ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
|
Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
29-11-2004, 00.27.38 | #4 |
Ospite
Data registrazione: 21-11-2004
Messaggi: 15
|
Attenzione, io non sto dicendo che la fede razionalmente sperimentabile, ovvero può essere provata con i metodi dell'esperimento. Negare la fede come razionale in questi termini è palese.
Io dico che il logos, il senso originario del discorso razionale, il più ampio poiché abbraccia in sé la totalità delle relazione che si instaurano effettivamente tra la totalità degli enti che si manifestano, abbraccia necessariamente anche la fede, poiché la fede è un qualcosa che si manifesta. Anche la fede fa parte del logos, che indica la comunanza delle cose che si pongono in relazione con le altre cose, e la fede si pone comunque in relazione con molte cose. Su ciò che penso della fede incollo un brano di una risposta a un crdente su un altro forum, io sostenevo che la fede è in realtà conoscenza di Dio, in termini puramente fenomenologici: “Essa [la fede], dunque, costituisce un nuovo modo di conoscere, non nuove conoscenze.” [risposta del credente] La fede è un nuovo modo di conoscere... “modo”, ovvero “misura, regola”. La fede è una nuova misura della conoscenza. Mi chiedo come la fede non possa essere conoscenza quando è nuova misura della conoscenza. Misurare è un atto che implica conoscenza, non si può certamente misurare al buio. A meno che non si dica: “mi fido che la mia misura sia corretta, senza sapere se lo è in realtà, e io mi impongo questa mia misura in ragione di una forza, non di una indagine, ma di un imporre a me stesso al buio una misura di cui mi fido.” Ecco perché la fede è violenza, secondo Emanuele Severino, ad esempio (ma per non gridare allo scandalo occorrerebbe meditare bene sul reale significato della violenza, al di la del senso comune). [mia risposta] A conti fatti, ciò che si manifesta non è mai irrazionale, quando per irrazionale non intendo un'insufficienza statistica legata alla previsione, ma il fatto che qualcosa possa realmente porsi al di fuori di quella ragione minima sufficiente che posseggono le cose manifeste, sia nel pensiero che nella realtà fisica (se si vuole mantenere una dicotomia prettamente cartesiana). |
29-11-2004, 02.22.33 | #5 |
Ospite abituale
Data registrazione: 06-09-2003
Messaggi: 486
|
Capisco il senso del tuo discorso,
synt, ma esso si riflette in un'analisi che va condotta con molta prudenza.
In fine si tratta, infatti, del confronto tra due posizioni filosoficamente "storiche": quella di Abelardo ("Credo quia absurdum") e quella di Anselmo ("Credo ut intelligam"). In Abelardo l'atto di fede si pone interamente al di fuori del dominio della razionalità finita, ossia di quella che, kantianamente, è in grado di operare un ripensamento critico, in ogni "figura" dialettica del suo formularsi in concetti e giudizi. Per Abelardo la fede si pone al di fuori della possibilità di articolarsi in un sistema di pensiero completo, ordinato e coerente, come avviene, ad esempio in Tommaso. Nessuna figura sillogistica può rivelare dio, nè il suo rivelarsi potrà mai essere ritradotto in alcun sillogismo. La posizione di Abelardo è estremamente prossima alla sensibilità filosofica contemporanea: potremmo dire che l'atto di fede, in questa prospettiva, è goedelianamente "decostruttiva" della possibilità stessa di configurare il logos come ordine completo e coerente del mondo. La posizione di Anselmo, non troppo lontana da quella che proponi tu, attribuisce al "credere" un valore fondativo dell'appropriazione razionale della realtà. Ma questa prospettiva gnoseologica assume, tacitamente, come equipotenti il piano del "manifestarsi