anche le religioni orientali) Del resto,Tommy,quello che dico non stupirebbe gli studiosi del rapporto e delle relazioni che si hanno e che si sono avute fra il cristianesimo e il mondo colonizzato(Americhe e Africa,soprattutto). Qui,da Bartolomè de Las Casas a padre Schmidt a Giovanni Paolo II,si è pensata la modalità del contatto,programmandola in modo accurato: così,quando il missionario si recava presso la tribù del Sudamerica,due erano i possibili indirizzi attraverso i quali avrebbe potuto trasmettere la conoscenza del Vangelo e del verbo cristiano 1)Distruzione del precedente sistema culturale e religioso,quello indigeno,che viene soppiantato da quello religioso 2) -l'indirizzo che è stato del Papa Giovanni Paolo II- inculturazione:ovvero,ci si basa sulla credenza che in ogni sistema culturale e religioso Dio abbia messo i "semi" della religione cristiana.Ci sono quindi delle similitudini fra il sistema di credenze indigeno e alcuni punti della dottrina cristiana,e bisogna,sfruttando queste somiglianza,comunicare agli indigeni che esiste una verità più alta che loro conoscono solo in forme rozze,che è appunto la verità cristiana."Ogni popolo è cristiano",insomma,ma non lo sà,o non lo sà più. E noi dobbiamo e possiamo ricordarglielo. Questi,senza nulla togliere,lo ribadisco,al merito dell'iniziativa di un dialogo interreligioso(sempre meglio che la guerra di religione!),sono alcuni punti teorici meno conosciuti con i quali la Chiesa si è predisposta al dialogo. Che,come vedi,forse tanto dialogo non è. Citazione:
Ci sono alcuni concetti fondamentali che vengono ribaditi da secoli,senza sostanziali modifiche,e sono i precetti basilari della fede. Su alcuni punti,quelli ad esempio in cui si prescrive un comandamento di tipo igienico,sociale,di organizzazione e amministrazione delle proprietà e via dicendo,le religioni,compresi i grandi monoteismi,generalmente hanno saputo cambiare e adattarsi allo spirito dei tempi. Tutto questo nella teologia cattolica,specificamente,è pensato e contemplato:ed è il concetto che lo Spirito,di per sè assoluto e trascendente,rivela storicamente,e dunque nel tempo,la Verità. Se la Chiesa non interpretasse le cose in questo modo,non ci sarebbe ragione per la quale non dovremmo ancora obbedire ai precetti del Levitico. Lo stesso Gesù è una figura cui si fa riferimento per questi casi,con il suo rifiuto di alcune tradizioni ebraiche del suo tempo:l'intero cristianesimo si presenta come religione più liberale rispetto ad altre,e lo fa per necessità,perchè si vuole estendere a tutti i popoli del mondo,che hanno diverse tradizioni e che non potrebbero vivere tutti precisamente allo stesso modo. L'opera di Paolo di Tarso,in questo senso,è un altro punto di riferimento in merito alla possibilità e alla necessità,da parte del cristianesimo,di adattarsi(senza però perdere la sua identità e il suo spirito originario). Quale sia poi questo spirito originario,è un bel problema |
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26-09-2006, 12.02.13 | #9 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Il caso "Veritatis Splendor"
Citazione:
