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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
08-05-2013, 22.09.51 | #12 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 17-12-2011
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Riferimento: La relativizzazione dei valori e la tracotanza del pensiero unico
Citazione:
Le religioni dividono , non solo loro il principio unificatore del pensiero unico e del relativismo che è contraddittorio con l'inserire i pensieri religiosi come artefici di questo pensiero. C'è qualcosa di molto più "commistioso" che passa fra l'eschimese e il polinesiano. Deve esere istintivo e poco ragionato ,qualcosa di animalesco: il mercato. Il mercato è ovunque perchè ovunque è il luogo dello scambio. Perchè le piazze prima che fossero Agorà per i filosfi erano luogo delle merci . La grandezza del pensiero Occidentale sta nella diversità che un osservatore in Cina , all'incirca nel 1700 constatò. I cinesi hanno talenti ed ingegni quanto gli Occidentali, ma manca loro un Galileo. La forza del pensiero Occidentale è nel linguaggio logico . E' nalle capacità di aver categorizzato, sistematizzato il pensiero perfino aver costruito un metodo sperimentale: un "lettore universale" per quantificare e qualificare gli eventi ed i fenomeni. Quando si ha la capcità di padroneggiare la tecnica si espande la conoscenza. Quando quel mercato simile dagli eschimesi che dai polinesiani viene analizzato come non mai nei particolari, nei comportamenti, nelle grandezze e nelle qualità si stabiliscono le categorie delle tecniche. Così quel mercato del consumismo "compulsionale" fra materialità della merce ed edonismo della sopravvivenza e della soddisfazione diventa "la mano invisibile" di Adam Smith e l'autoregolazione" di Von Hayek. Il suo segreto Occidentale è di averne capito la forza dirompente perchè è efficace ed efficiente proprio come i principi regolativi della natura, degli scambi energetici di una cellula come di leggi fisiche. E in più "soddisfa" quella necessità umana di crescita economica, di evoluzione materiale, asseconda l'istinto umano all'accumulazione contro la paura delle carestie e dà la vertigine della potenza delirante, quella qualità di condizionare le vite altrui. L'economia capitalistica sbaraglia dittature come democrazie, ideologie come religioni. E la sua forza sta proprio nel "non avere un pensiero, tanto meno unico". Perchè è elastico e fluido ,adattativo come un virus con la mutagenesi, cambia scenari senza perdere la propria natura che è della natura stessa animale dell'uomo, non necessita nè vuole regole, quando le ha entra in contraddizione su se stessa cessando il mercato e diventando pianificazione razionale e mostrando quanto la ragione sia inferiore in potenza alla natura. Non vorrei essere travisato, la mia non è l'apologia del mercato, ma attenzione a non sottovalutarne la potenza e sopravvalutare altre categorie del pensiero. Questo "mercato" capitalistico travolge l'uomo come le epidemie di virus e epidiologicamente si comporta ugualmente nelle sue cicliche "perversità". |
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09-05-2013, 14.13.18 | #13 | |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
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Riferimento: La relativizzazione dei valori e la tracotanza del pensiero unico
Citazione:
Sicuramente andare al mercato è qualcosa che accumuna tutto il genere umano: l'istinto allo scambio è connaturato all'uomo come l'istinto alla predazione e non è certo un caso che i primi mercanti fossero anche pirati (vichinghi, saraceni ecc.) che alternavano predazione e scambio a seconda delle opportunità e convenienze. E' vero anche che la peculiarità del pensiero occidentale è data dalla sua forma logica astratta, ossia dalla capacità di estrarre dai dati esperenziali dei simboli di categorizzazione che ne permettono il controllo. Quando vado al mercato a vendere le mele, non ho in mente ogni singola irripetibile e irriducibile mela esperenziale che porto con me, ma una sorta di "melità" generalissima e numerabile che è proprio quella che vado a vendere, un'idea platonica della mela tradotta in numero somma(per cui tutto sommato credo che ai Cinesi ancor più di un