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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
10-11-2002, 21.30.04 | #16 |
Ospite abituale
Data registrazione: 04-11-2002
Messaggi: 92
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PER DEIRDRE:
Ti ripropongo qui la mia domanda a cui non avevi risposto: Messaggio originale inviato da deirdre ... anzi, aggiungo che il concetto di bene e male sono pure invenzioni umane per attribuire una definizione a qualcosa...fino a quando non si riuscirà ad evadee da questi schemi ottusi..non si riuscirà a capire un tubo.. ..."MATERIALMENTE" come credi possibile evadere da questi schemi ottusi?...e soprattutto una volta evasi cosa esisterà?...come fai ad immaginare di capire qualcosa senza poter attribuire definizioni alle cose?...certo che "bene e male" sono concetti umani...quindi???... ...penso che se anche uscissimo da questi schemi che tu definisci ottusi (che per me altro non sono che semplici conseguenze dell'evoluzione umana e quindi dei suoi ideali...contestabili...), non faremo altro che rientrare in un diverso schema ottuso...che tu forse valuterai come giusto...ma che comunque può ririsultare "ottuso" per altri...e così all'infinito... ...spero di poter dialogare... |
11-11-2002, 19.11.36 | #17 |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
Messaggi: 1,150
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Che altro aggiungere? Ho la sensazione che Kri abbia già espresso, con sufficiente completezza e piacevole semplicità, l’intera concezione che il Machiavelli aveva dello stato e dei sistemi di governo. Se volessimo limitare l’analisi del suo pensiero all'aspetto squisitamente storico/filosofico, credo che quanto detto sia sufficientemente esaustivo; viceversa, volendo ampliare il campo d’indagine, volendo coinvolgere in essa anche la sfera che inerisce all'etica (intendendosi in tal senso lo studio o la valutazione dell’uomo attraverso il proprio agire e le proprie scelte), penso che il discorso potrebbe trovare una sua naturale evoluzione.
Ritengo, infatti, che al di là della valutazione storica o filosofica del pensiero di M., possa essere utile e proficuo inquadrare questa complessa filosofia in un ambito più ampio: quello delle scelte e delle conseguenze che, anche solo potenzialmente, potrebbero derivare da scelte conseguenti a detta concezione. Il pensiero del Machiavelli, così condito com’è di forti accenti di demagogia e populismo – non scordiamo che il Principe ‘illuminato’ deve sapere ammansire, guidare e plagiare il popolo, deve essere suadente e tiranno allo stesso tempo, deve saper sedurre ed intimorire – potrebbe apparire cinico e la concezione filosofica di M., assumere la veste di una filosofia delle ‘mani libere’. Cioè massima libertà d’azione nell’esercizio della difficile ‘arte di governare’, conquistata anche, ove necessario, attraverso la mistificazione della realtà e condita di una buona dose di capacità di manipolazione delle masse; in tal senso il Principe di M. esalta l’apparenza, l'immagine posta al servizio del bene comune. Un costrutto teorico alquanto inquietante, soprattutto se volessimo trasferirlo ai tempi moderni, alla nostra attualità. Il governo dei mezzi di comunicazione (qualsiasi riferimento a fatti o persone della nostra attualità, è puramente incidentale … non è mia intenzione avviare una discussione sulla politica italiana), e dei sistemi di controllo delle masse, darebbe ad un ipotetico Principe (in Italia non troppo ipotetico), un potere che tenderebbe a svincolarlo dall'impegno di perseguire il fine, cioè il bene comune. Soprattutto se questo fine non dovesse concordare con il bene individuale del principe stesso (difficile non immaginare qualche personaggio del panorama politico italiano - basterebbe pensare ai monopoli commerciali o televisivi esistenti nel nostro Paese). Il Principe, così come concepito da M., concentrerebbe in sé tutto il POTERE: quello decisionale e anche e soprattutto la capacità di controllo del suo stesso operato, sarebbe, come si usa dire, autoreferenziato. Gioco forza che, così svincolato dalla rendicontazione del proprio agire (tanto è sempre possibile mistificare la realtà), possa facilmente soggiacere al delirio di onnipotenza (anche in questo caso, gli esempi non mancano), tanto da indurlo ad operare per un fine diverso dal bene comune. M., arguto pensatore, non si lasciò sfuggire questa eventualità; tant'è che il suo Principe, munito di questi attributi (niente mugolii, please!) di potestà e forza, rappresentava una fase transitoria, necessaria solo per l'instaurazione di un potere centrale forte. La figura del Principe era vista come una logica necessità transitoria, utile per la costituzione di uno