Mi pare che il tuo escursus tenda più che altro a rappresentare la tipica situazione in cui si pone colui o coloro i quali detengano qualcosa di materiale, non certo un bene impalpabile come la Verità. Ritengo che chi dovesse detenerla potrebbe avere un approccio assai diverso da quello che delinei tu. La Verità implica in sé la perfetta conoscenza di quel che è vero e di ciò che è falso, non sottostà ad alcun aggiustamento ermeneutico o epistemologico, ma essa si rappresenta da sola per quel che è. La Verità non teme il confronto e non si dissipa o dissolve nella disputa, ma nel relazionarsi con il mondo non può che riaffermare se stessa a scapito delle confutazioni. Non può così soggiacere alla possibilità di essere menomata da tesi contrastanti, tutte votate al fallimento. Non può esistere una confutazione che possa dimostrarne l’errore, in caso contrario non si tratterebbe di Verità. La Verità piuttosto che rifuggirlo, ricerca il contraddittorio, nella sua indefettibile certezza di potersi imporre come unica Via parla in modo particolare a coloro che in essa non si riconoscono. La Verità pretende di essere conosciuta.<<Io sono la Via, la Verità e la Vita>>, queste parole attribuite a Gesù sono anche il nucleo teologico su cui la Chiesa - la Sposa di Gesù, quindi di Dio (sintomatica di quest’impostazione è anche una lettura esegetica del Cantico dei Cantici) - radica la propria certezza di Verità e impianta la propria dottrina morale. La Chiesa sarebbe diretta emanazione di Gesù, il quale a lei consegnò le chiavi dello scrigno ove è custodito il tesoro di Verità. La Chiesa ne sarebbe la custode. Da questo scrigno attingerebbe per divulgare il corretto messaggio del Figlio dell’uomo. Questo è il percorso logico che emerge dai documenti della Chiesa. Da questa pretesa – che a me poco scandalizza – trae origine la giustificazione del dogma dell’infallibilità del Pontefice in materia di fede e di morale (ex-cathedra) – sappiamo tutti che questo dogma è istigato da altre e ben poco commendevoli motivazioni di carattere utilitaristico -. La ricerca di un dialogo interreligioso, che, stante anche l’ultima prolusione di Benedetto XVI°, la tanto esecrata di pochi giorni fa, dovrebbe imperniarsi sul riconoscimento di una qualificazione di Dio tipica del Cristianesimo – Dio è amore (Deus Caritas est) e ragione -. Esemplificativa di questo suo ‘lecito’ pretendere è la chiosa del discorso di Ratisbona: <Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.> Chiaro l’intendimento del Pontefice, ancor più evidente il disconoscimento implicito ivi contenuto del Dio degli islamici e del Dio d’Israele. Citazione:
Adeguarsi ai tempi è una necessità storica sancita dal Concilio Vaticano II°. Tale impegno non implica la rinuncia alla propria specificità, così come non comporta l’abbandono e il disconoscimento del nucleo fondante della propria teologia su cui poggiano le pretese di supremazia spirituale della Chiesa, proprio perché il cuore del messaggio divino che informerebbe l’intero Magistero della Chiesa sarebbe irraggiamento di Dio, intangibile e immodificabile. La Chiesa “è” Maestra di Verità assolute, proprio perché nel suo essere nel mondo, nella sua mondanità sarebbe costantemente e direttamente ispirata dal suo Sposo. La Supremazia spirituale, che non è più da imporre con l’acciaio delle spade, ma con quello più tagliente e per certi versi subdolo del logos, deriverebbe proprio da questo rapporto simpatetico con colui che l’avrebbe fondata. |
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26-09-2006, 12.05.12 | #10 |
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Riferimento: Il caso "Veritatis Splendor"
Ma ritorniamo al merito del thread.