Galileo sia mancato un Platone, essendo in ultima analisi e che lo si voglia o no quel Galileo conseguenza dell'originario modo di pensare di un Platone cristianizzato). E idea delle idee, concetto di ogni concetto, astrazione di ogni astrazione è certamente il denaro soprattutto nel significato attuale del termine, quel denaro che riferisce a sé ogni differenza qualitativa e quindi ogni valore pur non avendo in sé alcun valore e tutto riporta ai termini numerici di un rapporto commisurabile di cui esso è universale unità di misura. Proprio l'essere segno astrattissimo riempibile con qualsiasi cosa rende il denaro il talismano per eccellenza del potere che accresce all'infinito la potenza del proprio desiderio, perchè ben sappiamo che se è vero che il denaro è nato come mezzo di facilitazione degli scambi, sono poi gli scambi a essere diventati un mezzo possibile, non necessarioi per fare denaro (infatti dove gli scambi non producono sufficiente denaro non vi è certo remora a non farli distruggendo la merce che si potrebbe scambiare senza adeguata remunerazione). Ed è proprio la concettualizzazione astratta che, accompagnata dalla tensione teleologica cristiana, ha dato luogo a quella inebriante fuga del pensiero verso l'infinito, a quell'hybris dell'illimitato che è alla base della cultura occidentale contemporanea, che ha rinunciato alla vecchia metafisica di un mondo solido per sostituirla con la più assoluta astrazione concettuale tradotta in calcolo a cui nulla sfugge. La plasticità e duttilità di questa nuova visione del mondo sta allora nella sua capacità di fagocitare ogni altra visione per poi vomitarla come risultato di un calcolo perfettamente fine a sé stesso e il cui scopo è solo il continuo incremento all'infinito del risultato del conteggio. Riprendendo poi l'osservazione di Freedom, credo sia interessante notare il modo diverso con cui le culture diverse vengono fagocitate, assimilate o distrutte da un pensiero che deve apparire come un non pensiero affinché su di esso si possa costruire l'illusione di un'indiscutibile ineluttabilità naturale (perché se è vero che lo scambio è iscritto nei geni umani e probabilmente di tutto ciò che vive, forse è anche vero che la sua parametrizzazione secondo calcolo astratto ne altera completamente il senso rendendolo puro artificio di grande suggestione). Credo allora che mentre il pensiero mitico, che fu la prima lettura dell'esistere nel mondo, venga completamente scardinato dai talismani della modernità, proprio perché in essi riesce a vedere solo la straordinaria potenza magica, la grande illusione (e questa catastrofe totale si può facilmente riscontrare nel risultato dell'incontro della contemporaneità occidentale con tutte le popolazioni native fuori dall'Asia e dall'Europa), diverso è il discorso per quelle popolazioni che nella loro storia diedero una risposta diversamente strutturata per via religiosa o filosofica alle seduzioni e alle minacce della volontà di potenza. Soprattutto diversa è la resistenza che oggi pone ancora il mondo islamico, che resta pur sempre il più vicino al nostro, pur venendo avvertito, forse proprio per la sua vicinanza, come l'antagonista per eccellenza: esso fornisce pur sempre ancora una visione alternativa di potenza, che peraltro finirà per soccombere anch'essa alla necessità tecnica, finché non sarà proprio la necessità tecnica a disintegrare se stessa, perché solo così potrà raggiungere il grado massimo di liquefazione. |
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12-05-2013, 16.31.30 | #14 |
Ospite
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Sì, ma...
Devo riconoscere che in teoria sarei portato a concordare con quanto dite sull'Occidente, sulla pretesa di aver realizzato il migliore dei mondi possibili, sull'idiozia di voler esportare la democrazia nel mondo, ecc. ecc. D'altronde la mia forma mentis è scettica, per cui sono guidato (direi perfino salvato) dal dubitare sempre e comunque. Sì, ma...poi, quando si giunge all'essenziale, dopo aver sfrondato le magnifiche sorti e progressive, dopo aver storicizzato, relativizzato e condannato invasioni, distruzioni e impoverimenti, mi vierne da fare come in "Natale in casa Cupiello": - Ti piace o presepe? - Nun me piace!
