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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
05-01-2006, 00.27.32 | #3 | |||||
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
Messaggi: 2,725
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Citazione:
Ma io non dico che quando asserisco “Uccidere il mio amico solo per una discussione?! Ma questo è crudele!!” non ho coinvolgimento emotivo: noi non siamo automi linguistici. Però se crediamo – con putnam – che non vi sia una vera distinzione tra fatto e valore, allora quello che dico è diretta conseguenza di quello che putnam afferma. Cioè il coinvolgimento emotivo c’è, c’è anche una tendenza ad assolutizzare (pragmaticamente) e trovare intollerabile alcuni comportamenti: questo lo condivido e questo è la chiave della morale. Ma noi abbiamo imparato – insisto – ad usare termini ‘crudele’, ‘antipatico’, ‘generoso’, etc. come tutti gli altri termini. Poi che vi sia un qualcos’altro (di emotivamente forte) che li accompagna generalmente è assodato, ma questo accompagnamento (il coinvolgimento emotivo) non è un componente del significato di tali termini, è per questo che possiamo avere casi come quelli alla hitler (molto diffusi). Citazione:
Un conto è parlare di linguaggio valutativo (che è oggettivo perché il linguaggio in genere è pubblico e quindi interpersonale), un altro conto è parlare di morale, o di esperienza morale: nel caso di quest’ultima essa è un costrutto umano psico-sociale e non può essere oggettiva, cioè non può essere interpersonale (e quindi possedere criteri oggettivi per decidere effettivamente quale posizione è più morale di un’altra). Citazione:
No, io ho un’idea di ‘società’ diversa da ‘somma delle sue componenti’ (come può essere inteso leggendo alcuni miei post nel topic sull’identificare uno stato intenzionale, in cui parlo di sistemi economici, ma questo varrebbe a mio giudizio anche con sistemi sociali). Quindi tra società e singoli individui c’è un rapporto di interdipendenza. Ok, siamo fisiologicamente simili, possediamo una sensibilità e immaginazione che ci permette di proiettarci al posto dell’altro: accetto quest’analisi (anche se ovviamente è parziale, ma questo lo accetteresti anche tu), infatti ho più volte detto che la morale ha anche una spiegazione psicologica (e una sociologica, e una fisiologica, ma quest’ultima ha un’importanza quasi marginale). Citazione:
Certo, ma il mio relativismo morale non è una semplice negazione dell’assolutismo. Io affermo che il linguaggio morale (non distinguibile da quello descrittivo-fattuale, e proprio per questo) è fornito di criteri pubblici, cioè intersoggettivi e (quindi) oggettivi. Inoltre, affermo che la morale non è metafisica ma è un costrutto (mutevole nel tempo) psico-sociale: e questo fa sbocciare il pluralismo morale. Citazione:
Che spiegazione ti attendi qui con quel tuo ‘perchè’? Come già detto le risposte ai ‘perchè’ in campo morale sono da cercare in ambito psico-sociale, ed in questo caso in ambito prettamente psicologico. Non so che altro genere di risposta possa esserci se – come entrambi accettiamo – la morale non è nulla che trascenda la dimensione umana. Comunque Jean non ho ancora ben compreso la tua posizione epicurus |
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05-01-2006, 00.30.23 | #4 | |
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
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Re: Re: Mai troppo umani
Citazione:
Nexus - non vorrei sbagliare ad interpretare questa tua frase - quello che proponiamo io e Jean non è di certo l'idea che il realismo sia una posizione misera che accettiamo solo perchè pragmaticamente siamo impossibilitati a refutare. epicurus |
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05-01-2006, 01.51.28 | #5 |
Ospite
Data registrazione: 30-12-2005
Messaggi: 10
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Primato pratico
Grazie Epicurus per la tua spiegazione.
