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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 08-12-2004, 19.21.01   #11
Mistico
Utente bannato
 
Data registrazione: 05-11-2002
Messaggi: 1,879
Credo che il dovere sia importante nella misura in cui i benefici che ne derivano, per sè o per gli altri, superano o equivalgono la misura dei nostri sacrifici per adempiervi.

Il dovere, in sè, è un principio e basta. Sta a noi misurare le cose e giudicare quanto fare qualcosa e se farla.

Sacrificarsi solo per un principio è una cosa stupida.

Ciao!
Mistico is offline  
Vecchio 09-12-2004, 12.01.47   #12
leibnicht
Ospite abituale
 
L'avatar di leibnicht
 
Data registrazione: 06-09-2003
Messaggi: 486
In effetti

non mi ero espresso in modo del tutto chiaro.
Non intendevo assumere che il senso del dovere sia radicato in modo equivalente in cciascun essere umano, ma il fatto che "agire secondo il dovere" implica di imprimere alle proprie azioni la neutrale oggettività che esse avrebbero se fossero poste in atto da un Altro.
Agire, cioè, con spassionata neutralità, "come se", dal nostro peculiare punto di vista, ci potesse essere del tutto indifferente il fatto che ad agire fosse materialmente la nostra presenza o quella di chiunque altro: il che, beninteso, varrebbe allo stesso modo per quel particolare "chiunque altro".

P.S.: me ne sono accorto ora e risponderò senz'altro.
leibnicht is offline  
Vecchio 10-12-2004, 00.13.31   #13
r.rubin
può anche essere...
 
Data registrazione: 11-09-2002
Messaggi: 2,053
mi piace molto la tua idea leibnicht. collocandomi nell'orizzonte di "ogni altro", o dell'"umanità" possiamo dire, io sento il mio io come una parte dell'umanità che mi comprende, senza fondermi totalmente in essa, ma avvalorato da loro in quanto io, particolare, originale come un uomo con le sue proprie potenzialità, che sono da loro tutti dotate di valore, perchè per loro importanti, e di riflesso da me valorizzate, curate, desideroso di realizzarle, perchè consapevole che si tratta di una realizzazione di cui io sono padre, ma il cui figlio appartiene all'umanità intera. immerso in un'atmosfera di quieta condivisione, di apertura al mondo, di responsabilità umana, mi sento veramente sereno.
infatti non sento l'angustia della mia e solo mia, definitivamente sola, responsabilità, non mi preoccupa la mia azione, perchè quell'azione non è più propriamente mia, perchè consigliata dall'umanità stessa in coro, che se fosse al posto mio farebbe "così", e così devo fare, così faccio... e se sbaglio? è un errore umano: la responsabilità,nell'io chiuso in se stesso, che altro consiglio non ha se non la sua voce nella sua claustrofobica testa, è angustiante come una nube nera che sta sulla mia, solo sulla mia testa, in minacciosa attesa di un mio errore, per potermi scaricare sopra il suo fulmine. ma quando l'umanità stessa ha voce, è come se quella nube desa si estendesse, senza modificare la sua densità, nell'atmosfera terrestre stessa, rarefacendosi fino a sparire nel cielo limpido: il sole dell'umanità mi parla.

ti ringrazio davvero per questo tuo pensiero.

però mi sorge anche un dubbio: l'umanità che io interpello, non è l'umanità vera ovviamente, ma la mia idea di umanità, un'idea che si è formata così nella mia mente, in seguito a molti fattori, ambiente, educazione, esperienze eccetera.

ma pensa all'idea di umanità di un persona che ha interiorizzato, ad esempio, un "Altro" cattivo, che è, sempre per esempio, contento se lui non fa niente, perchè non è capace di far niente, è una nullità, una schifezza che sporca questa superficie terrestre... che consigli potrebbe mai dargli?
r.rubin is offline  
Vecchio 11-12-2004, 00.49.52   #14
r.rubin
può anche essere...
 
Data registrazione: 11-09-2002
Messaggi: 2,053
..mmm, credo di aver frainteso molto nel post precedente, concludendo infine con una questione più psicopatologica che filosofica.
mi lancio quindi in un riepilogo, ma sviluppato, ampliato e lanciato verso nuovi lidi, di quanto espresso da leibnicht (che confido avrà, avendo il tempo e la voglia di leggere, anche la bontà di dirmi: "non capisci un cazxx" oppure "ci hai azzeccato", così come tutti gli altri)


L'azione secondo dovere, sarebbe l’azione ispirata a giustizia universale.
Questa giustizia universale (universalmente umana, e da intendersi come legge per la realizzazione del bene, individuale e sociale (uomo essere sociale), che non prevede, in quanto giustizia, nessun merito alla sua applicazione) afferma il necessario “dover essere per gli altri” di ogni essere umano. Che non significa livellamento delle individualità, ma valorizzazione delle individualità per la valorizzazione della società umana. In altre parole, la realizzazione delle potenzialità individuali è dovuta alla società avvalorantesi di esse, perciò l’individuo realizza le proprie originali potenzialità per metterle al servizio del consorzio umano cui, secondo giustizia, necessariamente spettano.

La realizzazione della giustizia spetta al dovere (e non al volere, come poi spiego), e porta al bene individuale (tra cui la serenità) nonché sociale. Bene individuale, perché valorizzazione di sé attraverso il “dover essere per gli altri”, e bene sociale, cioè arricchimento mediante i contributi individuali.