Tradotto: anche dopo aver riconosciuto che ciò che vagamente - troppo vagamente - definiamo l'Occidente è la manifestazione di una volontà di dominio insopportabile per la libertà di pensiero e per l'umana pietà, se mi domando se io possa giustificare, ad esempio, la mancanza di diritti della donna nell'Islam, rispondo: no. So bene che il diritto è un'invenzione occidentale, così come l'individuo, tuttavia nel moto elementare di quell'etica fondamentale che mi è incastrata nella mente alla fin fine mi pare che le categorie morali occidentali siano le più opportune per l'essere umano, per tutti gli esseri umani. |
12-05-2013, 21.54.56 | #15 | |
Moderatore
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Riferimento: Sì, ma...
Citazione:
L'Occidente ha espresso principi eccezionali a cominciare dall'amore del prossimo cristiano (salvo poi andare a massacrare il prossimo mettendosi la croce sul petto per convertirlo alla religione che tanto lo ama), per arrivare ai diritti inalienabili dell'uomo frutto della razionalità laica illuministica (salvo poi proprio in epoca illuministica e post illuministica, dopo che la schiavitù ormai era stata abolita da secoli, riprendere a schiavizzare, interi popoli con il pretesto di civilizzarli) e via dicendo. A me pare una costante storica questa continua ipocrisia occidentale che passa attraverso la democrazia, il libero mercato, il progresso tecnico fino agli stessi diritti della donna e dei bambini, fino al parossismo contemporaneo in cui si arriva a ritenere più o meno consciamente che quanto prodotto dalla nostra cultura è non solo il migliore dei mondi possibili, ma l'unico mondo possibile, dunque gli altri mondi possono solo essere annientati e riconvertiti conservandone al massimo qualche reperto per la curiosità dei turisti e ci sembra totalmente assurdo che gli altri rispettino donne, uomini, bambini come sappiamo rispettarli noi, mentre l'assurdo è proprio in questo modo di pensare, perché nei fatti noi non rispettiamo proprio nulla, nemmeno quelle donne e quei bambini che proclamiamo di rispettare tanto, mentre vengono ridotti a meri strumenti di un profitto risultato di un consumo e di una produttività idolatrata. Certamente i presepi possono piacere o non piacere, ma è opportuno almeno tentare di capire il significato di quei presepi, anziché esigere che tutti facciano il presepe proprio come il nostro, perché non può essercene alcun altro migliore. |
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18-05-2013, 21.50.34 | #16 |
Ospite
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Riferimento: Sì, ma...
[Certamente i presepi possono piacere o non piacere, ma è opportuno almeno tentare di capire il significato di quei presepi, anziché esigere che tutti facciano il presepe proprio come il nostro, perché non può essercene alcun altro migliore.[/quote]
caro Maral, credo che tu stia girando intorno al problema, attribuendo alla civiltà occidentale difetti che son propri dell’umanità; la schiavitù non è stata inventata dagli occidentali, le guerre risalgono ad epoche arcaiche, le donne sono state reiette in ogni cultura. Che in questo momento storico sia l’Occidente a dettar legge, e a giustificarsi con qualche ipocrita principio di legalità, è solo l’esito provvisorio del divenire storico. Però le tue parole hanno stimolato in me una riflessione che potrei intitolare “il dilemma di indeterminatezza culturale”, perché m’è venuta in mente un’analogia con quel principio della fisica quantistica, il principio di Heisemberg, per