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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
25-04-2015, 12.43.23 | #4 | |
Moderatore
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Riferimento: Ignorare Qualcosa, Non Significa Ignorare Cosa Quel Qualcosa Non Puo' Essere.
Citazione:
Ma i gioco che facevi trova ragione nella logica dialettica per la quale il positivo dell'ente è perfettamente definito solo dalla totalità del suo negativo. L'ente è pertanto dato dall'estensione di quell'insieme i cui elementi si presentano tutti come negati, con l'eccezione dell'ente stesso. Se isolassimo astrattamente questa totalità negativa e la tenessimo separata avremmo il niente come ente, ossia la contraddizione assoluta. La totalità negativa può quindi esprimere sia il niente che l'ente, ossia sia la contraddizione assoluta che il suo opposto, dunque l'assoluta certezza dell'ente come esistente e l'impossibilità di ogni ente di essere e diventare niente. Questo dovrebbe sicuramente valere per ogni ente proprio in quanto tale, non solo per quel particolare ente che è Dio, alla luce di una pura ontologia logica dell'essere ogni ente nella sua specifica diversità da ogni altro ente è del tutto equivalente nel non poter mai essere niente, ossia nel non poter mai essere un'autocontraddizione e pertanto non ha necessità di un super ente oltre se stesso che glielo garantisca. |
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25-04-2015, 13.51.34 | #5 |
Nuovo ospite
Data registrazione: 27-08-2014
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Riferimento: Ignorare Qualcosa, Non Significa Ignorare Cosa Quel Qualcosa Non Puo' Essere.
Acquario69 scrive: "Secondo me l'errore comune,diventato dogma e' quello di ritenere che la nostra identità sia qualcosa di "separato" da tutto il resto mentre l'essenza sta nel fatto che non può esistere ne separazione in quanto tale,ne tantomeno tempo e spazio e la nostra vera "mente" non e' all'interno della nostra scatola cranica ma e' non localizzata."
Sono d'accordo. Per come la vedo io, la nostra "identità" a livelo di SE' noumenico e sovrapersonale, non è un qualcosa di "separato" da tutto il resto....e non è dentro il nostro cervello. Però, la nostra "identità" a livello di individualità fenomenica, e strettamente personale, è sicuramente un qualcosa di "separato" da tutto il resto; perchè lo sperimentiamo in ogni momento, anche in questo interessante dibattito. Poi Acquario69 scrive "Si potrebbe parlare di anima o spirito,per dargli un nome qualsiasi,che serve ovviamente solo a dare un idea del "fenomeno"" Io, semmai, direi che si può parlare di anima o spirito, solo per dare un idea del "noumeno", che sottende tutte le individualità, come il mare sottende le onde, e l'UNO, tutti i numeri. Per concludere, noi, "uti singuli" (come individui con nome e cognome), siamo sicuramente solo corpo e cervello; un episodio transeunte. Ma questo non esclude affatto (anzi, secondo me, implica) che ci sia anche qualcosa di "immanente" o "trascendente" a tutti noi. Quello di cui sono sicuro, comunque, per esperienza diretta e comune, è che noi, come "individui con nome e cognome", non c'eravamo prima di nascere, nè ci saremo dopo. Non so cosa ci sarà dopo...ma, quello che non ci sarà, è facile arguirlo: nè scorie azotate prodotte dall'intestino, nè pensieri semanticamente strutturati, prodotti dai centri di Broca e Vernicke. |
25-04-2015, 14.01.40 | #6 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Ignorare Qualcosa, Non Significa Ignorare Cosa Quel Qualcosa Non Puo' Essere.
April scrive: "Potresti elencare cose grandi all'infinito, restringendo il campo di soluzioni a un insieme finito di oggetti (tutte le cose più piccole di una mano) e non sarebbe male come inizio. Da qui si può ragionare in termini probabilistici e tentare di arrivare a una soluzione."
