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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
22-04-2006, 01.42.30 | #33 |
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Sincronicità
L'attività elettrofisiologica del cervello si "sincronizza" in due sole condizioni: i ritmi theta del sonno ("treni" di onde lente, omogeneamente diffuse su tutto lo scalp, i quali accompagnano l'addormentamento) e le crisi comiziali a tipo "grande male".
Al contrario, il recupero di una condizione di "attenzione spontanea", nella veglia, coincide con una "desincronizzazione" dei ritmi elettroencefalografici. Tuttavia, l'intuizione è corretta. Ai tempi in cui studiavo il fenomeno, avevo elaborato una teoria matematica la quale riconduceva la linearità dell'esperienza cosciente (desincronizzata) ad un modello frattale in cui le "durate" si riproducevano, per gruppi neuronali compositi e progressivamente più "estensivi" alla linearità temporale. Le attività proprie dei "gruppi", in effetti, la travalicavano, rendendo spiegabili anche i dati degli esperimenti di Libet. L'applicazione della costante di Feigenbaum, come esponente caotico, al modello frattale delle attività complessive del tessuto neurale, apparentemente "linearizzava" i dati raccoglibili dei potenziali evocati cognitivi con quelli elettrofisiologici delle derivazioni standard di un qualsiasi tracciato. Risultava persino possibile predire che, nella schizofrenia, tale metasincronia non poteva avvenire a causa di un eccesso di "strutture" in opera (e non di un "difetto" come supposto da ogni percorso di ricerca in atto). Nella demenza, al contrario, il fenomeno, appiattendosi, avrebbe dovuto causare una "percezione" ipercontratta del tempo di durata delle percezioni consapevoli, rendendo impossibile un adeguamento agli standards testistici, ma non la "coscienza" in sè. Infine, il "disaccoppiamento" delle funzioni mnestiche (date solo dal potere complessivo dei "gruppi" neuronali in opera) rispetto al coefficiente di linearità, comportava, secondo il modello, l'impossibilità di un insight se non laddove i "gruppi" preservavano una sufficiente complessità: ossia in un "presente iperesteso" e incompatibile con le attese sociali. |
22-04-2006, 16.44.27 | #34 | |
like nonsoche in rain...
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tesi, antitesi, sintesi...?
Citazione:
La spinta propulsiva verso la sintesi comporta l’intervento importante di meccanismi inconsci, neurofisiologici. Però noi stessi tramite i pensieri, fusioni complesse dell’attività di numerosi gruppi neurali che lavorano in sincronia ed in parallelo, possiamo “accedere” consciamente a tali gruppi (causalità discendente), per esempio controllando, nei limiti del possibile, reazioni emotive, bisogni, movimenti istintivi, ecc...; ciò è fondamentale poiché stiamo dicendo che il pensiero e perciò la mente sono in grado di agire e modificare, attraverso la plasticità sinaptica, la parte biologica necessaria a renderci ciò che siamo o meglio come ci percepiamo. Ma il modo nel quale ci percepiamo, consciamente e inconsciamente, è anche presupposto basilare per come accediamo alla “realtà”; l’anelito “scontato”, il desiderio mistico, oggetto iniziale di tale discussione sembra essere un riflesso naturale di meccanismi interni, differenti, ma che “tendono” fisiologicamente verso la sintesi, unificando il caos percettivo che altrimenti ci renderebbe ingovernabili, come un veliero in balia delle onde e senza una rotta predeterminata. Questi meccanismi, dunque, li applichiamo, e ci sembra naturale e scontato farlo, alla “realtà”. Quando vediamo un fiore, quest’ultimo è appunto una singola entità o meglio viene percepito come tale, nonostante attivi in noi molteplici circuiti neurali differenti (visivi, olfattivi, tattili ecc...) che però lavorando in sincronia ed in parallelo, ci donano l’immagine unitaria del fiore, pur se le diverse memorie percettive sono depositarie di particolari aspetti della sintesi percettiva. Il “fiore in sé” è una cosa che non ci è data di conoscere direttamente, ma ce lo figuriamo così, ovvero come un ente, che pur producendoci sensazioni differenti, è appunto un singolo evento del nostro orizzonte percettivo; ci convinciamo che sia così, non potrebbe essere altrimenti (ecco la necessità). Consciamente ed inconsciamente, tentiamo questa operazione con tutto ciò che ci capita a tiro, poiché la sintesi e la semplicità sembrano essere meccanismi estremamente convenienti in natura[1] e per questo avevo accennato all’utilità, secondo me, della prospettiva evoluzionistica che potrebbe fornire efficaci spunti per questa discussione. “Efficaci spunti”... e non “paletti”... come spero che venga considerato tutto ciò che ho detto fino adesso . Che poi tali tentativi di visione unitaria trovino un effettivo riscontro nella “realtà” [2], riferendomi in particolare