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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
03-06-2014, 21.12.18 | #13 | |
Ospite abituale
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Riferimento: La vera felicità è la schiavitù. (Lo sbaglio di Rousseau).
Citazione:
Non capisco perché il problema sarebbe posto erroneamente, non mi sembra, sinceramente, che manchi l'elemento dialettico nell'esposizione rousseauniana, anzi, egli argomenta proprio a partire da quei rapporti tra gli uomini che all'interno della società sono profondamente «viziati da un'attitudine ineliminabile» all'assuefazione allo stato assolutistico, reazionario, dogmatico. Rapporti umani che invece sono fondati su una serie di relazioni scandite da un ritmo di opposizioni, alla cui base vi è però un'idea di unità o sintesi identificata nello stato repubblicano. Che non sia mai esistito il paradiso terrestre Rousseau ne era ben consapevole, infatti nella prefazione del Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini mette bene in evidenza il fatto che lo "stato di natura" da lui teorizzato (l'état de natur) è una mera ipotesi teorica, che nella realtà non esiste e forse non è mai esistito. Ed è altrettanto consapevole del fatto che in tale stato gli uomini non sono affatto uguali, ma vige la legge del più forte; benché fossero realmente liberi, e questo non vedo come possa essere messo in discussione. Io non penso che la soddisfazione dei desideri renda felice e libero l'uomo, ma penso che invece lo renda schiavo dei suoi stessi desideri, perché non si fermerà mai finché non raggiungerà i suoi scopi, che sono inevitabilmente soggettivi, e nove volte su dieci non coincidono con gli scopi comuni, se vogliamo la volontà generale. Bisogna distinguere tra conoscenza e conoscenza, se si intende per conoscenza il progresso delle scienze, della tecnica, delle arti, questo tipo di conoscenza non è sempre stato utile alla società, quando è stato viziato dal primato del singolo, che tende naturalmente all'ego empirico; fra Rousseau e gran parte degli illuministi era evidente e voluta una diversa impostazione metodologica: egli non era mosso da esigenze teoretiche, dalla sete della verità per la verità, né tanto meno dal gusto per il sistema fornito di bella coerenza formale. Non ama la critica per la critica, non condivide la «rabbia di distruggere senza edificare», per parte sua la verità è tale solo quando è utile agli uomini. E la felicità del genere umano non è e non sarà mai qualcosa di diverso dalla felicità dell'individuo, sicché il metro del sentimento, e non quello della logica, sarà in ultima analisi quello definitivo. Se per democrazia, intendiamo il governo del popolo, è una baggianata: il popolo non governa, al massimo delega, e non delega nemmeno il potere esecutivo, al massimo quello legislativo. |
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04-06-2014, 07.30.18 | #14 |
Ospite
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Riferimento: La vera felicità è la schiavitù. (Lo sbaglio di Rousseau).
Salute Davide,
complimenti argomento davvero interessante, Rousseau ripropone la sua filosofia anche nell'Émile ed in questa forma ne trae l'aspetto pratico, nella quale infatti il fanciullo non dev'essere condizionato nel maturare la propria personalità dalla società e tutto ciò che comporta, ma solo da un buon maestro e dalla natura stessa. In un'ipotetica civiltà dove ogni bambino venisse educato a questo modo son sicuro che sarebbe un'ottima civiltà, ma in linea pratica è un privilegio che pochi al mondo si possono permettere e ancor meno son quelli che lo vogliono. Tuttavia nel suo indicare la via per l'incondizionabilità dai mali del mondo (tra cui appunto i piaceri materiali, la religione, la corruzione o in poche parole la perdita della propria unicità verso fini protesici) Rousseau inserisce nella sua libertà dei diritti e dei doveri giungendo per primo ad un compromesso del concetto di libertà su cui concordiamo. Ma Rousseau ci serve solo da trampolino per il nostro ragionamento sul desiderio e la libertà. Nell'affermare che l'uomo che non raggiunga i propri desideri sia infelice secondo me si è troppo riduttivi poichè il desiderio insito nella nostra natura è qualcosa di più complesso. Mi sento di affermare che il desiderio è dato unicamente da un bisogno, se non si hanno bisogni non si avranno nemmen dei desideri che possano colmare una mancanza. In che misura quindi si è schiavi dei propri bisogni? Nella misura in cui si è succubi di ciò che ci circonda e non di ciò che siamo, poichè i bisogni son dati dall'esterno, le necessità dall'interno. L'infelicità è data dalla sofferenza, la sofferenza dal desiderio non raggiunto e quest'ultimo dal bisogno indotto dall'esterno(generante una mancanza) che però nell'elevarsi su un piano più alto viene trasceso discernendolo. Questo fa il saggio, non è immune ai piaceri o ai desideri, ma è su un piano più elevato senza esserne coinvolto e non mi riferisco ad un'atarassia stoica, ma ad una comprensione più elevata delle pulsioni umane. E' libero dai bisogni indotti ed è schiavo soltanto delle necessità di natura, ergo non lo è. Il bimbo è felice perchè non conosce la sofferenza, il saggio è felice perchè ha compreso la sofferenza. E' questo il baratro in cui è caduto l'uomo con la propria sensibilità, ovvero d'esser succube ai bisogni indotti dal mondo che abita. C'è infine anche una parte "interiore" che richiede all'uomo dei bisogni, ovvero l'ego, ed anche da questo si deve liberare il saggio che non vuole esserne schiavo.