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Vecchio 18-10-2004, 09.35.46   #11
bert
Ospite abituale
 
Data registrazione: 01-06-2004
Messaggi: 105
ciao cicuta.

Ho due osservazioni veloci, una di queste un po' polemica, giusto per dare pepe a questo argomento, non ti pare?? eh eh eh eh...

La definizione di free è molto complessa. Immagino avrai letto il libro di Derek Beily, e sarai d'accordo con me nell'ammettere che il free europeo, come ingfenerale tutta la musica europea, ha toni e contenuti diversi.

Ti dici che secondo te il valore della musica è libertà. Questa posizione posso anche condividerla, ed è sicuramente legittima.

Poi affermi che il free jazz è libertà. E poi sembra che tu contrapponga a questa musica, quella dei mitici "4/4". Scusami ma trovo tutto questo non considivisibile, e un po' "veloce".

Secondo te la forma-sonata è uno strumento di costrizione? tu credi che scrivere il fa minore possa essere un vincolo alla libertà espressiva? Tu pensi che scrivere il 3/4 posso essere riduttivo? ti invito a consultare, solo a titolo di esempio, la partitura della sagra della primavera di Stravinsky, e ti invito a contare quante volte ed in che modo il genio russo cambia ritmo e metro della composizione. Oppure pneso alla costruzione ritmico armonica nell'ultimo beethoven. Permettimi, questa cosa mi sembra un po' riduttiva.

E forse invece è libero Peter Brotzmann quando fa 10 dischi tutti uguali? Ho seguito per anni il free jazz, e credo che invece molta di quella musica sia più ingessata. Certo, come in ogni musica ci sono autori ed interpreti diversi, ma non vedo prorpio nel free tutta questa libertà. O meglio, la questione è che io non farei contrapposizioni di libertà, ed in particolare non metterei sul piedistallo il free.

Vedi, la cosa che non mi piace è quell'atmosfera da "musica giusta" che a volte si respira nei concerti e nei festival. Non penso proprio che uno come Steve Reich (un compositore minimalista americano) sia meno libero di Evan Parker (un sopranista free inglese). Insomma, non è qui il punbto secondo me.

Che ne pensi?


Citazione:
Messaggio originale inviato da Marco Cicuta


[...] E con questo vengo al punto, sul valore della musica. La mia posizione è che il valore della musica è la libertà. E qui la critica centra poco. La musica ha valore non conoscitivo, come diceva Adorno, ma etico, quando il musicista afferma la sua indipendenza dai clicheés e dagli schemi, della tradizione come della contemporaneità. Per schemi intendo gli standard nel jazz, i logori e abusati giri armeonici della musica pop, e persino la guida della partitura. Secondo me il valore più alto nella musica è l' improvvisazione: nella misura in cui i musicisti sul palco non sono eterodiretti, ne dai clicheé, nè dai gusti del pubblico, realizzano un bell' ideale di umanismo, in cui gli esseri umani creano qualcosa di bello dal nulla, per se e per chi sta loro intorno, senza essere diretti da fattori esterni stabiliti. Creano i tirmi e le tensioni senza essere vicolati ai 4/4 e alla pulsazione regolare, creano le durate dei brani in modo libero e a volte persino casuale, tanto è vero che spesso si legge sulle loro facce lo stupore di aver chiuso un pezzo tutti insieme così bene. Creano i ruoli, e se li scambiano, in pura fratellanza. Dialogano senza gerarchie, o con gerarchie variabili. Collego queste sensazioni all' idea di libertà. E all' amore e al rispetto per l' umanità e il prossimo, nientemeno...