Sono d'accordo, in via di principio; anche se non mi sembra di ragionare in termini meramente probabilistici, quando arguisco che una una casa di cemento e mattoni, nel pugno di un bambino, proprio non ci può stare. Poi April scrive: "Il problema sorge quando il bambino tiene in mano un oggetto a te sconosciuto. In quel caso, l'oggetto non rientra nell'insieme di soluzioni che tu ritieni possibili, quindi, potresti commettere un grave errore." Non sono d'accordo. Il bambino tiene, sì, in mano un oggetto a me sconosciuto...ma ho sicura conoscenza di alcuni oggetti, che, in mano, certamente lui non può tenere. Senza tema di errore alcuno...accetto scommesse! E' conoscenza negativa, per esclusione; ma sempre conoscenza è (come sosteneva Sherlock Holmes). |
25-04-2015, 14.48.22 | #7 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Ignorare Qualcosa, Non Significa Ignorare Cosa Quel Qualcosa Non Puo' Essere.
Caro Maral...sarò onesto: non ho capito molto di quello che hai scritto; mi suona più criptico del responso della Sibilla Cumana: "ibis redibis non morieris in bello.".
Che significa? Io l'avevo messa giù semplice...ma tu la butti proprio sul complicato. Come disse Apollo a Tanato, nell'Alcesti di Euripide: " Io non sapevo che tu sì loico fossi" (formula ripresa anche da Dante, I nel Canto XXVII dell'Inferno). Ma, a parte gli scherzi, credo che tutto dipenda dal fatto che la mia logica giuridica da avvocato, non è all'altezza della tua; la quale, tecnicamente, sotto il profilo filosofico, è molto al di sopra della mia competenza (dico sul serio). E bada bene che non sto ricorrendo al "trentunesimo strategemma dialettico" di Schopenauer, che spesso uso in udienza; e, cioè, che, se non si sa opporre nulla alle ragioni esposte del contraddittore, ci si deve dichiarare (con fine ironia), "incompetenti", dicendo: “sarà senz’altro giustissimo quel che dice, ma non si capisce proprio”; e poi si rinuncia ad esprimersi. Per cui, venendo al merito di quello che hai scritto, per quel che mi rammento di filosofia, almeno secondo Aristotile, la definizione positiva di un ente, si dà per "genere prossimo" e "differenza specifica"; e non dalla totalità del suo negativo. Non è necessario, cioè, che l'ente venga definito da tutto quell'insieme i cui elementi si presentano tutti come negati, con l'eccezione dell'ente stesso. In altre parole, per definire l'uomo, basta dire che si tratta di una scimmia (genere prossimo) intelligente (differenza specifica); anche se, in effetti, non è del tutto esatto, dire così. Ma, comunque, non è necessario dire che l'uomo non è un gatto, non è un cane, non è un cammello, non è un calabrone....e così via, praticamente all'infinito. Mi ricorda vagamente Hegel. Poi dici: "Se isolassimo astrattamente questa totalità negativa e la tenessimo separata avremmo il niente come ente, ossia la contraddizione assoluta." A me, invece, sembra che avremmo soltanto un noiosissimo ed interminabile elenco di tutti gli altri enti, che non sono l'ente da definire; ma non il niente come ente, ovvero la contraddizione assoluta. Poi dici: "Questo dovrebbe sicuramente valere per ogni ente proprio in quanto tale, non solo per quel particolare ente che è Dio, alla luce di una pura ontologia logica dell'essere ogni ente nella sua specifica diversità da ogni altro ente è del tutto equivalente nel non poter mai essere niente, ossia nel non poter mai essere un'autocontraddizione e pertanto non ha necessità di un super ente oltre se stesso che glielo garantisca". Qui il discorso si fa davvero complesso, perchè, per come la vedo io, "DIO", non è un "ente" (participio presente), bensì l'"essere" (verbo infinito, come all'inizio del Vangelo di Giovanni), e, cioè, il minimo comune denominatore di tutti gli "enti". Ma è meglio lasciar perdere, perchè, altrimenti, andremmo troppo "off topics". Ad ogni modo, non riesco proprio a capire la pertinenza del tuo ragionamento, con quello (in verità molto più semplice), che avevo fatto io. Ribadisco che NON STO FACENDO DELL'IRONIA (anche se mi piace scherzare), perchè riconosco SINCERAMENTE che la tua competenza filosofica è le mille miglia superiore alla mia -giuro-. Ma proprio non capisco che c'entra quello che dici tu, con quello che dicevo io. Però mi interesserebbe capirlo meglio. Non potresti spiegarlo in modo più semplice e lineare, magari facendomi qualche esempio esplicativo. Grazie. |
25-04-2015, 17.06.28 | #8 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Ignorare Qualcosa, Non Significa Ignorare Cosa Quel Qualcosa Non Puo' Essere.