[Se non si segue l'ego si sarà tristi? Sì, ma solo inizialmente finchè non si comprenderà le cause esterne che hanno portato l'ego ad esser tale, cause che non ci appartengono] In breve il saggio non rinuncia ai piaceri intristendosi, ma ha compreso le cause dei suoi bisogni e questo non gli porterà felicità (sentimento troppo slanciato e relativo ad una situazione esterna) ma la serenità o letizia interiore che raggiunta con gli "occhi chiusi" non potrà dissolversi aprendoli. Letizia data dal semplice fatto d'esserci, d'esser partecipi alla vita, d'essere ciò che si è oltre i tranelli della psiche o d'essere e basta liberi da aggettivi o identificazioni. Il desiderio sfuma quando s'assenta il bisogno. Mymind La felicità non e' fare tutto cio' che si vuole, ma volere tutto cio' che si fa. Nietszche Nella vita esistono due tragedie. La prima è la mancata realizzazione di un intimo desiderio, l'altra è la sua realizzazione. George Bernard Shaw Non intorbidare i beni presenti col desiderio di quelli che ti mancano, ma considera che i beni presenti erano prima tra le cose solo sperate. Epicuro Ai riguardi del concetto di libertà invece provo molta confusione e non ho un'idea chiara al riguardo, poichè la parola libertà da sola ha poco significato se non s'aggiunge un complemento oggetto [libertà da "..." ] . E qual è l'uomo davvero libero? Quello che viveva selvaggio nella foresta e di cui ancora poche tribù son sopravvissute al pari d'un gatto o una scimmia? Quell'uomo libero dai bisogni e partecipe solo delle proprie necessità primarie? Oppure il saggio che idealisticamente o spiritualmente s'è elevato al di sopra della realtà sensibile? Forse entrambi, forse nessuno, forse solo in parte. Ma ciò che mi incuriosisce è se l'uomo sia un animale addomesticato e domestico (dacchè vive in una società) che ha smesso d'essere selvaggio o se ha solo portato il suo essere selvaggio ad una forma moderna. PS: Volevo consigliarti, se hai voglia, due letture che ti potrebbero interessare in linea con l'argomento: Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie e Siddharta di Herman Hesse, sempre che tu non li abbia già letti Ultima modifica di Mymind : 04-06-2014 alle ore 21.13.09. |
04-06-2014, 12.11.56 | #15 | |
Ospite abituale
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Riferimento: La vera felicità è la schiavitù. (Lo sbaglio di Rousseau).
Citazione:
L'intento rousseauniano era stato dichiarato esplicitamente, coniugare la libertà del singolo con la sovrastruttura statale, ma bisogna tener presente anche l'epoca, il contesto socio-politico, il paradigma culturale (in questo caso l'illuminismo) nel quale un autore scrive e soprattutto si forma. Nel XVIII secolo il re era ancora un dio in terra, il suo potere era ancora assoluto, quindi si aveva netta la concezione, e soprattutto si aveva presente la netta distinzione, molto meno presente ai nostri giorni, fra la volontà del sovrano e la volontà del popolo; è vero che Rousseau fu un rivoluzionario, perché concepì uno stato di diritto quando ancora questa parola non aveva alcun senso pratico, perché il diritto era solo appannaggio del re, dell'aristocrazia e del clero. Ecco perché per dare un fondamento teoretico oltre che pratico a uno stato di diritto bisognava necessariamente rintracciarlo nella collettività. Che naturalmente coincide con la maggioranza, di cui la volontà generale è espressione democratica, politica, sociale, pratica; certo non un dogma cui credere per fede. Convengo con quanto affermi, forse usiamo termini diversi, tu la chiami insoddisfazione, io schiavitù; fin quando l'uomo rimpiazzerà un desiderio di cui s'è liberato con un altro, sarà ancora una volta preda dei suoi istinti egoistici e soggettivi, che sono stati edulcorati, viziati, corrotti, da una società consumistica e priva di valori come la nostra. Non è la natura dell'uomo il problema, ma la cattiva educazione lontana dalla natura dell'uomo. Ovviamente, solo, secondo me. i |
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05-06-2014, 00.09.53 | #16 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: La vera felicità è la schiavitù. (Lo sbaglio di Rousseau).