Ho sentito per radio un musicista, non so chi, dire: the main thing is that everytime you play, you're trying to save a life. Every time you play, a little kid in india is been made stronger by the vibration of the music. E concludeva che qualunque cosa fai devi metterci tutta l' intenzione in questo senso, e quindi non si tratta soltanto di jazz o di diversi stili, ma c'è molto di più ...
Il mio giudizio non è che veramente la musica salva i bambini indiani, ma che questa è la profondità di senso in cui il valore della musica può essere definita. Una tentativo libertario, mistico, un' intenzione di amore serietà e ricerca libera: proprio come meditations.

Ovviamente poi bisogna anche saper suonare, senno' ....

ciao da Cicuta
bert is offline  
Vecchio 18-10-2004, 11.59.04   #12
Marco Cicuta
Ospite
 
Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 14
ciao bert,

in effetti penso che bisogna specificare meglio di cosa parliamo.
A sostegno della tua tesi, io sono un appassionato ascoltatore di bach, cosa c'entra bach con la mia idea di libertà in musica? e con la limitatezza del 4/4?

Io giudico la musica, attribuendole valore secondo i miei parametri, se è musica attuale, non se è musica del passato.
Bach, Strawinskj, Beethoven, hanno un enorme valore, per la libertà delle fuge, per la libertà ritmica, per la libertà sonatistica, ma non credo che prenderemmo in seria considerazione chi oggi scrivesse una sonata classica.

In questo senso, penso che oggi, scrivere o suonare in fa minore, 4/4, o suonare un anatole, o una ballad come ben webster, sia molto riduttivo. Tutte tecniche importantissime, ma cosa significa riproporle?

Se mi si chiede di astrarre e definire un criterio per la musica che oggi viene suonata, trovo più aperta la musica di broetzmann, pur minoritaria.
Aperta rispetto a cosa? aperta rispetto ai templi della conservazione musicale italiana, a tutti gli spazi culturali italiani che, e mi limito al jazz, come ricettori delle spinte nuove e provocatorie del jazz sono rimasti agli anni '60, tipo siena e umbria jazz, la civica di intra a milano, la rivista musica jazz, i neo nascenti locali blue note. tutti gli spazi ufficiali di formazione e di fruizione.

Il prodotto di tutta questa opera di conservazione culturale fa si per esempio che i giovani musicisti siano formati con i paraocchi, che passino la loro formazione su pattenr e standard di charlie parker, e veramente poco più. Schemi armonici e ritmici veramente vecchi.


Che cosa intendi con atmosfera da musica giusta? ad esempio io trovo la stessa cosa in tutti quei luoghi istituzionali che ti ho citato. Questo vuol dire forse che ogni circolo musicale ha la sua "musica giusta". Mi sembra normale.

In rapporto a questo, a questa contemporaneità, per me Peter Broetzmann e compagnia propongono ancora una musica più aperta. Che poi lui faccia da 30 anni sempre la stessa musica, è per lo più un problema suo, io mi limito a non comprarne i dischi.

Per quanto riguarda compositori come Reich, Wim Mertens e Philipp Glass, quindi attuali, non li trovo particolarmente stimolanti, perchè non riesco a apprezzare il dettaglio più dellì improvvisazione.

Dopo questo pippone , che lascia un pò il tempo che trova, forrei tirare le fila per non far sembrare questo intervento una sfilza di mi piace non mi piace.

Il punto 'filosofico' che propongo è che se vogliamo definire il valore della musica (o se vogliamo giudicare che tipo di valore attribuiamo), dobbiamo dividere il panorame musicale in attuale e passato.
Per esempio, nel caso del mio concetto di libertà in musica, sarebbe assurdo mettere sotto la stessa lente monteverdi, mahler, strawinsky, mingus e albert ayler.
Questo era il tipo di approccio di Adorno, che giudicava tutto in base al parametro compositivo di Beethoven.

Pensi che sia oggi necessario difendere la ricchezza ritmica della sagra della primavera? io trovo che questo appartenga al passato della musica, anche se conserva, come tutta la musica, il suo potere emozionale.

a presto, spero...

cicuta
Marco Cicuta is offline  
Vecchio 20-10-2004, 10.19.50   #13
bert
Ospite abituale
 
Data registrazione: 01-06-2004
Messaggi: 105
Ciao Marco,

ti rispondo brevemente.

