Le cose sono un po' più complicate di quel che io ho esposto... appena posso spiego meglio il paradosso...
Nel frattempo,
vorrei ricordarvi che Menone ha esposto per un motivo di stizza il paradosso, in quando è incappato (per volere di Socrate)
nel problema, logico-ontologico, della definizione, del logos che manifesta la ousia. Ma Menone avrebbe ben desiderato di non esporlo...
Spero che non sia arabo quello che ho appena scritto...
Qua c'è una versione meglio tradotta del passo... [tra parentesi c'è il termine in greco x chi lo conoscesse]. Più un breve commento...
"E in che modo, Socrate, cercherai [zêtêseis] ciò che non sai [mê oistha] assolutamente [to parapan] che cosa sia [oti estin]? Quale delle cose che non sai ti proporrai di cercare? E se anche ti capiterà di imbatterti in essa, come saprai che è ciò che non conoscevi? - Capisco che cosa vuoi dire, Menone. Guarda un po’ che argomento eristico introduci [eristikon logon]! Non è possibile all’uomo cercare né quello che sa, né quello che non sa: infatti non cerca quello che sa, perché lo sa e non ha bisogno quindi di cercarlo, né ciò che non sa, perché non sa neppure che cosa cercare. - Non ti sembra allora che questo sia un bell’argomento?" [80d-81a]
(mitico l'humor di Socrate!)
La obiezione eristica di Menone è forse il suo contributo più interessante, soprattutto perché riflette probabilmente un autentico imbarazzo platonico. Vi si esprime l'aporia di un non-sapere da Socrate costantemente ma contraddittoriamente (almeno nell’ottica che il discepolo manifesta attraverso Menone) coniugato con l’impulso alla indagine. Platone, come abbiamo segnalato, appare disposto, in una qualche misura, ad ammettere la potenziale sterilità dell’approccio del maestro, più efficace sul piano catartico che non su quello propositivo. Assistiamo forse a un passo decisivo nella crisi del giovanile socratismo platonico, sollecitata dal maturare di opinioni originali, da una esigenza contemplativa cui ci siamo riferiti a proposito della insistenza sulla definizione.
La difficoltà proposta da Menone vuole marcare la impossibilità della ricerca di ciò che in assoluto non si conosce. Infatti, quanto si ignora (assolutamente: ritorna la forma avverbiale to parapan), proprio perché ignorato, non sarà neppure cercato. D'altra parte, anche ammesso che si cerchi qualcosa, se non lo si conosce preventivamente, neppure sarà possibile ri-conoscerlo nel caso lo si incontri nel corso della indagine. In questo modo si manifesta il fondo eristico nella versione socratica: ogni ricercare sarà vano, dal momento che quando si conosce non si cerca, né è possibile farlo quando non si conosce.
Insomma... il paradosso comprende una marea di cose... varie sono le soluzioni possibili... quando ho tempo - se volete - provo a metterle giù...
Altri problemi che possono sorgere dal paradosso...
Affermazioni dei sofisti: è vero quel che dicono i sofisti e uno dei loro più grandi esponenti, Gorgia, cioè che non si può imparare e quindi neanche insegnare?
E poi...
Il fatto che non si conosce, e non si può sapere, implica forse che quel qualcosa non ci sia?
Se no, allora perché affidarsi alla conoscenza, se essa è limitata...?
Elia
P.S.: ho notato che il link ke ho messo non va (più)...