Citazione:
Giusto, giustissimo, come se per un fantomatico superuomo, o oltreuomo che dir si voglia, non esistano quelle stesse regole naturali, come se ci sia bisogno di formulare un nuovo modo di pensare l'uomo al di fuori del suo essere, perché alla vita è stato sostituito il senso della vita, allora per tornare alla vita si deve trovare un nuovo senso per intendere la vita stessa. Parole senza senso che si dicono essere di un filosofo. Mah Citazione:
P * E * R * F * E * C * T |
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05-06-2014, 20.12.21 | #17 | |
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Riferimento: La vera felicità è la schiavitù. (Lo sbaglio di Rousseau).
Citazione:
Ciao Mymind, concordo con quanto hai scritto, sulla distinzione tra bisogno e necessità ho qualche dubbio, chiami bisogno uno stimolo che viene dall'esterno, e necessità uno che viene dall'interno, ma sono entrambi delle mancanze, cui dobbiamo far fronte a tutti i costi, proprio a causa della loro natura vitale per noi stessi. Sono due termini molto simili, quasi sinonimi direi. "L'infelicità è data dalla sofferenza", vero, "la sofferenza dal desiderio non raggiunto", anche per me, "e quest'ultimo dal bisogno indotto dall'esterno(generante una mancanza) che però nell'elevarsi su un piano più alto viene trasceso discernendolo", qui invece sono meno d'accordo, perché secondo me il desiderio non è un bisogno in senso stretto, almeno non sempre: se prendiamo una persona che sfortunatamente è nata in Africa, soffrendo la fame essa non desidera mangiare qualcosa in particolare, ha bisogno di sfamarsi per sopravvivere e andrebbe bene qualsiasi cosa, mentre si desidera mangiare qualcosa di particolare, e questo desiderio può averlo solo chi può effettuare una scelta. Un esempio lampante è la tua ottima definizione di saggio, "E' libero dai bisogni indotti ed è schiavo soltanto delle necessità di natura, ergo non lo è", se alla parola bisogni si sostituisce desideri, è perfetta. Trovo molto interessante la tua descrizione di uomo come animale addomesticato e domestico, perché secondo me lo è entrambe, domestico perché ha imparato a vivere in società, dalla quale però non è stato addomesticato, è questo il bello, altrimenti non staremmo qui a discuterne; secondo me è stato addomesticato da una parte della società, quella parte contro cui si scagliava Rousseau, «l'uomo è nato libero, ed ovunque è in catene». Il problema è che l'uomo per spezzare queste catene, ne crea delle altre, e sono sempre più subdole, più efficaci, e quindi più incatenanti, classici esempi come il terrore rivoluzionario, l'oltreuomo di Nietzsche, il marxismo, o addirittura il liberismo economico, che lungi dall'essere tale, oggi si può definire come capitalismo, che sta per cambiare ancora nome, oggi si potrebbe chiamare globalizzazione, ma sempre di catene per l'uomo si tratta. Grazie per i consigli, Hesse non mi piace, e tralaltro ho anche letto Siddharta tempo fa, ma Étienne de La Boétie ignoro chi sia, però già il titolo Discorso sulla servitù volontaria mi intriga. Se me lo consigli vuol dire che vale la lettura. |
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06-06-2014, 21.01.43 | #18 | |||
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Riferimento: La vera felicità è la schiavitù. (Lo sbaglio di Rousseau).
QUOTE=Davide M.