dell'evidenza" con l'evidenza stessa. Non per nulla ad essa consegue la celeberrima "prova ontologica", che per molti secoli apparve ancora integrabile in un'epistemologia "forte". Il logos è, nella filosofia classica cui fai riferimento, il "ciò intorno a cui" l'intelletto si raccoglie dando corpo a concetti ed organizzandosi in discorso: ritenere perciò il logos intrinsecamente razionale risulta quasi ovvio, pena la perdita di ogni appiglio al pensiero. Ma il grande problema con cui il pensiero contemporaneo si va confrontando è proprio quello di giustificare l'"oggettività" di questa razionalità. Come dice Habermas, in buona sostanza, la validazione, se possibile, di questa oggettività ci porterebbe dritti ad Hegel: Hegel qui genuit Marx e tutti gli altri totalitarismi sistematici e statutari che lo scorso secolo ha sperimentato non solo negli orrori registrati dalla storia, ma anche nella progressiva dissoluzione delle conseguenze teoriche di tale premessa. Il vecchio Kant dei "Prolegomeni..." l'aveva detto. |
29-11-2004, 18.53.39 | #6 |
Ospite
Data registrazione: 21-11-2004
Messaggi: 15
|
Io sono comunque critico nei confronti della fede, non sono un credente. Quello che faccio è far rientrare la fede entro la possibilità di critica e non lasciarla al di fuori della razionalità in modo tale che ne possa essere esente. Non è un atto arbitrario, ma un atto leggittimo, in quanto è reale: si può parlare di fede e tentare un discorso razionale attorno ad essa perché comunque si manifesta e entra in relazione con le altre cose.
Il mio discorso della fede in quanto conoscenza di Dio è un discorso puramente fenomenologico. Il fenomeno della fede si manifesta, quindi rientra nei giochi delle relazioni tra le cose, dunque la fede si concede a quella razionalità propria dei nessi che si vengono a creare tra le cose. Dio è una parola grande, caricatasi nel tempo di molti e troppi significati, ma ciò che vuole l'uomo non necessariamente sarà quello che troverà, se troverà. La mia critica riguarda il piano concreto della fede, la fede in quanto pensato e agente nel mondo. Il Principio (Dio, o come si vuole chiamarlo), se vi fosse, riguarderebbe la necessità propria dell'esistere, quindi non mi occupo al momento del piano metafisico, ma di quello concreto del logos che riguarda tutto ciò che viene ad esistere per capire le relazioni tra le cose che esistono. Per quanto riguarda il discorso su Hegel, mah, non saprei. Il punto è che io faccio un discorso teoretico, non morale. L'evidenza dei nessi che intercorrono tra le cose è quella che è, poi se si vuole vedere uno sviluppo morale hegeliano (o eracliteo, in fondo), questo si può vedere, ma, ripeto, non mi pongo il problema morale quando cerco di definire processi che riguardano la realtà. Dire che il mio discorso porterebbe a Hegel (alla teorizzazione degli eroi cosmici e di Raskolinkov, alla necessità che si erge al di sopra del singolo) comporta valutare ciò che sarebbe bene fare e ciò che non sarebbe bene fare di una verità, per il momento conduco un discorso che esula dalla morale, per onestà di giudizio. Credo che il logos sia prima riconducibile ad Eraclito e dopo, semmai ad Hegel. Ma le conseguenze morali del pensiero di Eraclito ed Hegel al momento non sono ciò che sto considerando. Il logos non si configura. Il logos è la stessa configurazione. Ovvero, è il termine che accomuna tutte le cose che si rendono disponibili al pensiero e ad essere pensate, il luogo entro cui si può esercitare il pensiero e l'argomentazione. |
29-11-2004, 23.42.50 | #7 |
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
Messaggi: 2,725
|
Synt, penso anch'io che il discorso religioso di possa, e si debba, criticare grazie alla logica.
