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Parte N.2 :
L'analisi della proliferazione su scala mondiale di catene di fast-food, parchi di divertimento, club-vacanze, ecc., ha suggerito al sociologo Ritzer di identificare la globalizzazione con la Mcdonaldizzazione. Ritzer è convinto che la Mcdonaldizzazione non si limiti alla ristorazione ma sia ormai estesa "alla scuola, il mondo del lavoro, i viaggi, l'alimentazione, la politica, la famiglia", ovvero ad ogni settore della società. Ritzer definisce la Mcdonaldizzazione come un processo di omologazione e spersonalizzazione che con i suoi prodotti occupa un posto di primo piano nella cultura di massa.
Gli osservatori anglosassoni degli scenari globali, cresciuti alla scuola della cultural theory, hanno preso le distanze dalla teoria della "McDonaldizzazione" di Ritzer. Gli autori della cultural theory, quali Robertson e Appadurai, usano il termine glocalizzazione per indicare il processo di fusione tra globale e locale in cui le dinamiche economiche, politiche e culturali si sviluppano.
Roland Robertson fa un essenziale passo in avanti. Egli sottolinea l’"ampiezza e la profondità" con le quali si è affermata nella coscienza comune "la consapevolezza che il mondo intero è ormai un solo luogo". Per Robertson la globalizzazione in atto e la globalizzazione appresa, riflessa dai mass-media, sono due aspetti dello stesso processo. La produzione di questa riflessività simbolico-culturale della globalizzazione è perciò la questione chiave della sociologia della cultura della globalizzazione. La nuova conditio humanitatis consiste quindi nell’attenzione desta e nella consapevolezza della globalità e fragilità di questa conditio humanitatis alla fine del xx secolo. In questo senso la globalizzazione non mira solo alla "oggettività delle crescenti interdipendenze". Piuttosto, bisogna chiedersi e indagare quale aspetto assuma il mondo nella produzione transculturale di modi di essere e di simboli culturali. La globalizzazione culturale contrasta l’identificazione dello Stato nazionale con la società nazionale, producendo o facendo incontrare in una dimensione transculturale molteplici stili di comunicazione e di vita, attribuzioni, responsabilità, rappresentazioni di sé o di altri, di gruppi ed individui. Elisabeth Beck- Gernsheim lo ha dimostrato usando come esempio i matrimoni e le famiglie transculturali, Jürgen Habermas ha parlato già alcuni anni fa della "nuova opacità", Zygmunt Bauman parla di "fine della univocità".
Il locale e il globale, argomenta Robertson, non si escludono. Al contrario, il locale deve essere compreso come un aspetto del globale. Globalizzazione significa anche l’unirsi, l’incontrarsi reciproco di culture locali, che in questo clash of localities devono essere ridefinite nei loro contenuti. Robertson propone di sostituire il concetto fondamentale di globalizzazione culturale con glocalizzazione, una fusione tra "globalizzazione" e "localizzazione". Questa sintesi di parole, "glocalizzazione", implica un assunto - l’assunto della cultural theory - e cioè che l’idea di poter comprendere il mondo presente, ciò che in esso declina o si viene affermando, senza misurarsi e riflettere su concetti come politics of culture, cultural capital, cultural difference, cultural , appare assurda. Non è esagerato affermare che la frattura che separa la nuova "sociologia della globalizzazione" intonata alle tendenze culturali, per esempio, dai vecchi presupposti della world-systemtheory, sta proprio in questo. Per essere ancora più precisi : la "cultura globale" non può essere intesa staticamente, ma solo come un processo contingente e dialettico (e per questo non riducibile economicisticamente ad una logica del capitale apparentemente univoca), secondo il modello della "glocalizzazione", nella quale elementi contraddittori sono compresi e decifrati nella loro unità. In questo senso si può parlare di paradossi delle culture "glocali". È importante il risvolto metodologico-pragmatico di questo assioma.
La globalizzazione - apparentemente ciò che è enormemente grande, ciò che è all’esterno, ciò che alla fine arriva e schiaccia tutto il resto - può essere colta nelle piccole cose concrete di tutti i giorni, nella propria vita, nei simboli culturali che portano tutti la sigla del "glocale". Tutto ciò può essere inteso anche così: solo come ricerca culturale glocale (ricerca sull’industria, sulla disuguaglianza, sulla tecnica, sulla politica) la sociologia della globalizzazione diviene empiricamente possibile e necessaria. Ma cosa significa, nel contesto della cultural theory, questo termine che improvvisamente torna alla ribalta, "dialettico" dal quale a suo tempo il pensiero filosofico aveva preso congedo? Cosa si intende con i "paradossi" della globalizzazione culturale, se questa viene compresa, analizzata come flusso (flow)? Universalismo e particolarismo.
In base a quanto s’è detto, l’universalizzazione e l’unificazione su scala mondiale di istituzioni, simboli e stili di comportamento (per esempio McDonald, i blue jeans, la democrazia, le tecnologie dell’in formazione, le banche, i diritti umani ecc.) e la valorizzazione e riscoperta, anzi la difesa delle culture e delle identità locali (islamizzazione, rinazionalizzazione, il pop tedesco e il rai nordafricano, il carnevale africano di Londra e il würstel bianco Hawaii ) non costituiscono una contraddizione. Piuttosto - per prendere l’esempio dei diritti umani - essi in primo luogo vengono affermati in pressoché tutte le culture come diritti universali e, in secondo luogo, come tali vengono spesso affermati e interpretati in maniera assai differente, in relazione ai vari contesti.
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