alla Scienza, è un altro aspetto che dovrebbe far riflettere ed è strettamente legato, poiché subordinato in qualche modo[3], al metodo tendente al “riduzionismo” ovvero che ricerca possibili sintesi unificanti dietro all’apparente caos naturale; basta per un attimo pensare alla mitica ricerca della TOE (Theory Of Everything), che è passata per magnifiche[4] sintesi come l’unificazione dell’elettromagnetismo, l’unificazione della forza elettromagnetica con la nucleare debole, l’unificazione (auspicata) di tutte le forze, la teoria delle stringhe, ecc... ecc... La ricerca della sintesi ha guidato e guida gli uomini nelle indagini della “natura” a livello scientifico e “mistico”, tant’è che alcune teorie che stanno ancora avanti agli esperimenti sembrano presentare aspetti dell’una e dell’altra categoria. Dopo la tesi (proiezione dell’unità interna all’esterno), l’antitesi (riferimenti [2] e [3], cioè il problema, di cui non ho molto parlato, della proiezione dell’esterno sull’unità interna), propongo una sintesi impegnativa che guarda a se stessa: la “sintesi unificante” è, come abbiamo visto, efficace, opportuna, utile, dunque è “reale”[5] e non una nostra semplice esigenza di riflessione o un nostro sterile vagheggiamento. [1] = significativo è il fatto che noi stessi percepiamo la bellezza laddove maggiormente sembrano esplicarsi sintesi, semplicità, unità. [2] = ovvero siano molto efficaci nel rappresentarla. [3] = chi/che cosa è subordinato a chi/a che cosa? Qui si apre un precipizio di cui non riesco a scorgere le forme, ma ne avverto la vertigine...; è questo ciò che intendevo con circolo vizioso... [4] = in quanto “belle” . [5] = in quanto riscontrabile empiricamente a molti livelli e perciò in qualche modo condivisibile, tenendo sempre a mente la nota [3]. |
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23-04-2006, 03.12.19 | #35 |
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Riconduzione all'unità
Il modo naive di intendere l'unitarietà dei processi mentali coincide con il concetto, vulgata specie, di "Io".
A tale lettura bruta non si sottrae l'intera riflessione psicoanalitica, la quale adotta gli strumenti della "tribù" allo scopo di determinarne la genesi: compito inattuabile, ma nel percorso del quale essa rese possibile la definizione precisa del termine linguistico, inteso come referente specifico della ricerca neurofisiologica. Nè vi si sottrae l'analisi e la riflessione filosofica, la quale pervenne, con Kant, alla locuzione di "unità sintetica dell'appercezione (sensibile)" come ente supposto a riferimento del quale si sarebbe potuto sviluppare, quasi intento creato eppure "funzione", lo schematismo dell'intelletto puro. In esso Kant giunse a sviluppi formali e composizioni teoriche le quali, in particolare nella prima stesura della Critica (1781) non sono soltanto ardite, ma tremendamente geniali. Sfortunatamente, la versione definitiva ne fu in gran parte edulcorata (1787), probabilmente a causa del carattere dell'uomo Kant, assai prudente ed eccessivamente preoccupato di qualsivoglia considerazione che non fosse sufficientemente supportata da una adeguata riflessione e da un intero edificio il quale, sistematicamente ed architettonicamente, ne ricevesse "slancio" e vi riconoscesse "appoggio". In quali direzioni procede, oggi, la ricerca? Una direzione risulta evidente: l'io, in quanto unità dei processi psichici, è inteso come "aspetto" (e non "funzione"!) particolare della attività proprie della coscienza. Vi prego di acquisire questo dato linguistico con molta attenzione: l'"unità" delle funzioni psichiche come aspetto particolare delle attività di coscienza è cosa infinitamente diversa dal principio naive, per il quale la coscienza "culmina" nella sintesi psichica. Lo studio del deterioramento cognitivo ci porta a distinguere con molta evidenza tra "attività procedurali" e "attività dichiarative" della coscienza. Queste ultime sono, sostanzialmente, proprie della specie umana: si caratterizzano per tutte quelle "abilità" di cui il soggetto può dare, in qualsiasi modo, ridondanze cognitive. Le prime, invece, sono comuni a molti mammiferi superiori e, in parte minore, ad altri vertebrati: consistono in apprendimenti, anche molto complessi, la cui esecuzione può essere perfezionata e adeguata ad adattamenti ambientali, ma in modo tale da non poter essere descritta più adeguatamente se non nell'esecuzione stessa. Per capirci: il labirinto dei topolini oppure i giochi PS2 dei ragazzini. Fino a pochi anni fa la malattia di Alzheimer si caratterizzava proprio per l'evidente danno delle funzioni dichiarative, memoria e cognizione intellettuale. Oggi, sorprendentemente, accade di poter rilevare l'occorrere del seguente fenomeno: alcune terapie, in casi selezionati e lievi, consentono la conservazione ed il potenziamento di queste (ossia le funzioni più specifiche