Citazione:
E' senz' altro innegabile e costituisce un' interessantissima e originale (almeno per me che non l' avevo ancora sentita) critica dello scetticismo l' affermazione che se non é possibile conoscere con certezza ciò che é (o realmente accade), é comunque possibile conoscere con certezza per lo meno qualcosa di ciò che non é (o realmente non accade). Come mi sembra faccia notare rispondendoti anche Maral (che probabilmente intende cose molto diverse da ciò che penso io, visti anche i nostri "disperati" tentativi di comprenderci nell' altra discussione), ci sono due modi alternativi di intendere (per me i concetti, per Maral credo gli enti ed eventi reali): "in positivo" e "in negativo". Per esempio si può intendere e comunicare "la stessa cosa" (per me necessariamente pensata, non necessariamente anche reale) dicendo: "é giorno" oppure dicendo "non é notte"; o, con un altro più impegnativo esempio, dicendo: "la realtà diviene casualmente" oppure "la realtà non diviene deterministicamente (ovvero causalmente)" = "non diviene non casualmente". Se ne può forse concludere ("forse" perché confesso di non avere ben chiaro il significato di quanto sto per scrivere; sic!) che se si conoscesse tutto (integralmente) ciò che non é reale, allora questo equivarrebbe a conoscere tutto ciò che é reale ...ma allora, poiché evidentemente tutto (integralmente) non può sapersi nemmeno di ciò che non é reale (come esordisci nel tuo intervento, si può sapere qualcosa -molto o poco, ma non certo tutto- di ciò che non é), conseguentemente lo scetticismo mi sembrerebbe resistere all' argomento. **************** Ho ritagliato le due citazioni qui sopra dal tuo intervento per obiettarti che non mi sembrano coerenti con (e conseguenti a) la tua interessante considerazione. Infatti asserire che sia possibile una teologia, per quanto negativa, significa secondo me asserire che Dio, che ne é oggetto, esiste realmente (per lo meno credo questo sia ciò che intendeva Dionigi, che altrimenti non credo sarebbe mai stato canonizzato; anche se é pur vero che si può fare scienza anche dell' inesistente, per lo meno in quanto ente od evento concreto: vedi la geometria); e questa é un' affermazione indimostrabile quanto la contraria. E allo stesso modo credo che sostenendo che sopravviverà alla nostra morte individuale il "nostro SE' universale, che, non essendo mai nato, non può nemmeno morire", ecceda la inattaccabile pretesa di conoscere qualcosa che non é o accade realmente per affermare circa la realtà qualcosa di positivo (per quanto vago e indefinito: in che cosa consiste? Che cosa intendi per "il nostro SE' universale"?). |
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25-04-2015, 19.32.29 | #9 |
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Riferimento: Ignorare Qualcosa, Non Significa Ignorare Cosa Quel Qualcosa Non Puo' Essere.
Caro elsire, non credo che tu sia incompetente in materia (tanto più che hai visto giusto, il riferimento è a Hegel, letto secondo Severino e da me di sicuro confusamente rimaneggiato).
