In che misura è giusto che il dovere influenzi le nostre scelte di vita?
Citazione:
Solo agendo nel modo in cui ci risulta adeguato ed opportuno alle attese di ogni Altro
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Abbiamo, poi, il dovere di agire sempre ispirandoci al principio che il nostro operare dovrebbe equivalere a quello di ogni altro, come se esso obbedisse ad una Legge di Natura, una legge fisica o biologica.
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Quanto ci influenzano le aspettative altrui, quanto è giusto il peso sociale? Quanto ci costa l'approvazione degli altri in termini di libertà e serenità?
E inoltre, il senso del dovere è effettivamente così radicato al punto da far equivalere le azioni di tutti?
Non posso far altro che condividere l'idea secondo la quale sarebbe deleterio impostare la propria vita sulla ricerca della felicità, intesa nella sua accezione di condizione dell'animo tanto magnifica quanto effimera, inaspettata nella premeditazione delle cause e degli intenti che l'hanno generata, e inesorabilmente destinata a svanire nel tempo e a gettarci in un malinconico e doloroso avvilupparsi nel ricordo: "Sarebbe - cito parte di un post di Mary di tempo addietro - come cercare di raggiungere l'orizzonte mettendosi a correre".
Il tempo è forse la cosa per cui io riesca a provare amore e odio allo stesso tempo.
La nostra esistenza si prolunga per un tempo relativamente breve, o lungo, ma dura sicuramente di più dei concitati e bramati attimi di felicità.
Data questa caratteristica, ha pertanto più senso, e ci renderebbe meno infelici, cercare di trovare un equilibrio, una pace euritmica che, grazia alla sua continuità nel tempo, ci permetta di stare sereni. A questo equiblirio concorre anche l'assolvimento dei doveri.
Fermo restando che anche questa sicurezza rischia di lasciarci, credo, ancora più soli, increduli ed incompiuti: “Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole, bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento” (Schopenhauer). Ma forse questa frase si riferisce meglio alla felicità che alla serenità, ed il mio è solo l'atteggiamento di una volpe nei confronti dell'uva.
Per ora credo che non siamo capaci di avere un controllo vero e concreto sulla nostra felicità, anche perchè non ne siamo consapevoli "in tempo reale", ovvero in contemporanea allo svolgersi dell'evento che, a posteriori, scopriamo che ci ha reso felice.
Ma forse ci frega soltanto il desiderio assoluto dell'infinito, dell'eterno e dell'assoluto stesso, nel tentativo di fregare il tempo e di issarci sopra tutto e tutti, per il nostro bisogno di fare mai domo.Spero di sbagliarmi.
P.S.: leibnicht, perdona le mie molestie, ma hai un pvt.