e complesse). In questi casi si osserva, con sconforto, ma anche con allibita sorpresa, il drammatico decadere delle funzioni procedurali, mostrando quanto più complesso debba essere, in realtà, il panorama delle attività di coscienza, il quale, purtroppo, sfugge a tutti i modelli concettuali per ora proposti, in ogni ambito: filosofico, psicodinamico, neurofisiologico, fisico e, ovviamente, "culturale". Si tratta di situazioni che cadono sotto l'osservazione clinica da non più di due anni, dato che prima del 2004 non si disponeva di trattamenti efficaci per periodi superiori ai sei-dodici mesi. Tale lasso di tempo era insufficiente a riconoscere "differenze" tra le due componenti funzionali nel decorso della malattia. |
23-04-2006, 06.45.09 | #36 | ||
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Citazione:
Si, comprendo.. Ma al posto di "difficoltà" gradirei un termine più "scientifico" tipo.. "complessità" !!! (E questo naturalmente lo devo alla mia conformazione mentale.. dove "difficile" viene interpretato osticamente..!) Citazione:
Riguardo alla tua affermazione che "la scienza studia solo le cose morte" "scusa" lo dovresti chiedere pure a me!! Non solo questa frase come scrive Nexus "suona" male, ma è completamente errata! Come d'altronde lo è l'ipotesi che il linguaggio non possa (come da me sostenuto) arrivare ad unificare in un quadro unitario i vari percorsi!! Cosa peraltro che già avviene tranquillamente da sempre! La nostra comunicazione affonda le sue radici proprio sulla capacità empatica che l'uomo ha di riconoscere sé e le cose attraverso le immagini-sintesi proprie del linguaggio..! Riguardo al fine unitario come unica possibilità e prerogativa spirituale frego le parole a Nexus: "La ricerca della sintesi ha guidato e guida gli uomini nelle indagini della “natura” a livello scientifico e “mistico”, tant’è che alcune teorie che stanno ancora avanti agli esperimenti sembrano presentare aspetti dell’una e dell’altra categoria." ed a Jack: "è la Scienza ad aver operato le più grandi sintesi del pensiero. penso a Newton.. etc.." Adesso che ho sintetizzato per benino in che casino sono andata a mettermi.. non chiederò scusa a nessuno se le complessità del discorso esulano dalla mia conoscenza teorica obbligandomi al confronto più approfondito d'ogni mia teoria (dedotta dall'osservazione diretta della mia esperienza con quest'altre!) Ben venga.. ! L'ambizione alla sintesi non ha mai fermato la pluralità dei colori delle esperienze anzi ne ha fatto motivo di ricchezze.. Riguardo alla "prospettiva evoluzionistica come spunto utile" al fine della nostra ricerca, ben venga.. Eppure non comprendo come il modello evoluzionistico possa come "risposta" all'ambiente dirci molto sul perché della "sintesi", se non come una sorta di "elezione" naturale a ciò che risulti essere più "conveniente" (conveniente> rispetto ad una sorta di non dispersione energetica..!) dove la spinta più "semplice" è di massima destinata a prevalere rispetto alle altre.. (spero di non essere stata troppo semplicistica! "Semplice" > come la più conforme/indicata a rispondere alle esigenze od invece quella capace di vivere più a lungo, di perpetuarsi nel tempo -pur essendo magari sostanzialmente "risposta" 'stupida' ma 'conveniente' ???! ) Sintetizzando.. Il processo di base sembra appunto essere quello della comunicazione coordinata a tutti i livelli; coordinazione che nelle percezioni concorre ad una visione delle esperienze come unitarie. Caro, Weyl, perché ho questa difficoltà a seguire il tuo pensiero..? Le cose che dici dovrebbero stimolare in me movimento ed invece accade come una specie di torpidio mentale.. Come se ciò che dici portasse in sé un'apparenza vitale in una sintesi statica.. boh.. sarà il tuo modo di scrivere dalle forme un po' rigide.. Comunque sottolineo due punti: L' "io" come aspetto particolare della coscienza e non come funzione di fine (se ho ben compreso) e la difficile comprensione (all'esame dell' Alzheimer) secondo cui pur restando attive le attività mnemoniche e concettuali, scemano quelle più vicine alle attività più direttamente vitali.. (anche qui se ho ben dedotto..!) Gyta .. |
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23-04-2006, 12.52.46 | #37 | |||
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Re: Riconduzione all'unità
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23-04-2006, 15.15.49 | #38 | |
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Adoro le "parole-contenitore"! Nexus.. il disfattista! Io opto sempre per "complessità" anche se caos---->(inteso come) casino, rispecchia di gran lunga meglio la situazione in cui mio malgrado mi vengo a trovare in questa discussione!! Abbi fede*!! In fondo il caos fu grande ispiratore..! Gyta *..fiducia nelle potenzialità dell'umana ragione ! |
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