La cosa è ben spiegata da Berto in SEVERINO E LA LOGICA DIALETTICA - LA DIALETTICA COME TEORIA SEMANTICA E COME ESTENSIONE DELLA LOGICA FORMALE- (se vuoi scaricabile da internet) a mezzo dell'introduzione: 1. della Relazione Semantica Fondamentale (RSF) intesa come relazione di coimplicazione fra un qualunque significato "a" e la sua negazione infinita "non-a" in cui è posto l’intero del contraddittorio di "a": la totalità del suo altro.(ed è proprio questo che mi ha richiamato il giochetto di cui hai scritto che ho tentato di trasporre in chiave filosofica, ossia universale) 2. del principio fondamentale dell'Olismo Semantico (OS) per il quale la determinatezza del significato coimplica la determinatezza dell’intero campo semantico per cui ’ente (in quanto è il determinato, l’incontraddittorio) coimplica l’intero (la totalità concreta del significare) dell’essere (in quanto è la totalità del determinato-incontraddittorio). Detta più semplice: il significato coimplica l’intero campo semantico. -e questo va certo oltre la definizione di Aristotele, il quale non credo, salvo smentita, che la pensasse né in termini olistici e tanto meno di un negativo olistico.- Scrive a questo punto Berto: "La RSF pone il nesso olistico, ossia il nesso del significato all’intero: infatti, poiché non-a, in quanto negazione infinita, indica tutto ciò che è altro da a, nell’unità di a e non-a è posta la totalità del significato, è posto l’intero campo semantico. La RSF accentua l’aspetto della posizione, dell’apparire: afferma appunto che la posizione di a esige la posizione dell’intero, ossia è l’apparire di a e di non-a, e quindi dell’intero; il principio (OS) accentua l’aspetto della determinatezza: afferma che l’identità con sé o determinatezza del significato coimplica l’identità dell’intero concreto. Poiché nel pensiero severiniano la posizione è necessariamente posizione del determinato, apparire dell’identico a sé, e, viceversa, la determinatezza semantica, l’identità del significato, appare, è posta , la RSF e (OS) vengono a intrecciarsi: la RSF afferma che l’apparire di a in quanto determinato esige l’apparire del suo contraddittorio, in quanto a sua volta determinato, e (OS) afferma che l’apparire (della determinatezza) del significato coimplica l’apparire (della determinatezza) dell’intero" e (qui aggiungo io sulla base della lettura di Severino) questo apparire non può che compiersi concretamente negli enti se non a mezzo della negazione per la quale se A è A, A non è NON A nella totalità che questo NON A significa, che presa in sé è un puro negativo (non questo, non quello, non quell'altro ecc.), mentre presa insieme alla suo positivo significare qualcosa è appunto l'ente a se stesso identico (il non niente). L'essere a se stesso identico definito compiutamente dal totale del contraddittorio, seguendo questa linea di ragionamento, è allora di ogni ente, non solo di Dio come tu suggerivi riferendoti all'Aeropagita e questo intendevo dirti in risposta. Ma tu mi obietti che Dio non è un ente (dunque un essente), ma un verbo, il verbo essere, minimo comune denominatore di tutti gli essenti (poiché infatti tutti gli essenti sono) e qui resto un poco perplesso, in quanto anche un verbo mi pare pur sempre un ente anche se si riferisce a un atto agente, un accadere, semmai non è un sostantivo (ossia un accaduto, come una corsa è l'atto compiuto di un correre), e certo anche il minimo comune denominatore è un ente, ma è un ente astratto, ossia qualcosa che prendiamo in astratto (estraiamo) da tutte le cose che hanno una certa caratteristica tra le molte altre che le individuano e teniamo questo apetto comune separato entizzandolo come se esistesse di per se stesso, un po' come quando diciamo il colore rosso, intendendolo come il tratto comune di tutte le cose che ci appaiono diversamente rosse. Questo Dio, definito come essere, mi pare allora semplicemente come l'astrazione concettuale dell'essere diverso di ogni singola cosa, un po' come quel niente che è all'opposto l'astrazione concettuale dell'impossibile non essere di ogni cosa, tenuto concettualmente separato da ogni singola cosa che non è altro da ciò che è. Ma gli enti concretamente considerati possono solo essere proprio quelle singole cose che, in quanto tali, sono nella loro singolare differenza, è sempre diverso il loro modo di essere e quindi di non essere altro da ciò che effettivamente sono. |
26-04-2015, 07.28.09 | #10 |
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Riferimento: Ignorare Qualcosa, Non Significa Ignorare Cosa Quel Qualcosa Non Puo' Essere.
Sgiombo scrive che "...se si conoscesse tutto (integralmente) ciò che non é reale, allora questo equivarrebbe a conoscere tutto ciò che é reale ...ma allora, poiché evidentemente tutto (integralmente) non può sapersi nemmeno di ciò che non é reale (come esordisci nel tuo intervento, si può sapere qualcosa -molto o poco, ma non certo tutto- di ciò che non é), conseguentemente lo scetticismo mi sembrerebbe resistere all' argomento."