Il conseguimento della serenità, nel realizzarsi attraverso il “dover essere per gli altri”, avviene tramite l’eliminazione dei sentimenti estremi, narcisismo e sottomissione, indipendenza e dipendenza, di cui è capace quella posizione dell’io.
Se l’uomo è interiorità ed esteriorità-socialità-adattamento all’ambiente, e il suo equilibrio globale è l’equilibrio tra queste due sfere, e questo equilibrio è serenità, ossia armonia tra interiorità ed esteriorità, il narcisismo è squilibrio verso il sé, mentre la sottomissione, l’adesione completamente condizionata alle aspettative esterne, lo è verso gli altri: nel primo caso si tratta di un “essere degli altri per me”, nel secondo un “essere degli altri, per gli altri”, si passa dalla svalutazione della realtà esterna, alla svalutazione della realtà interna. Nel secondo caso è evidentemente irraggiungibile lo sviluppo della propria identità (quindi frustrazione di bisogni interiori e conseguente mancanza di serenità), nel primo l’identità è monca del senso di appartenenza umana, che è significante il vissuto, che risulta quindi insensato (la mia superiorità è divina rispetto alla bassezza di chi mi circonda, che sebbene mi ammiri non può comprendermi, loro non sanno attribuire significato alla mia meravigliosità, insomma, superiorità sprezzante e incompresa, sicuramente non serena), in entrambi i casi non esiste completezza umana, che è interiorità espressa all’interno dell’alterità significante.

È il “dover essere me stesso per gli altri”, a rendere significativa la mia vita. Infatti, in alternativa al “dover essere me stesso per gli altri”, ci sarebbe il “dover essere me stesso per me stesso”, ossia realizzarmi per realizzarmi: ma questo non può bastare a rendere significativa l’esistenza umana, perché il senso della propria vita è nella trascendenza che inserisce la propria attività nella vita più vasta e longeva della comunità: se l’opera dell’individuo non si colloca nella più grande opera collettiva, permanendovi, in modi diversi, oltre la sua morte, allora svanisce assieme alla sua morte, e così, in assenza di ogni comunicazione del proprio sé nella grande mente o corpo dell’umanità, che fosse o non fosse venuto al mondo, non sarebbe cambiato nulla, nemmeno per lui: questo nel caso di un isolamento a-comunicazionale totale. Ma ogni atto individuale comunicato rende sensata la presenza dell’individuo, una presenza tanto più sensata quanto più darà voce alla sua irripetibile identità.

Oltre ad attribuire senso all’esperienza dell’uomo, essere sociale, il “dover essere me stesso per gli altri” evita il rischio del narcisismo: la valorizzazione di se stessi è dovere di ogni uomo, ogni uomo, indifferentemente, ha il dovere di realizzare la sua individualità.

Non sarebbe la stessa cosa il “voler essere me stesso per gli altri”: nel volere si sottolinea l’io, e nell’essere per gli altri di questo io si attiva il narcisismo del merito: se voglio e ottengo ho merito, merito solo mio che mi differenzia dagli altri, che mi rende un uomo speciale diverso dagli altri, e nell'esserlo per gli altri m'aspetto gratitudine. Invece se devo e ottengo non ho merito alcuno, sono un uomo come gli altri, un originale essere sociale come tutti.
Per questo il “dovere”: non obbligo limitante, ma miglior modo possibile di vivere, che si fa legge e dovere per evitare il merito del volere, a cui conseguirebbe lo squilibrio tra i due piatti della bilancia umana, interiorità ed esteriorità.

Citazione:
Messaggio originale inviato da Errabondo
In che misura è giusto che il dovere influenzi le nostre scelte di vita?

Quanto ci influenzano le aspettative altrui, quanto è giusto il peso sociale? Quanto ci costa l'approvazione degli altri in termini di libertà e serenità?

Il problema concreto sorge quando le aspettative esterne contrastano i bisogni interni.
In questo caso bisogna valutare il meglio: mettere a tacere la propria interiorità oppure agire, combattere per affermare il punto di vista interno modificando l’ambiente esterno.
La scelta della seconda possibilità dovrebbe essere subordinata alla previsione di poter in questo modo portare, se stessi e tutti, ad un bene più grande rispetto a quello che si otterrebbe mettendo a tacere il proprio dissenso.
Evidentemente però la previsione è una previsione soggettiva, che inevitabilmente non potrà essere consapevole di tutte le molteplici variabili del reale. A questo punto, secondo me, bisognerebbe ascoltare la propria coscienza e assumersi ogni rischio e responsabilità.
r.rubin is offline  
Vecchio 30-12-2004, 10.15.42   #15
herzog
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Talking caro leib...

Caro leib, leggo solamente oggi questo topic e ti dico...la pensiamo, almeno su questo punto (su alcuni altri mi pare un po' meno), esattamente allo stesso modo...
sottoscrivo riga per riga il tuo primo post di questa discussione

Herzog
herzog is offline  
Vecchio 30-12-2004, 10.26.15   #16
herzog
Ospite abituale
 
Data registrazione: 15-12-2004
Messaggi: 404
Talking rubin

Chiedo scusa per la doppia risposta...è che l'entusiasmo per la condivisione del pensiero con leib non mi ha concesso la pazienza di leggere tutti gli altri post...quindi, rubin, mi è piaciuto molto il tuo ultimo, del quale, pure, condivido in pieno assunti e conclusioni...il dovere, se la ricerca che ci poniamo come fine è quella dell'equilibrio, diventa fattore armonizzante, a sua volta "equilibratore" rispetto ad altre nostre istanze più "avanzate", più "ribelli", eppure tutte umanamente nostre...non ci si può realizzare nel narcisismo, superficiale e sciocco (presunto) amore per la propria persona che non sa e non accetta gli altri a loro volta come persone...dare e ricevere, pretendere da sé stessi sì da, automaticamente, costringere gli altri a pretendere da loro stessi, a dare a loro volta sé stessi...
Herzog
herzog is offline  

 



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