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12-09-2005, 16.31.34 | #13 | |
Moderatore
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Citazione:
Ciao Gest O, certo la teoria del significato neoempirista è una teoria ingenua e non adatta a trattare la ricchezza, le potenzialità e la flessibilità del nostro linguaggio; ma ormai il verificazionismo (ma anche il falsificazionismo) non è abbracciato più da nessuno, o almeno non come teoria di significanza, e quindi non è più un problema. I neoempiristi logici certo calcarono la mano e finirono per creare proprio ciò che cercavano di demolire, la metafisica. Ma posso anche capire la loro esigenza: far chiarezza in ciò di cui si sta parlando. Non farsi trascinare dalle parole e non cadere in ingenue metafisiche che popolano il mondo di fatti e oggetti chimerici; questo premerebbe anche me, e se ho ben capito, anche la mia amicona Viandante. Comunque il fatto è che chi filosofeggia molte volte potrebbe usare un linguaggio più abbordabile, infatti per me la parola "verità dell'essere" non è molto comprensibile. Non dico che non sia priva di significato, ma che chi la usa ci è in debito come minimo di una spiegazione. Ma ora cerchiamo di ritornare su ciò che la Viand ci ha invitato di riflettere .... |
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12-09-2005, 17.01.31 | #14 |
Ospite abituale
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"Non dico che non sia priva di significato"
cioè dici che é priva di significato..lapsus rivelativo.. cmq per risponderti a nome di heidegger(che immodestia..) egli voleva dire che non é più possibile ricercare la verità di un'enunciato,che come tale riguarda sempre ciò che é, a partire da una presunta evidenza di fronte al pensiero(la logica moderna).La verità, quindi , non si configura più come adeguamento della cosa all'intelletto, corrispondenza fra essere e pensiero. Quindi la logica non ha più il primato del senso. L'autenticità di un enunciato non é da ricercare solo nell'evidenza del pensiero calcolante, ma si può ritrovare anche nell'esperienza dell'etica e dell'estetica. In questo modo l'esperienza soggettiva viene sottratta dal limbo dell'insignificanza e dell'incomunicabilità. Ritengo (banalmente, direi) che questo sia un passaggio fondamentale del '900, di cui forse ancora non cogliamo appieno le conseguenze. Per quanto riguarda il linguaggio filosofico,non penso sia una questione di chiarezza.Il fatto é che ogni filosofo che si rispetti,creando una filosofia crea un linguaggio, o quantomeno un uso del linguaggio,(un gioco linguistico) che risulta coessenziale alla comprensione del pensiero stesso. Ad esempio il primo approcio con la prosa hegeliana é disarmante, ma é impossibile comprendere il suo "movimento di pensiero" tramite le sintesi dei manuali. Bisogna decifrarne l'apparente complessità, dietro la quale si cela un'incessante reiterazione dello stesso concetto spiegato in modi diversi, a volte magari anche superflui e ridondanti,ma mai "vuoti di senso".Ciò vale anche per Heidegger. Nessuno nega che ciò comporti fatica, ma per fortuna nessuno passa alla storia della filosofia scrivendo baggianate senza senso. ciao |
12-09-2005, 17.06.08 | #15 | |
Moderatore
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ritornando in tema...
Citazione:
Ciao Viand la faccenda che tu sollevi è abbastanza delicata perchè quando le persone sentono parlare di cose che devono per forza essere accettate, allora iniziano a storgere il naso, e forse a ragione. Ciò che ognuno di noi può aver imparato dalla propria vita è che non v'è nulla di rivedibile, e quindi dichiararsi immuni dallo sbagliare opinione non può che essere segno d'immaturità. Ma mi piacerebbe andare oltre questa banalità, infatti tutto questo è vero ma c'è dell'altro da dire e sarebbe altrettanto immaturo fermarsi qui, all'inizio. Due sono le cose che mi premono in questo momendo di dire: 1) Le nostre discussioni, i nostri dialoghi e, in generale, le nostre pratiche linguistiche, sottengono delle regole più o meno rigide. Chi mai andrebbe a smentire che gli scapoli sono uomini non sposati? E se io, alla domanda "Che giorno è?", rispondessi "Oggi", che possibilità d'errore avrei? E se qualcuno mettesse in discussione che il pedone degli scacchi possa muoversi solo in avanti, di certo non potrebbe aver ragione (altrimenti non sarebbe il pedone degli scacchi). Che cosa voglio dire? Che ci sono delle proposizioni che non sono proprio proposizioni genuine e che hanno tutte le carte in regola per non essere falsificabili. Questa loro peculiarità, però, non è data da fatti misteriosi, magici o metafisici. Nulla di tutto questo. La spiegazione è facile. Queste proposizioni non riguardano il mondo direttamente, ma sono l'ossatura