Una parte della religione è assolutamente fuori dalla portata sperimentale, quindi non è indagabile con la razionalità scientifica (o sperimentale), ma deve comunque sottostare alla logica: il religioso non dovrebbe sparare contraddizioni a più non posso. Se questo è quello che tu affermi, lo condivido, anche perchè si dovrebbe dare la legittimità al campo 'religione' di essere illogico, mentre lo si vieta agli altri campi? |
30-11-2004, 01.31.37 | #8 |
Ospite abituale
Data registrazione: 06-09-2003
Messaggi: 486
|
Ma la mia non era una contestazione,
sebbene un semplice precisare.
Sul piano teoretico, ovviamente. Ti faccio osservare che l'"oggettività" della razionalità, ossia la presupposizione di un rispecchiamento NECESSARIO tra l' articolazione logica del discorso e l'ordine "rivelato" della realtà attraverso la conoscenza, è un cardine comune ad ogni idealismo moderno. Tale posizione risulta indecisa al sentire contemporaneo, ed è per questo che la logica hegeliana appare oggi esposta ad una specie di sentore metafisico. Comprendo perfettamente ciò che intendi dire, ma ti invito a considerare con attenzione il fatto che il "fenomeno fede" non deve necessariamente porsi sullo stesso piano gnoseologico di "ciò che per fede si rivela fenomenicamente". Per meglio dire, cercherò di spiegarmi meglio. I due piani sopra citati non collimano ontologicamente, a meno che il secondo di essi non venga, come in Anselmo, supposto come ancillare e inerente a quello ontologico nello stesso modo del primo. Cioè, se assumo che l'"ATTO DI FEDE" si co-implichi nella Rivelazione, in quanto fenomenologia della fede stessa, io, quasi inavvertitamente, assumo che l'uno e l'altra ineriscano alla stessa radice ontologica. Ma, così facendo, dò per acquisito proprio ciò che intendevo convalidare, compiendo la più classica delle petitiones principii. A meno che non possa disporre di un impianto metafisico che mi consenta di operare tale passaggio attraverso un'unica inferenza induttiva. Su questo limite e su questa constatazione, tuttavia, la ragione teoretica non può che sospendere il giudizio e fermarsi. |
30-11-2004, 23.22.39 | #9 |
Ospite
Data registrazione: 21-11-2004
Messaggi: 15
|
x Epicurus
Non solo la fede "dovrebbe" rientrare nelle possibilità della critica logica, ma vi rientra in realtà. Il fenomeno fede intendo, ovvero un qualcosa che si mostra nelle relazioni e possibile di valutazione. x Leibnicht Beh, potrei ripetere quanto ho appena scritto a Epicurus. Il fenomeno fede rientra nel logos, fenomenologicamente. Dunque è valutabile dalla logica. Per quanto riguarda la differenza ontologica tra fenomeno e realtà che potrebbe essere riferita al fenomeno, ti posso pure dire che questa posizione comporterebbe che la realtà oltre-fenomenica sia totalmente altra dal fenomeno (se non fosse così, sarebbe essa stessa fenomeno). A questo punto ciò che si mostra al fedele sarebbe sostanza prettamente umana (Feuerbach e Karl Barth). Dio sarebbe realmente l'inconoscibile, la cosa in sé. Ma se è totalmente inconoscibile, come può l'uomo solamente concepire Dio? Karl Barth dice che l'unica possibilità dell'uomo di essere venuto a contatto con Dio è nelle Scritture, la parola di Dio direttamente donata agli uomini per cui si rivela improvvisamente all'uomo come dal nulla... dunque, dico io, l'uomo antecedente alla scrittura non concepiva Dio... non il Dio cristiano... eppure i cristiani sostengono oggi che la molteplicità degli oggetti di fede propri delle diverse religioni in realtà fa riferimento a un unico Dio. |
01-12-2004, 10.04.43 | #10 |
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
Messaggi: 2,725
|
synt, penso che lo spirito di questo tuo topic sia pressapoco quello di bert, quando ha aperto quello sulla filosofia (analitica) della religione: io ho letto quel capitolo (del libro 'Storia della filosofia analitica), e quel capitolo e` ricco di spunti...
|