Non condivido questo: "Poi che vi sia un qualcos’altro (di emotivamente forte) che li accompagna generalmente è assodato, ma questo accompagnamento (il coinvolgimento emotivo) non è un componente del significato di tali termini, è per questo che possiamo avere casi come quelli alla hitler (molto diffusi)". Io ritengo che che ciò che tu chiami accompagnamento non sia semplicemente un accompagnamento, ma una parte costitutiva del significato. Del resto proprio perchè condivido la negazione di Putnam a proposito della dicotomia fatto-valore, affermo questo. Non è vero che il significato della parola crudele si risolve nella definizione del vocabolario. Insomma sono molto d'accordo con la tua analisi sennonché pesiamo gli elementi in maniera differente. Tu fai stare il linguaggio (e quindi la filosofia) in un piano che ai miei occhi appare separato e troppo in alto. Ma le cose in realtà sono molto più ambigue. Non credo che la filosofia si debba così vincolare all'analisi meramente liguistica a tal punto da rinunciare a un campo della realtà non coglibile con questo approccio riduttivo. Pur con riserva critica apprezzo il lavoro fatto dalla Nussbaum che per parlare di morale non si fa scrupolo di avvicinarsi anche ai romanzi. Non è più filosofia? Non parla di cose oggettive, di realta? Sì, solo che lo fa in un modo distante dagli approcci assolutisti o relativisti. Non ti pare poi che Putnam, rivendicando il kantiano primato della ragione pratica, non si definirebbe mai (ma l'ha fatto in passato) un relativista morale? Anche questa affermazione non condivido o mi è poco chiara: "Un conto è parlare di linguaggio valutativo (che è oggettivo perché il linguaggio in genere è pubblico e quindi interpersonale), un altro conto è parlare di morale, o di esperienza morale". Io non credo che linguaggio valutativo e morale siano separati. Valutare indica un'adesione, una comprensione, una percezione di un valore, cioè un atto di adesione, una scelta chè è appunto morale. Ed è proprio qui il guazzabuglio tra fatti e valore, teoresi e prassi. Putnam dice di condividere quella impostazione per cui Kant riconosce che non è possibile una fisica, una biologia senza aderire a un'idea regolativa che vuole il mondo ordinato. Qui sta il primato morale e l'impossibilità di relegare la morale in ambito individuale e separato dal resto del nostro sapere. Concludo ribadendo ciò che dici a Nexus, che il realismo (ben inteso e adulto) è una grande smisurata ricchezza, altro che miseria. |
05-01-2006, 02.10.59 | #6 | |||
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
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Re: Primato pratico
Citazione:
Incollo qui di seguito un pezzo che scrissi nel topic 'L'annoso tema del Valore': Una corretta e precisa distinzione tra fatto e valore non è possibile da effettuare. Nell'ambito del valore, ci sono fatti forti e fatti morbidi: i primi hanno una valenza più oggettiva dovuta al fatto che utilizzano termini più rigorosamente definiti, mentre i fatti morbidi dipendono dai contesti, utilizzando termini più vaghi. Parole come ‘sfrontato’, ‘ostinato’, ‘iracondo’, ‘coraggioso’, ‘molesto’, ‘orgoglioso’, ‘educato’, ‘laborioso’ etc. hanno un ruolo fondamentale nel nostro uso quotidiano ed esse possono essere correttamente utilizzate nelle proposizioni. Come precisa Putnam (Realismo e relativismo concettuale) “la parole ‘irriguardoso’, come quella ‘alto’, dipende per sua applicazione da una norma riconosciuta. Come nessuno è alto o basso solo in virtù del suo possedere una certa statura in cm, così nessuno è pieno di riguardo o irriguardoso solo in virtù dell’avere eseguito una o cinque o quante si voglia azioni riguardose o irriguardose. Una persona piena di riguardi è una che è notevolmente più ‘riguardosa’ di un certo standard; una persona irriguardosa è una che è notevolmente più irriguardosa di quello standard.” Quindi le parole ‘riguardoso’ e ‘irriguardoso’ possono essere utilizzati tranquillamente nelle descrizioni: cade così la dicotomia fatto/valore. E’ proprio grazie a questa compenetrazione che è possibile descrivere a dovere certe situazioni: Putnam a riguardo afferma (Realismo e relativismo concettuale): “Abbiamo bisogno di una concezione della realtà secondo cui il mondo non sia solamente collocato nello spazio e nel tempo e riempito da quarks, ma possa anche contenere tramonti e cose rosse, persone e tragedie, atti di eroismo, gente malevola e belle sinfonie e così via.” Rifiutando la dicotomia fatto/valore (e riconoscento un'oggettivita`anche per i giudizi di valore), non rifiuto tuttavia il mio relativismo morale: termini più forti, come ‘morale/immorale’, ‘bene/male’, ‘giusto/sbagliato’ etc. in campo morale sono assolutamente relativi ad ogni individuo. Non sto escludendo che tali parole potrebbero avere un uso ben preciso, ma vago, nelle descrizioni (per convenzione linguistica ciò è fattibile), come per ‘irriguardoso’, bensì sto affermando che il carico e le implicazioni pratiche che stanno dietro attualmente a tali concetti sono assolutamente personali. Le proposizioni come “Uccidere è