Afferma l’enciclica che la libertà è la condizione imprescindibile affinché l’uomo possa votarsi al bene e alla Verità, ma che mai la libertà debba essere fondatrice ed artefice di valori morali: « L'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà »… « La vera libertà è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo "in mano al suo consiglio" (cf Sir 15,14), così che esso cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con la adesione a lui, alla piena e beata perfezione »… Alcune tendenze della teologia morale odierna, sotto l'influsso delle correnti soggettiviste ed individualiste ora ricordate, interpretano in modo nuovo il rapporto della libertà con la legge morale, con la natura umana e con la coscienza, e propongono criteri innovativi di valutazione morale degli atti: sono tendenze che, pur nella loro varietà, si ritrovano nel fatto di indebolire o addirittura di negare la dipendenza della libertà dalla verità. Se vogliamo operare un discernimento critico di queste tendenze, capace di riconoscere quanto in esse vi è di legittimo, utile e prezioso e di indicarne, al tempo stesso, le ambiguità, i pericoli e gli errori, dobbiamo esaminarle alla luce della fondamentale dipendenza della libertà dalla verità, dipendenza che è stata espressa nel modo più limpido e autorevole dalle parole di Cristo: « Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi » (Gv 8,32)... la Rivelazione insegna che il potere di decidere del bene e del male non appartiene all'uomo, ma a Dio solo. L'uomo è certamente libero, dal momento che può comprendere ed accogliere i comandi di Dio. Ed è in possesso d'una libertà quanto mai ampia, perché può mangiare « di tutti gli alberi del giardino ». Ma questa libertà non è illimitata: deve arrestarsi di fronte all'« albero della conoscenza del bene e del male », essendo chiamata ad accettare la legge morale che Dio dà all'uomo. In realtà, proprio in questa accettazione la libertà dell'uomo trova la sua vera e piena realizzazione. Dio, che solo è buono, conosce perfettamente ciò che è buono per l'uomo, e in forza del suo stesso amore glielo propone nei comandamenti. Dimenticando però la dipendenza della ragione umana dalla Sapienza divina e la necessità, nel presente stato di natura decaduta, nonché l'effettiva realtà della divina rivelazione per la conoscenza di verità morali anche di ordine naturale, alcuni sono giunti a teorizzare una completa sovranità della ragione nell'ambito delle norme morali relative al retto ordinamento della vita in questo mondo: tali norme costituirebbero l'ambito di una morale solamente « umana », sarebbero cioè l'espressione di una legge che l'uomo autonomamente dà a se stesso e che ha la sua sorgente esclusivamente nella ragione umana. Di questa legge Dio non potrebbe essere considerato in nessun modo Autore, se non nel senso che la ragione umana esercita la sua autonomia legislativa in forza di un originario e totale mandato di Dio all'uomo. Ora queste tendenze di pensiero hanno condotto a negare, contro la Sacra Scrittura e la dottrina costante della Chiesa, che la legge morale naturale abbia Dio come autore e che l'uomo, mediante la sua ragione, partecipi alla legge eterna, che non è lui a stabilire.>> La libertà è sì fondativa, ma non può essere fondatrice di verità morali, soprattutto quando queste siano aliene dalla tradizione e dalla dottrina della Chiesa. L’azione svolta dalla retta coscienza ci avverte in merito alla giusta correlazione fra libertà individuale e Verità universale: <<71. Il rapporto tra la libertà dell'uomo e la legge di Dio, che trova la sua sede intima e viva nella coscienza morale, si manifesta e si realizza negli atti umani. È proprio mediante i suoi atti che l'uomo si perfeziona come uomo, come uomo chiamato a cercare spontaneamente il suo Creatore e a giungere liberamente, con l'adesione a lui, alla piena e beata perfezione.>> L’enciclica c’istruisce anche circa il fatto che la coscienza non può proporsi come la polla sorgiva di Verità universali. La Verità è al di fuori della coscienza di ciascuno di noi. In virtù di quest’assunto, la retta coscienza è conforme alla Verità quando ad essa si adegua. Cioè la Verità è aliena (altra cosa) alla coscienza. Compito della coscienza è quello di avvertire il suo ospite sul tracciato da seguire e sulla strada percorsa, che siano entrambi in sintonia con il Vero; ci suggerisce in merito alle scelte deliberate dell’uomo, che queste non si discostino dal Vero:<< 61. La verità circa il bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è riconosciuta praticamente e concretamente dal giudizio della coscienza, il quale porta ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso: se l'uomo commette il male, il giusto giudizio della sua coscienza rimane in lui testimone della verità universale del bene, come della malizia della sua scelta particolare. Ma il verdetto della coscienza permane in lui anche come un pegno di speranza e di misericordia: mentre attesta il male commesso, ricorda anche il perdono da chiedere, il bene da praticare e la virtù da coltivare sempre, con la grazia di Dio.