La questione del free jazz è troppo complicata. Anche perchè se è effettivamente possibile dare una connotazione politica al jazz free nero americano, non è possibile dire altrettanto di altre realtà. Penso al free europeo, ma penso anche a John Zorn, a fred frith, insomma un casino. Per non parlare della recente svolta elettronica (penso a Fannez, agli italiani Ossatura)

trovo quindi troppo complicato sfruttare il free per questo discorso.

Il discorso sulla libertà, scusami, ma è fumoso. Ho visto due anni fa Alan Silva suonare con Parker, ed entrambi avevano davanti a loro un bel leggio con un una bella partitura. Certo, mica scrivono come faceva Palestrina, ma bisogna capire cosa si intende per libertà.

Potresti dire cjhe la musica di john Cage non sia libera? eppure è notata spesso al millesimo, benchè completamente casuale. Oppure al contrario Boulez "suona" estremamente casuale, eppure è il massimo del determinato/deterministico.

Inoltre non trovi che questo concetto di libertà suppongo una specie di giudizio morale? (ti prego non fraintendermi su questo "morale"...:-)

Infine, tu dici che i musicisti free non sarebbero eterodiretti. Eppure il suono del "free" è un certo suono, e non un altro, e la mia impressione ai festival è che ci sia un "pubblico" che vuole qualcosa di ben preciso.

Insomma, senza star qui a fare distunguo su distinguo, penso che sia un po' forzata questa contrapposizione.

Io penso che la questione stia per primo nella "mitica" onestà intellettuale, che in musica consiste nel essere artisticamente se stessi nel proprio contesto, e dialogare. Viviamo in un era in cui esistono comunità di "ascolto" che sono autonome, e che si differenziano per il modo e per la concezione musicale. Non esiste temo una concezione più "basic" e quindi applicabile in generale. Esistono invece molte idee, ed ognuna è portata avanti in un particolare contesto musicale.




Citazione:
Messaggio originale inviato da Marco Cicuta



In riferimento a bert: "perchè trovo difficile ascoltare "meditations" di coltrane e pensare alle insurrezioni contro i bianchi megli stati uniti, penso invece ad altre cose, a quella spiritualità libera ed unica che coltrane riusciva a trasmettere con la sua musica."
Allora, insurrezione contro i bianchi non è il termine giusto per definire l' autoaffermazione degli afroamericani, insurrezione a livello politico ha proprio un altro significato. So che queste continue precisazioni terminologiche mi rendono antipatico, ma tant'è...Poi forse non riesci a ascoltare meditations pensando a questo aspetto (ma magari ascension si, è piu' free e piu' collettivo), forse perchè non sei un musicista afroamericano dell' epoca. Ma se leggi le dichiarazioni dei musicisti neri di jazz, rimani stupito per la loro cosapevolezza politica, intrecciatissima a quella artistica e religiosa, e intendo di tutti i musicisti, non solo max roach e archie shepp. Pero' questo valore del free a noi non viene trasmesso con facilità delle case discografiche, che preferiscono puntare sulla novità stilistica o la maestria strumentale. Su quello che pensano i neri, si tace. Consiglio a tutti i cruccoparlanti un libro in tedesco di interviste a vari musicisti jazz free e no, si chiama Respekt! di Christian Broecking. Veramente illuminante, le interviste vertono su come si è modificato il rapporto della musica nera free dagli anni 60 a oggi, e gli artisti mostrano una profondità di analisi e di impegno che stupisce. Ornette, Rollins, James Carter, Sam Rivers, il grande William Parker...