sbagliato”, “Rubare è immorale” o “Il suicidio è male” sembrano essere delle proposizioni, ossia delle descrizioni di stati di cose, ma ciò è errato. La loro forma è forviante perché ci appaiono come proposizioni, essendo invece dei comandi: “Non uccidere”, “Non rubare” e “Non suicidarti”. In questa formulazione grammaticale ci è ancor più chiaro come la precedente forma ci abbia potuto indurre a pensare ad esse come verità (o falsità) morali: quindi si ritorna al fatto che le concezioni morali sono assolutamente individuali. Mi sembra che putnam sleghi i termini valutativi dal contenuto veramente morale, cioè dall'obbligazione. (Inoltre - una piccola precisazione - io non ritengo che i significati dei termini in generale sia la definizione da vocabolario. I significati sono cosa ben più elastica.) Citazione:
Certo, perchè lui direbbe "quando noi valutiamo usiamo sempre un linguaggio pubblico, quindi con criteri oggettivi: quindi il relativismo in morale non ha senso". Ma se gli domandassi "Devo o non devo sparare a quel tizio? Che mi dice la filosofia a riguardo?". Lui direbbe che la scelta è personale, senza criteri oggettivi (o meglio: ci sono criteri oggettivi per determinare quali strategie d'azione sono migliori per raggiungere un dato fine, ma non vi sono strategie per scegliere gli scopi migliori). Citazione:
Prendi ciò che dicevo più sopra riguardo le possibili risposte di putnam e capirai cosa intendo con quella distinzione. Comunque mi sei ancora in debito di una spiegazione di una tua tesi, in particolare, mi potresti spiegare come suggeriresti di scegliere la miglior azione tra un insieme dato? Ci sono criteri oggettivi? Se due litigano riguardo la legittimità della tortura per i prigionieri di guetta, come si può decidere dove stia la ragione? epicurus |
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05-01-2006, 12.06.11 | #7 | |
like nonsoche in rain...
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Re: Re: Re: Mai troppo umani
Citazione:
Bravo anche a te Epicurus! Hai capito cosa intendo; sei un tipo intelligente, d'altronde. Il realismo è "una grande smisurata ricchezza", ma in egual modo, dal mio punto di vista, è quanto di più malinconico sia costretto a proporre il pragmatico genere umano. |
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05-01-2006, 14.46.01 | #8 | ||
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Re: Re: Re: Re: Mai troppo umani
Citazione:
mi fai arrossire Citazione:
io non sarei così pessimista, anzi ti dico di più: io non SONO così pessimista io credo di venir a contatto continuamente con alberi, sedie e penne, ma questa mia credenza non è 'giustificata pragmaticamente', bensì filosoficamente. epicurus |
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08-01-2006, 17.37.48 | #9 | ||
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Una breve precisazione (forse poco importante per questa discussione): anche se noi fossimo privi di emozioni, non si potrebbe parlare di automi linguisitici (se non in senso figurato). infatti il linguaggio non è fromato da regole rigide da poter applicare con algoritmi.
Invece per quando riguarda cosa pensa Putnam (da Il Pragmatismo:una questione aperta): Citazione:
qui Putnam dice più o meno quello che vorrei dire io, e cioè che la morale è una cosa (anche) individuale, ed è questo il suo ambiente (e fondamento), e null'altro: cioè la morale la costruiamo noi. questo è quello che intendo con 'relativismo' che poi sfocia nel pluralismo. un'altro pezzo (sempre dallo stesso libro, ma più avanti): Citazione:
ecco quello che volevo dire io (e che anche Putnam sembra condividere) la fine della dicotomia fatto-valore non ha ripercussioni sull'etica: in tutti i casi sarò solo io il giudice finale delle mie scelte, cioè decido io cosa è eticamente corretto e cosa no. epicurus |
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16-02-2006, 23.08.13 | #10 |
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mio GROSSO errore:
Jean -Jacques è da un po' che non ti vedo in giro, ma mi sembra comunque doverso scrivere che poco più sopra ho cannato alla grande!
quella che andavo professando -- che potrebbe essere definita 'descrittivizzazione etica' -- non era assolutamente l'idea di Hilary Putnam. per fortuna mi sono accorto di questo mio grosso erroraccio (e una parte del merito va a te )... comunque Putnam fa cadere la dicotomia fatto/valore, e così anche scienza/etica. queste idee inizialmente le ritenevo folli, ma mi fecero almeno passare dal relativismo etico puro alla mia teoria della descrittivizzazione etica (morale relativa, discorso etico oggettivo). ora non sono più così sicuro anche di quest'ultima posizione e mi sembra -- leggendo leggento -- che ciò che un tempo reputavo (e che anche tuttora mi crea grandi problemi) letteralmente assurdo, ora lo trovo più o meno commestibile. mi sono accorto delle grandissime intuizione espresse da Putnam, ma molte di queste stentano a collocarsi in un mio sistema più generico. epicurus P.S. forse tendiamo a richiedere alla morale una severità che persino la scienza non può soddisfare... |