stato unitario (ricordiamoci che all'epoca della stesura del trattato, l'Italia, se si eccettua lo Stato Pontificio, era divisa in tanti staterelli in perenne lotta fra loro e privi di una reale consistenza e forza) che potesse contrastare lo strapotere degli Stati unitari confinanti. Il principato, che avesse confidato esclusivamente sulla capacità e perizia del Signore, non avrebbe potuto avere una stabilità duratura nel tempo, poiché la morte del principe 'illuminato' - 'l'illuminazione' è da intendersi solo nell'ottica della costruzione di un governo centrale forte - rappresentava, appunto, la mina e la debolezza congenita dell'intera elaborazione teorica. Detta stabilità doveva essere ricercata in un'altra e più duratura forma di governo: la Repubblica; il governo di molti (che sommano le qualità del singolo) piuttosto che il governo di uno solo, anche se illuminato e forte, destinato a scomparire. La perpetuazione della forza, dello Stato non può, quindi, poggiare sulle spalle del Principe. M., pur non essendo credente, era anche profondamente (ipocritamente) religioso. Cioè attribuiva una grande significatività e valore alla religione. Non faceva alcuna distinzione fra quale religione potesse essere la migliore o la più funzionale alle necessità palesate nelle sue opere; era sufficiente che la stessa fungesse da collante ed elemento catalizzatore delle masse. M. intuì questa grande capacità 'coesiva' (sarà un neologismo?) della religione e pensò bene che dovesse essere resa funzionale, asservita, altro che palle, al fine ultimo. Difatti, pur contrastando, anche piuttosto aspramente, la Chiesa Cattolica, mai mise in dubbio il valore e la necessità che lo Stato favorisse l'instaurarsi di una religiosità profonda e sentita. In sintesi, M., per l'utilizzo teoretico che fece della lettura del passato, potrebbe essere definito un attento fotografo della Storia (arbitrariamente, mi piace definirlo così); utilizzò questa fotografia per proiettarla sulla situazione coeva dell'Italia, traendone un insegnamento che volle mettere su carta a beneficio del Signore. Ma, da attento osservatore qual era, seppe anche comprendere i limiti prospettici che nascondeva questa intelaiatura sociale, propendendo, intimamente, su soluzioni meno oligarchiche ed elitarie. Ciao Armonia, non ti avevo ancora salutato, i tuoi thread mi piacciono Ultima modifica di visechi : 11-11-2002 alle ore 19.14.27. |
11-11-2002, 21.02.25 | #18 |
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carrellata di filosofi "contro" e "pro"
In pratica, N. Machiavelli con "Il principe" presenta le sue tesi più caratteristiche: la politica è la dimensione di colui che vuole diventare o mantenersi "principe" e le sue regole non definiscono un modello di comportamento etico, ma lo stile di coloro che aspirano al potere, lo esercitano e lo conservano. Viene affermata così la totale autonomia della politica dai criteri di giudizio morali o religiosi. Le virtù del politico non sono le virtù dell'amore e dell'umiltà, ma piuttosto l'astuzia della volpe e la forza del leone.
Mentre risulta diverso il punto di vista etico-religiosa di Tommaso Moro: nella sua opera più conosciuta, Utopia, dove descrive la vita di una società ideale organizzata secondo un modello comunistico, basato sul nucleo familiare e tollerante nei confronti di tutte le espressioni di fede. Jean Bodin invece, cerca di costruire razionalmente il pensiero di sovranità, descrivendone i limiti etico-giuridici e costituzionali. Giovanni Botero ad esempio, si contrappone a Machiavelli e al suo realismo in nome di una fondazione etico-religiosa della politica. |
11-11-2002, 21.17.24 | #19 | ||
Ospite abituale
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Re: carrellata di filosofi "contro" e "pro"
Citazione:
Si, il senso e il significato della sua opera penso fosse proprio questo: attribuire una nuova caratterizzazione a chi è chiamato ad esercitare la difficile arte del comando, svincolando chi deve gestire il potere, per censo, nel caso di un principe, o per volere popolare, nel caso di un'oligarchia eletta, da problemi etici che sono visti solo come un appesantimento del già gravoso compito. Ma nel formulare la sua tesi, M. agì più che altro come un attento ed arguto osservatore della storia passata; la sua non è da intendersi come una propensione dell'autore stesso al cinismo... M. formulò una teoria, per certi versi cinica, ma fu per lui quasi un resoconto, un compendio di quanto aveva registrato nella storia pregressa. Citazione:
Qui mi fermo, Tommaso Moro devo aver letto qualcosa, ma al momento non ricordo (che strano ), degli altri pensatori da te citati, non so. Ciao |
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