cui non è possibile conoscere un oggetto in un sistema poiché l’atto del conoscere è un’interferenza nel sistema stesso. Dunque: siamo d’accordo che tutti i presepi, cioè i sistemi culturali, devono essere conosciuti, compresi e rispettati? Diciamo, in linea di massima, sì. Ma quando due diversi sistemi culturali si incontrano, che accade? Farò una specie di esperimento ideale (ma non troppo, dato che quella tribù a cui mi riferisco esiste davvero, nel Borneo, e ho visto lo straordinario video del primo incontro con gli esploratori; perfino, per noi occidentali, comico, perché dopo i primi momenti di fraternizzazione, quando ad uno di quegli uomini è stato mostrato uno specchio sono fuggiti terrorizzati; tuttavia non sono aggiornato su che ne è stato di loro, anche se so che si evitano contatti, proprio per non distruggere il loro sistema di vita). Poniamo che la tribù continui a vivere isolata nella foresta, senza contatti con la civiltà contemporanea; tuttavia poiché si conosce la sua esistenza gli antropologi la osservano da lontano. Ora accade che uno dei membri della tribù, magari un bambino, si ammali di una grave infezione che potrebbe essere curata con gli antibiotici. Che devono fare gli antropologi? a. Per non interferire con la cultura della tribù lasciano che il bambino muoia. b. Entrano in contatto con la tribù per curare il bambino, in questo modo rischiando un’interferenza distruttiva con la cultura della tribù. TU che faresti? Se scegli a. rinneghi quella fondamentale empatia che potrebbe salvare l’umanità Se scegli b. di fatto sei il portatore di una superiorità culturale che affermi col tuo agire, sia pure implicitamente |
19-05-2013, 11.15.30 | #17 | |
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Riferimento: Sì, ma...
Citazione:
Quanto al dilemma che mi proponi innanzitutto credo che dovremmo capire in che modo la malattia che potrebbe essere evitata con quell'antibiotico viene già risolta nell'ambito culturale specifico di quella tribù e semmai tentare, se possibile, di far rientrare l'antibiotico in quell'ambito culturale senza interferire con le sue modalità rappresentative, non viceversa. Se quell'antibiotico infatti pur salvando di sicuro il bambino distrugge la ragion d'essere di quella cultura e dunque di tutti quelli che in essa trovano il senso di esistere, il rimedio è peggiore del male in primo luogo per loro, ma pure per noi che finiamo con il cancellare quella differenza di vedere le cose che è essenziale affinché qualsiasi cosa possa essere vista, pure il senso di quell'antibiotico. Nell'ipotesi immaginifica e fantascientifica che ci fosse una cultura extraterrestre tecnicamente superiore alla nostra che ci osserva, mi piacerebbe che avesse raggiunto questo grado di comprensione empatica. Che non volesse salvarci a ogni costo dai nostri mali, ma che se ne stesse nascosta, cercando eventualmente il modo di far sì che le loro conoscenze tecniche pur risolvendo alcuni tipi di sofferenza, non distruggessero alla radice la ragion prima della nostra esistenza, il sentimento specifico nostro del mondo che rende sensato il nostro esistere, altrimenti, se questo viene a crollare, anche qualsiasi portentoso antibiotico perde di ogni senso (o forse conserva solo quello letterale: contro la vita). Non credi? |
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19-05-2013, 21.59.26 | #18 |
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Riferimento: La relativizzazione dei valori e la tracotanza del pensiero unico
Maral, stai barando!