Citazione:
Sì noi "comuni mortali" dobbiamo far fronte a bisogni e necessità, attribuisco il discernimento completo dai bisogni e quindi la soluzione delle mancanze indotte per far fronte solo alle necessità primarie, solamente alla figura del saggio, che non è comunque irraggiungibile. Citazione:
Scusami son stato troppo essenzialista :P , mi dispiego meglio, il desiderio nasce e viene generato dal bisogno (non è sinonimo di bisogno, ma diciamo che formano una dualità), ed il bisogno, come nell'esempio della pietanza da scegliere, è dato da un fattore esterno. Ma la fame come necessità primaria esiste al di là del fatto che esistano diverse pietanze anche in una persona senza il senso del gusto e dell'olfatto. Pensavo però inoltre che l'aspirazione, che se vogliamo è una forma di desiderio, non dipenda necessariamente da un bisogno indotto da colmare, ma come vero e proprio slancio vitale simil alla volontà di potenza. Anche se è pur sempre vero che non si genererà nessuna aspirazione nel caso non si abbia una certa conoscenza delle scelte e delle possibilità, dando anche a questa l'attributo di sentimento generato dall'esterno (quindi che è possibile discernere nel saggio o da chiunque se ne separi). Secondo me il connubio tra primaria necessità e bisogno lo si raggiunge in aluni tipi di arte dove c'è il desiderio d'esprimersi, ma che più di desiderio s'avvicina ad una necessità naturale di seguire una sensazione interiore da decifrare, un'espressione d'unicità spinta da una vera e propria volontà di potenza nicciana (che non ha bisogno dell'impotenza per generarsi). Citazione:
Questo tuo intervento m'aiuta tantissimo nel comprendere meglio il dubbio, concordo pienamente; domestico ma non addomesticato (anche se nel piccolo una parte addomesticata c'è, ma così come la parte opposta). Sì, purtroppo c'è un continuo giungere a dei compromessi a scapito della libertà ed unicità individuale, molti indotti anche volontariamente in questa società moderna che plasmano e snaturano pezzo per pezzo l'individuo, adoperando mezzi come la paura (vedi anche religione in passato) e tramutando bisogni in necessità come quella della ricerca dello status symbol o comunque di alcune caratteristiche comuni vestite da mancanza in caso non si posseggano che sfociano poi nell'insieme del capitalismo. Riguardo La Boétie ti assicuro che lo leggerai con interesse, è una piccola e breve perla che è stata spesso censurata velatamente per i suoi contenuti forse troppo diretti al punto, e forse da Montaigne stesso di cui era un caro amico. Ciò che sorprende è la sua sentenzialità che a parer mio non fa una piega, che sviscera le debolezze dei popoli e della natura umana partendo dalle conseguenze. Lo trovi anche con una semplice ricerca su google in pdf Buon weekend |
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08-06-2014, 02.46.14 | #19 |
Ospite abituale
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Riferimento: La vera felicità è la schiavitù. (Lo sbaglio di Rousseau).
il problema del desiderio...una chiave di lavoro infinita.
Come Lacan intuiva, o meglio come io intuisco lacan intuiva (eh eh manca tutto il lavoro da fare per riempire gli spazi bianchi, spazi bianchi che lo stesso lacan lasciò). x maral anzitutto per severino bisogna rinunciare al cambiamento, non usare o essere usati dalla volontà di potenza. la follia dell'occidente che si manifesta come contraddizione del credere a se stessi, nonostante siamo solo specchi dell'altro. districarsi tra la nostra follia e lo specchiamento. già...mi sembra che ne stavamo parlando nella contradizione c. devo ancora formulare la risposta di là, prima che altri interessi fagocitino quella istanza di approfondimento. Comunque ti davo ragione, ma appunto con una eccezione che devo ancora capire se tu approvi. Ossia siamo in presenza di un sistema formale. Non è un caso che la psicosi severiniana (la nostra immortalità) escluda nel suo concetto di vita, la stessa morte, trasformandola in mera illusione, ossia improntando il tutto ad una non-storia. Divertente, Parmenide il filosofo oscuro, dibatteva dell'Essere con la morte negli occhi! La filosofia per Camus è anzitutto risposta al valore della vita rispetto alla morte. La mia domanda è vogliamo trovare una etica formale, o vogliamo parlare di questi rapporti? Te lo ripeto come fanno questi rapporti a non entrare nella voragione humiana? Inoltre quando dici, non ci rimane che affermare il nostro io contriddoriamente, non è che mi fai lo stesso errore di sgiombo, che si dice monista ma alla fine è dualista? Nel particolare quando dici che l'uomo è il suo rapporto con la