Veramente, in modo molto più banale, io parlavo di ciò che è "possibile" o che non è "possibile", in ordine a un determinato fenomeno "reale"; non di ciò che è "reale" o non è "reale" in sè. Cioè, appunto, per tornare al mio grossolano esempio, dicevo che, pur non sapendo cosa possa avvenire, dopo la morte (evento, purtroppo, molto "reale"), posso però sapere cosa non avverrà. Ed infatti, sono "abbastanza" sicuro che, dopo morto, non potrò più defecare (non avendo più un intestino), nè pensare (non avendo più un cervello)...per cui perderò certamente il mio senso di identità "individuale". Quello di identità "universale", penso di no...ma non posso saperlo...forse solo "intuirlo"; come meglio accennerò più sotto. La discussione circa ciò che è reale, o non lo è, è un'altra faccenda: per esempio, un sogno non è reale in quanto è privo di materialità, ma è reale in quanto è comunque un fenomeno che si verifica. Ma questa è materia per un diverso dibattito. Poi Sgiombo scrive: "asserire che sia possibile una teologia, per quanto negativa, significa secondo me asserire che Dio, che ne é oggetto, esiste realmente (per lo meno credo questo sia ciò che intendeva Dionigi, che altrimenti non credo sarebbe mai stato canonizzato; anche se é pur vero che si può fare scienza anche dell' inesistente, per lo meno in quanto ente od evento concreto: vedi la geometria); e questa é un' affermazione indimostrabile quanto la contraria." Al riguardo, pur non essendo nè un filosofo nè un teologo, ritengo che di Dio non si possa parlare come di un "ente" o "non ente", o di un "esistente" o "non esistente"; è l'"essere" e basta. E, sotto un certo aspetto, anche il "non essere". Dio, infatti, non "è" niente di tutto ciò che possiamo dire lui; anche il termine "lui", è inappropriato, perchè "oggettifica" qualcosa che non è un oggetto. Di Dio non possiamo dire nulla, come è in sé: non è materia o energia, ma tutto ciò che "è" nella materia e nell'energia. Ma, ovviamente, non lo so. Infine Sgiombo scrive: "E allo stesso modo credo che sostenendo che sopravviverà alla nostra morte individuale il "nostro SE' universale, che, non essendo mai nato, non può nemmeno morire", ecceda la inattaccabile pretesa di conoscere qualcosa che non é o accade realmente per affermare circa la realtà qualcosa di positivo (per quanto vago e indefinito: in che cosa consiste? Che cosa intendi per "il nostro SE' universale"?)." Veramente, per essere esatti, io avevo scritto "Quello che sopravviverà di noi, almeno PER COME LA VEDO IO, sarà il nostro SE' universale, che, non essendo mai nato, non può nemmeno morire". Ed infatti, come pure avevo precisato, NON SO AFFATTO COSA CI SARA' DOPO LA MORTE. Riferivo soltanto la mia modesta opinione; o forse sarebbe meglio dire, "intuizione", "sensazione", "visione"? Non saprei. Comunque, per "il nostro SE' universale" (ammesso che io veda giusto), intendo il nostro "essere" più interiore, che è l'"essere" di tutte le cose che "sono"; come il mare che "è" le onde, pur essendo queste manifestazioni provvisoriamente distinte ed autonomamente identificabili. O come l'uno, che "è" in tutti i numeri, pur componendo questi, cifre sempre diverse tra di loro. Ma ammetto che le parole sono inadeguate ad esprimere l'inesprimbile. Per concludere, comunque, non ritengo affatto di essere stato "incoerente". Infatti, ho ben distinto ciò che sono in grado di stabilire con certezza negativa (cioè, che un elefante non può stare nel pugno di un bambino), e ciò che non sono in grado di stabilire con certezza positiva (cioè, quel che effettivamente, sta tenendo nel pugno il bambino). Ma nulla mi impedisce di arguire o ipotizzare ciò che il bambino può avere in mano (guardandomi in giro): a) se manca un piccolo oggetto che prima era nella stanza, posso immaginare che abbia preso quello; b) se, invece, non manca alcun piccolo oggetto che prima era nella stanza, posso immaginare che abbia in mano una monetina che aveva in tasca. Ma sono solo intuizioni o supposizioni, non di sicuro certezze, come solo possono essere quelle "negative". Non so se sono riuscito a spiegarmi adeguatamente. |