Devi scegliere tra a. e b., non scegliere un compromesso tra le due... Scherzi a parte, come vedi è difficile decidere, come sempre quando ci troviamo di fronte a dilemmi morali, quando i nugoli di credenze che ci ronzano intorno alla testa si dileguano. Posso decidere della vita e della morte di una persona, che faccio? Lo lascio morire per confermare il principio di non interferenza culturale o interferisco? Mah! Comunque credo che, dal nostro punto di vista, dovremmo valutare in modo più "dialettico", perché la moderna civiltà europea - a mio parere - ha elaborato principi etici e politici che possono aspirare all'universalità, ovvero essere validi per tutti gli esseri umani (oviamente dovrei impegnarmi a dimostrare tale universalità, tuttavia lo farò solo se lo chiederai). Ad esempio il diritto alla vita. Perciò conseguentemente io ritengo necessario oppormi a quelle culture che non lo prevedono, pur essendo consapevole che compio un atto di imperialismo culturale. Un esempio storico (d'altronde qui siamo propriamente in un campo storico, più che filosofico): come ci racconta Frazer in "Il ramo d'oro" era usanza in alcuni regni indiani che il re si suicidasse in una pubblica cerimonia, tra l'altro in modo molto cruento, ma l'autorità britannica proibì questa usanza. Sostengo che fu ben fatto. Come è ben fatto impedire le infibulazioni, le lapidazioni, il cannibalismo, ecc. Tuttavia è evidente che questa universalità etica e politica (basti pensare alla Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino, ai 14 punti di Wilson e alla Carta Atlantica) è ovunque rinnegata, a seconda degli interessi in gioco. Ovvero: predichiamo bene e razzoliamo male. Allora la vera questione non è scagliarsi contro il totem di una civiltà aggressiva bensì richiamarne l'impegno, contro i governi e gli stati, attraverso l'azione intellettuale, culturale e politica (e voglio ricordare l'opera esemplare di Bertrand Russell, filosofo che si va ingiustamente dimenticando, che si fece anche arrestare perché impegnato in Inghilterra contro la guerra; ma ci sono tanti altri esempi). |
20-05-2013, 06.39.16 | #19 | |
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Riferimento: La relativizzazione dei valori e la tracotanza del pensiero unico
Citazione:
ma se le cose stanno così a cosa serve un etica teorica (ammesso che sia pure la migliore in assoluto) se poi di fatto non viene applicata? a me da' l'idea di un inganno molto subdolo e profondo. non solo,attraverso questa facciata ne viene fuori anche la sua stessa giustificazione |
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20-05-2013, 09.20.30 | #20 | |
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Riferimento: Sì, ma...
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Rispondo perchè hai messo il plurale e quindi mi sento "messo in causa". Ribadisco il concetto: la politica e le sovrastrutture culturali sono sottomesse alle volontà di potenza e agli isitinti sublimati della natura. In altre parole. è l'economia che è determinante e la storia lo insegna Non esiste una civiltà culturalmente forte se nno ha opulenza economica e potenza militare. Dalle antiche civiltà (l'antica Grecia con i suoi filosofi nasce dall'opulenza economica) fino agli USA. Sono d'accordo con Tiziano. La civiltà Occidentale ha costruito il diritto e tutto ciò che ne deriva disancorandolo dal sistema delle credenze delle fedi spirituali. E' altrettanto chiaro che la fede "rientra" nel pensiero ispirativo nel momento in cui si discute di stato laico stato teocratico. Nell'Occidente ha vinto il primo, perchè nonostante tutte le contraddizioni fra pensiero ed azione il principio di tolleranza ne è il collante (nessuno ha la verità assoluta per cui ognuno ha il diritto di esprimere il proprio pensiero e appartenenza) e il valore di libertà. E' altrettanto chiara la contraddizione fra pensiero(tolleranza e valori quali la libertà) e azione(volontà di dominio, potere economico/militare). E' una dialettica storica in cui per ora vince il dominio sul pensiero nonostante quest'ultimo abbia avuto dei principi ispirativi nobili sanciti ad esempio nella carta dei diritti umani di Ginevra. A mio parere il pensiero non si è tramutato in azione poichè il popolo non è ancora maturato su quei principi: è un problema di conoscenza e diffusione culturale che fin quando non diventa "coscienza civile"e diventa morale dei comportamenti ne vedremo contraddizioni (vincono le sublimazioni bieche di potere e avidità). E quì entra il gioco....la democrazia. Sono i popoli che dovrebbero emanciparsi e le loro parti ,cioè i singoli individui. Fin quando non capiremo che siamo cittadini del mondo e direi dell'universo e dobbiamo accettarci nelle diversità e imparare a convivere rispettandoci nelle dignità...non potrà che finire male. |
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