>> La Coscienza segue la Verità, e non determina Verità. L’enciclica ci dice anche che: <<62. La coscienza, come giudizio di un atto, non è esente dalla possibilità di errore. « Succede non di rado — scrive il Concilio — che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato ». Con queste brevi parole il Concilio offre una sintesi della dottrina che la Chiesa nel corso dei secoli ha elaborato sulla coscienza erronea.>>. Prosegue nell’affermare il principio che questa Verità intangibile ed universale, che la libertà dell’uomo, avvertita dall’azione della coscienza, persegue e deve perseguire, è depositata fra le braccia della Sposa Celeste, cioè la Chiesa (esegesi del Cantico dei Cantici). E’ la Chiesa la custode di questa Verità intangibile: ne è custode e messaggera. L’opera della Chiesa si traduce quindi nell’insegnamento che si esplica attraverso la dottrina morale: <<Secondo la fede cristiana e la dottrina della Chiesa, « solamente la libertà che si sottomette alla Verità conduce la persona umana al suo vero bene. Il bene della persona è di essere nella Verità e di fare la Verità »... Il confronto tra la posizione della Chiesa e la situazione sociale e culturale d'oggi mette immediatamente in luce l'urgenza che proprio su tale questione fondamentale si sviluppi un'intensa opera pastorale da parte della Chiesa stessa: « Questo essenziale legame di Verità-Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l'uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo.>> … << La forza salvifica del vero è contestata, affidando alla sola libertà, sradicata da ogni obiettività, il compito di decidere autonomamente ciò che è bene e ciò che è male. Questo relativismo diviene, nel campo teologico, sfiducia nella sapienza di Dio, che guida l'uomo con la legge morale. A ciò che la legge morale prescrive si contrappongono le cosiddette situazioni concrete, non ritenendo più, in fondo, che la legge di Dio sia sempre l'unico vero bene dell'uomo »….<<85. L'opera di discernimento di queste teorie etiche da parte della Chiesa non si restringe alla loro denuncia e al loro rifiuto, ma mira positivamente a sostenere con grande amore tutti i fedeli nella formazione d'una coscienza morale che giudichi e conduca a decisioni secondo verità, come esorta l'apostolo Paolo: « Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto » (Rm 12, 2). Quest'opera della Chiesa trova il suo punto di forza — il suo « segreto » formativo — non tanto negli enunciati dottrinali e negli appelli pastorali alla vigilanza, quanto nel tenere lo sguardo fisso sul Signore Gesù. La Chiesa ogni giorno guarda con instancabile amore a Cristo, pienamente consapevole che solo in lui sta la risposta vera e definitiva al problema morale. In particolare, in Gesù crocifisso essa trova la risposta alla questione che tormenta oggi tanti uomini: come può l'obbedienza alle norme morali universali e immutabili rispettare l'unicità e l'irripetibilità della persona e non attentare alla sua libertà e dignità? La Chiesa fa sua la coscienza che l'apostolo Paolo aveva della missione ricevuta: « Cristo... mi ha mandato... a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo... Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio » (1 Cor 1,17.23-24).Cristo crocifisso rivela il senso autentico della libertà, lo vive in pienezza nel dono totale di sé e chiama i discepoli a prendere parte alla sua stessa libertà.>> L’enciclica si chiude con una dichiarazione programmatica: << È compito del Magistero della Chiesa vegliare perché il dinamismo della sequela di Cristo si sviluppi in modo organico, senza che ne vengano falsate o occultate le esigenze morali, con tutte le loro conseguenze. Chi ama Cristo osserva i suoi comandamenti (cf Gv 14,15).>> L’enciclica è assai più complessa di quanto possa apparire da questi scarni stralci e dai miei miserrimi commenti, ma per affrontare compiutamente le tematiche in essa contenute o appena annunciate non basterebbero le pagine di questo forum. Ciao |