verità, intendi dire rispetto alla sua ricerca della propria contradittorietà (e quindi un paradosso rispetto al limite), oppure limite come rapporto io - altro (e alla fine ci risiamo col cristianesimo). Oppure alla oscillazione tra l'uno e l'altro di cui parlavo nel mio post precedente? xdavide certo rousseau (dovrebbe visto che mai l'ho letto) cerca il patto sociale. ma di quale individuo, ce lo sapresti indicare se lo hai letto? dovrebbe essere qualcosa di complesso tra una nuova visione dell'io (che ripeto comprende il femminile, nel termine più innovativo possibile ossia inconscio non solo contrattuale) e una visione dello stato. Come già detto da maral, è sospetto proprio il concetto di natura. Il professor Bassi, certo ho seguito molti suoi video su you-tube. diciamo che ora so a chi ti ispiri...in parte geniale, in parte oscurantista. Purtroppo hai scelto proprio la parte oscura del professore. Anche per lui l'uomo è anzitutto empatico e non certo "lupo". Quale il prezzo da pagare a questa negazione hobbesiana? Ovviamente la paura, il vero centro della spirale che ci rende quello che siamo. Per il professore c'è sempre un motivo per la violenza. Cita aristotele, lo fa bene, infatti anche aristotele era un razionalista convinto, un produttore di istanze morali a favore dello stato. Non c'è paura nei loro scritti.La paura è vista come irrazionale. Ma poi la paura che viene psicanaliticamente occultata si ripresenta nei lapsus freudiani, nella visione costringente della sessualità. Così anche per Bassi ognuno deve far sesso e chi non lo fa deve spiegare perchè. Questo novello domenicano all'incontrario, non fa che ripetere gli errori del martello della strega, a cui Verdiglione fornisce una splendida prefazione- Ossia una proiezione fantasmatica delle istanze non capite del materno. Il materno si ripresente violentemente e ha bisogno come fantasma, ossia come proiezione del desiderio della donna, di una significazione. questa significazione si ha come enumerazione e descrizione/confessione dell' imputato, si fa cioè burocrazia. Ossia il desiderio si deve fare parola. La fuga della figlia a londra è vista come non rispetto delle regole di trattamento egalitario a cui il professore, in uno dei numerosi momenti di cedimento psichico, crede di attibuire (meglio decide), Non a caso la figura che più gli si avvicina (Kant) viene fatta a pezzi dal suo sistema (ripeto assai geniale e a rasoio direi, assolutamente da ascoltare). Non è così per il naturalismo, purtroppo come alcuni pensatori hanno notato, la strana dimenticanza di hobbes nei dibattito contemporanei è chiaramente sintomo (mi manca il lavoro per capire di cosa, anche se pezzo per pezzo dovrei già ora essere capace di ricostruirla). questo, spero si capisca, non vuol dire che l'empatia non esista (e di questo hume e locke non tengono conto) x davide Hai tirato anche in ballo anche zizek filosofo lacaniano.(mio preferito) Ma certo la democrazia evoluta dovrebbe anzitutto mantenere il vuoto di potere. Il problema è la prassi di questo "vuoto a mantenere". Nel momento che diventa prassi il vuoto è a perdere. La soluzione di Zizek è una continua interrogazione teorica a quella prassi.(la stessa di lacan nella prassi psico-analitica) Mi par si possa dire che il socialismo è ovviamente la prassi corretta, qual'ora non diventi gerarchia. Il problema è però proprio quello: come impedire al terrore, l'orrore, lo spavento e l'angoscia di camuffarsi in significazioni permanenti ( e cioè appunto burocrazia - stato - morale)? In realtà il problema è quello che si sta sollevando nel 3d su Nietzsche, come uscire dalla cultura restando in essa? Il fatto è che il naturalismo diventa quasi un delta significativo di soluzioni. Il mio orrore è che quelle che leggo sono tutte sbagliate, in quanto errano rispetto alla relazione fondamentale io - inconscio. Voglio dire la filosofia sa bene gli errori ed orrori tra quella io - oggetto, ma non si interroga abbastanza sull'altra. E come fare a creare un sistema comunitario se non si ha la minima idea di come funzionano le cose a livello individuale? (il liberalismo lockiano quantomeno non ha bisogno di interrogarsi, in quanto sfrutta quelle dinamiche). Siamo sinceri il grande progetto marxiano è fallito, non esiste alcuna grande sovrastruttura che realizzi la storia del socialismo e la compiutezza dell'uomo ( e per favore basta con la parola verità affibiata a sistemi sociali, è una metafisica tossica). |
08-06-2014, 16.57.51 | #20 | ||||
Ospite abituale
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Riferimento: La vera felicità è la schiavitù. (Lo sbaglio di Rousseau).