E con questo vengo al punto, sul valore della musica. La mia posizione è che il valore della musica è la libertà. E qui la critica centra poco. La musica ha valore non conoscitivo, come diceva Adorno, ma etico, quando il musicista afferma la sua indipendenza dai clicheés e dagli schemi, della tradizione come della contemporaneità. Per schemi intendo gli standard nel jazz, i logori e abusati giri armeonici della musica pop, e persino la guida della partitura. Secondo me il valore più alto nella musica è l' improvvisazione: nella misura in cui i musicisti sul palco non sono eterodiretti, ne dai clicheé, nè dai gusti del pubblico, realizzano un bell' ideale di umanismo, in cui gli esseri umani creano qualcosa di bello dal nulla, per se e per chi sta loro intorno, senza essere diretti da fattori esterni stabiliti. Creano i tirmi e le tensioni senza essere vicolati ai 4/4 e alla pulsazione regolare, creano le durate dei brani in modo libero e a volte persino casuale, tanto è vero che spesso si legge sulle loro facce lo stupore di aver chiuso un pezzo tutti insieme così bene. Creano i ruoli, e se li scambiano, in pura fratellanza. Dialogano senza gerarchie, o con gerarchie variabili. Collego queste sensazioni all' idea di libertà. E all' amore e al rispetto per l' umanità e il prossimo, nientemeno...

Ho sentito per radio un musicista, non so chi, dire: the main thing is that everytime you play, you're trying to save a life. Every time you play, a little kid in india is been made stronger by the vibration of the music. E concludeva che qualunque cosa fai devi metterci tutta l' intenzione in questo senso, e quindi non si tratta soltanto di jazz o di diversi stili, ma c'è molto di più ...
Il mio giudizio non è che veramente la musica salva i bambini indiani, ma che questa è la profondità di senso in cui il valore della musica può essere definita. Una tentativo libertario, mistico, un' intenzione di amore serietà e ricerca libera: proprio come meditations.

Ovviamente poi bisogna anche saper suonare, senno' ....

ciao da Cicuta
bert is offline  
Vecchio 27-10-2004, 06.58.14   #14
neman1
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Dall'altra parte del mondo ( e tempo) invece...

Monofonia ed eterofonia (assenza di armonia e contrappunto)

Come è noto una componente fondamentale della musica occidentale è costituita dall'armonia, cioè dall'uso deliberato e sistematico di suoni contemporanei di altezza diversa secondo una ben precisa sintassi che assegna ai diversi intervalli e accordi funzioni strutturali determinate all'interno del brano. L'armonia è stata oggetto di studio teorico a partire dal XV secolo (Johannes Tinctoris e la polifonia fiamminga) ed è stata successivamente sviluppata nella musica barocca e classica fino a diventare un elemento portante della struttura generale dei brani, secondo quell'insieme di convenzioni e regole che costituiscono il linguaggio della tonalità. Anche quando, dalla fine del XIX secolo, la tonalità è stata messa in dubbio o rifiutata, ciò non è avvenuto attraverso una rinuncia all'armonia, ma solo tramite un cambiamento delle convenzioni che ne regolano l'uso (atonalità, dodecafonia, ecc.).

Al contrario la musica tradizionale giapponese manca completamente di dimensione armonica ed è basata principalmente sulla monodia, cioè la sua struttura è legata alla successione orizzontale (temporale) delle note; in generale ciò non significa che in essa non si verifichi mai l'incontro di note simultanee di altezza differente, ma questo fatto non costituisce un elemento importante del linguaggio o della struttura del brano nel senso sopra descritto.

Un fenomeno molto frequente nella musica giapponese è costituito dall'eterofonia, che si verifica quando strumenti diversi (o strumenti e voci) eseguono la stessa melodia; in tali casi solitamente i diversi strumenti introducono nella comune linea melodica differenze più o meno grandi di tempo (anticipi o ritardi) o di intonazione o abbellimenti e diminuzioni (spesso legate alle diverse possibilità tecniche dello strumento). In questo modo, anche se in linea generale tutti gli strumenti eseguono la stessa melodia, si verificano frequentemente incontri di note diverse e quindi il risultato viene descritto con il termine di eterofonia, non potendosi parlare di unisono in senso proprio ma neppure di vera polifonia né di armonia (in quanto manca la ricerca deliberata di accordi predeterminati).