del nostro linguaggio, sono le regole del nostro linguaggio, come noi ci serviamo di esso per comunicare con gli altri. Alcuni chiamano queste proposizioni 'analitiche' e dopo il famoso articolo di Quine (I due dogmi dell'empirismo) le fantasticherie che le riguardavano sono state un po' ridimensionate. D'altro canto uno degli insegnamenti di Wittgenstein (il secondo) è che tali proposizioni - chiamate da lui 'grammaticali' - sono grammaticali in alcuni contesti e in altri ritornano ad essere proposizioni fattuali: quindi è il contesto, cioè i fatti extralinguistici, che ci avvisano se quella che abbiamo di fronte è una proposizione grammaticale o fattuale. (Anche Austin demitizzò le proposizioni analitiche, riconoscendo vari gradi di analiticità.) Comunque, sta di fatto, che vi sono proposizioni che non riguardano il mondo, che ci dicono solo come usare le parole, e che per questo non possono e non devono essere messe in discussione. 2) Non ci sarà certezza matematica su le proposizioni fattuali, ma vi sono gradi di conferma e vi sono gradi di razionalità: questo è un punto di fondamentale importanza. Che io vinca un gioco d'azzardo - se io non imbraglio - ha un grado di possibilità molto inferiore al fatto che io domani respiri dell'ossigeno. Per di più, in stretto rapporto con il grado di conferma, vi sono diversi gradi di razionalità. Infatti, ad esempio, non mi sognerei di mettere in discussione una teoria che ha sempre funzionato, senza averne una potenzialmente migliore e/o solo per il gusto di negarla senza avere la minima intenzione di fornire le ragioni per il mio rifiuto. Tra varie alternative si devono vagliare le varie ragioni pro e contro esse e cercare di fare una scelta su questo (magari anche tendo conto del rapporto potere-esplicativo/economicità, su cui parlavo nel topic sul rasoio d'Ockam, in 'Scienza e Misteri', https://www.riflessioni.it/forum/... ): ovviamente un algoritmo, una procedura, standard e generale per scegliere tra diverse opzioni non c'è, ma penso che sia proprio questo il bello. La risposta non sta in un algoritmo che macina i dati e che poi sceglie la giusta tesi tra le molte concerrenti, ma risiede in un team di ricercatori che continuano a proporre buone idee che vengono testate con altrettante buone idee. epicurus |
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12-09-2005, 17.11.46 | #16 | |
Moderatore
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Citazione:
purtroppo non t'è sfuggiata... La tua spiegazione è stata esauriente: grazie. Una mia precisazione a quello che avevo detto (un mio avvicinamento a te, se vogliamo): più che trovare la chiarezza a tutti costi - cosa che scrissi più sopra e che tu mi critichi - bisogna prontamente poter essere chiari nello spiegare quello che si è scritto: giocare sempre un gioco linguistico come fosse un solitario delle carte non è affatto profiquo. Ultima modifica di epicurus : 12-09-2005 alle ore 17.20.46. |
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12-09-2005, 17.19.15 | #17 |
Ospite abituale
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Certamente non é salutare per nessuno rinchiudersi nelle torri d'avorio della specializzazione estrema.Se pensi a come parlano e scrivono la maggior parte dei medici..Che in certi casi potrebbero semplificare parecchio il lessico. Mentre in filosofia se traduci epistemologia con teoria della conoscenza cambia poco se non capisci il concetto
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12-09-2005, 18.23.27 | #19 |
Ospite abituale
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Non l'avevo visto! Sono un po' stanco, é tutto il giorno che parlo col muro-nemo...
Non ho la forza di leggere ora l'intervento sul rasoio,su cui forse potrei intervenire. Su Quine e le proposizioni analitiche invece sai come la penso, sono d'accordo con quanto dici e ne abbiamo parlato indirettamente ma abbondantemente nel discorso su complessità e realtà (la complessità dei fatti extralinguistici é tale che questi non possono più essere definiti tali, dunque il contesto espone qualsiasi discorso ad una storicizzazione intrascendibile che ne determina la validità.Qui si inserisce il compito, per certi versi infinito, dell'ermeneutica, nonché la conseguente dilatazione del concetto di episteme di cui parlavo prima) |
12-09-2005, 19.35.46 | #20 |
Ospite abituale
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ho letto il thread sul rasoio e la tua proposta é senz'altro valida, a patto di riconoscere che i concetti di potere esplicativo, economicità e quindi di razionalità variano in base al contesto. Dunque plaudo alla citazione di Feyerabend lì presente: "la validità del metodo è comunque legata alla storia"
ammetto di non avere aggiunto molto alla causa |