Citazione:
Vedi come la problematica rousseauiana è ancora attualissima, anzi lo è sempre stata, ogniqualvolta si è avvertita universalmente la necessità e l'urgenza di difendere la «naturalità» dell'uomo dalle tante sovrastrutture che minacciano di soffocarla. L'individuo di Rousseau è la persona, nell'accezione più naturale possibile, e il patto sociale che cerca è quella forma di associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e per mezzo della quale ciascuno, unendosi a tutti gli altri, non ubbidisca tuttavia che a sé stesso e resti altrettanto libero quanto prima di associarsi. E certo che è qualcosa di complesso, anzi proprio di ambizioso, si tratta non tanto di conservare intatta la libertà della persona quanto di trasformarla in libertà civile, con un reale arricchimento ed un'ulteriore espansione della personalità dell'individuo stesso. Citazione:
Chiaramente è il suo personale concetto, più o meno condivisibile, ma perché sospetto? Allora dovrebbero essere sospette tutte le premesse di qualsiasi ragionamento deducibile, no, per me se ne può parlare, la filosofia è questo, essenzialmente dialogo. Ma ti faccio rispondere da Rousseau in persona: «la voce del dovere succedendo all'impulso fisico, e il diritto all'appetito, l'uomo (la persona aggiungo io, l'individuo nell'accezione più naturale possibile di cui si parlava prima) che fino a quel momento non aveva considerato che sé stesso, si vede costretto ad agire su altri princìpi, e a consultare la sua ragione prima di ascoltare le sue inclinazioni». Tale costrizione, si badi, non è affatto costrizione esterna, ma è piuttosto il risultato di una scelta naturalmente necessaria che l'uomo compie ai fini della sua propria felicità, giacchè soltanto nello stato sociale «le sue facoltà si esercitano e si sviluppano, le sue idee si estendono, i suoi sentimenti si nobilitano, la sua anima tutt'intera si eleva a tal punto che, se gli abusi di questa nuova condizione non lo degradassero spesso al di sotto di quella da cui è uscito, egli dovrebbe benedire senza posa l'istante che gliela fece abbandonare per sempre e che, di un animale stupido e limitato, fece un essere intelligente e un uomo». Citazione:
Ma no dai, non ho mai detto che mi ispiro al professor Bassi, ma non posso negare che hai colto una certa affinità tra le posizioni antihobbesiane del professore e di Rousseau, sinceramente penso che tu sia un filosofo e se non lo sei lavori in ambito. Di certo questa è un'ulteriore conferma che la filosofia non è improvvisazione. Ciò che pesa in Rousseau come in Locke, in fatto di concezioni etiche, è l'incapacità di superare l'utilitarismo, a tal proposito Cassirer ha scritto che «Rousseau nega l'esistenza di un istinto primario nell'uomo che lo sospinga verso la società», infatti il ginevrino fa della società una costruzione umana, non un dato biologico o un fatto teologico. Accusare Rousseau di incoerenza sarebbe come rimproverargli di non essere stato nel XVIII secolo un filosofo del XX, a meno che non si ritenga la coerenza formale qualità più importante di ogni altra qualità, secondo me uno degli errori più goffi della filosofia analitica del XX secolo. Citazione:
E se la soluzione a quel problema non la desse proprio un ritorno al pensiero debole di Rousseau? Non senti in queste mie parole un'eco lacaniana? Secondo me sei troppo legato alle speculazioni teoretiche del gigante di Lubiana, attenzione, direi, proprio quest'ultimo ha scritto,... ha scritto, che lo Spirito oggettivo non è trascendente alla storia, e a quale storia aggiungo io? Io aggiungo alla storia dell'uomo. Ho scritto altrove, che proprio non riesco a capire come ci sia ancora gente che parla o scriva come se Hegel non fosse mai esistito. Leggendoti, tu non sei di quella gente: non esiste alcuna sovrastruttura, vero, la volontà di potenza riguarda l'individuo e non la società, verissimo. La radicalità dell'hegelismo ha prodotto danni solo quando si è voluto dare all'Assoluto una connotazione teologica e politica, teologica da parte della cosiddetta destra hegeliana, politica da parte della cosiddetta sinistra hegeliana, queste parole che ho scritto a me fanno ridere. "e per favore basta con la parola verità affibiata a sistemi sociali, è una metafisica tossica", quod erat demonstrandum: «La verità, in filosofia, è quando il concetto corrisponde alla cosa concreta». G.W.F. Hegel. Io aggiungerei punto. |
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