Tra gli altri esempi di sovrapposizione di suoni di altezza diversa che si possono incontrare nella musica tradizionale giapponese possiamo citare:

gli accordi dello shô che costituiscono il sottofondo armonico del gagaku;
le figurazioni ripetute simili ad un ostinato dello strumento di accompagnamento (spesso lo shamisen) in molti brani di musica popolare.
In entrambi i casi siamo però molto lontani dal concetto di armonia occidentale, in quanto manca completamente la funzione dinamica e strutturale che la successione di accordi ha nella musica europea, attraverso l'alternanza di tensione (dissonanza) e rilasciamento (risoluzione della dissonanza). Al contrario gli esempi sopra citati (e in modo particolare gli accordi dello shô nel gagaku) tendono a creare un sottofondo statico, che non segue la logica dell'evoluzione temporale della melodia ma vi sovrappone uno strato sonoro quasi cristallizzato che sembra avere soprattutto una funzione di arricchimento timbrico. Analogamente sembrano mancare completamente di finalità armoniche le esecuzioni in canone delle melodie del gagaku che si incontrano a volte nei preludi di bugaku.

Nella musica giapponese è anche rara la polifonia, cioè l'esecuzione simultanea di due o più melodie differenti. Un genere che almeno parzialmente costituisce eccezione da questo punto di vista è il sôkyoku, nella cui evoluzione storica sembra di poter scorgere uno sviluppo che, a partire dalle composizioni essenzialmente monodiche di Yatsuhashi Kengyô, arriva a forme di polifonia sempre più complesse (sôkyoku in stile kaede, kyôryû tegotomono, rinascimento del sôkyoku e Meiji shinkyoku); esemplare in questo senso è il brano Godanginuta di Mitsuzaki Kengyô (vedi Esempio musicale 18). Anche in questo caso si tratta però di una polifonia che, diversamente dalla polifonia occidentale, non si basa sull'armonia (è una "polifonia di tipo giapponese", secondo le parole di Hoshi Akira).

Forse collegata alla mancanza di armonia e polifonia è la mancanza di strumenti bassi nella musica giapponese, la quale si svolge tutta su un registro che ha un'estensione simile a quella della voce umana. È da notare a questo proposito che alcuni strumenti di registro basso (come lo u e lo hichiriki basso) erano stati importati ed utilizzati in Giappone durante il periodo Nara, ma sono poi rapidamente caduti in disuso.

Naturalmente tutte queste considerazioni si applicano alla musica composta prima dell'incontro con la musica occidentale e del suo assorbimento; infatti a partire dagli anni '20 del XX secolo non solo il linguaggio armonico europeo comuncia ad essere utilizzato nella musica giapponese, dando origine ad una musica che non è più solamente giapponese ma che non può neppure essere considerata semplice imitazione della musica occidentale, ma vengono anche creati nuovi strumenti musicali (come il jûshichigen) per far fronte alle nuove necessità tecniche che tale evoluzione comportava.


dal sito :
http://www.hogaku.it/introduzione/tecnica.html

Ciao
neman1 is offline  
Vecchio 16-02-2005, 11.11.08   #15
bert
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x marco cicuta

ciao, a proposito di adorno ho appena letto un suo saggio-commento all'opera di Weill "Ascesa e caduta della città di Mahagonny". La cosa che non ho molto capito ma che mi colpisce è la sua visione (letta adesso un po' miope) del teatro di Brecht-Weill come di una specie di restaurazione finto modernista, a differenza di, a detta sua, Schoemberg, visto invece come unico "paladino" del rinnovamente assoluto. Cosa ne pensi?
bert is offline  

 



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