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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
09-11-2009, 17.35.07 | #2 | |
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
Messaggi: 2,725
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Riferimento: Fattori genetici e criminologia
Ciao Viandante, vorrei un può demitizzare tutta la faccenda.
Credo che la maggior conoscenza sia una cosa positiva e non escludo affatto (anzi!) che la genetica possa aiutarci in campo psicologico, quindi possa esser utile talvolta anche durante un processo. Tuttavia mi pare lecito poter criticare i singoli casi, in cui dai risultati genetici si passa ad altre questioni, anche filosofiche (etica, liberà dell'uomo, etc.). Innanzitutto la sentenza fa riferimento al documento "Genetics and human behaviour: the ethical context" (2002) della Nuffield Council on Bioethics. Tale documento è consultabile qui: http://www.nuffieldbioethics.org/fil...eneticsrep.pdf Nel documento si arriva a concludere che non esistono condizioni genetiche (di persone senza gravi problemi mentali) che rendano giustificato il completo annullamento della responsabilità penale. Tuttavia, si vuole tenere un approccio prudente, e si propone di tener conto delle condizioni genetiche per determinare l'entità della pena: in sostanza, tra le attenuanti ci possono essere le condizioni genetiche dell'individuo (sentencing). Come si può vedere, la questione non riguarda "l'uomo è libero o meno?"; questo questito, infatti, non è proprio contemplato, anzi. La mia idea mi pare identica a quella di Jonathan Glover, come il documento afferma: Citazione:
Non sembra plausibile, infatti, ritenere profondamente differenti, dal punto di vista etico, le influenze che subiamo dai nostri geni o dall'ambiente. Detto, questo, mi pare che la discussione ora debba spostare il suo focus da "i fattori genetici sono importanti nella determinazione della responsabilità penale?" a "quando importanti sono le attenuanti date dallo stato del soggetto nella determinazione della responsabilità penale?". Quest'ultima domanda è differente almeno in due modi importanti rispetto a quella precedenza. 1. La prima domanda è più filosoficamente rilevante rispetto all'ultima. 2. L'ultima domanda, però, è più importante nella vita ordinaria e non ha, al contrario della prima, un'unica e sola risposta, bensì ne ha molte a seconda dei vari casi, e tali risposte saranno fornite dagli scienziati (psicologi, genetisti, etc.), non dai filosofi. Spero di aver sgonfiato almeno un po' la questione. |
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20-11-2009, 16.58.35 | #4 | ||||
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
Messaggi: 2,725
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Riferimento: Fattori genetici e criminologia
Citazione:
Ehehe, in effetti è un bel mattone. Io comunque non l'ho letto tutto, ho letto solo le parti rilevanti per il nostro discorso. Citazione:
Dell'esperimento di Libet (e di quello simile fatto recentemente) si ne è parlato in più di un topic, e lì ho dato un mio parere più specifico. Se ti interessa... Citazione:
Citazione:
Naturalmente sono due domane in qualche modo legate, non indipendenti. Ma le ritengo differenti per tre motivi. 1. La (A), ma non la (B), chiede alla filosofia di rispondere ad una domanda di competenza della scienza. 2. La (B), invece, è una questione filosofica, in particolare etica, perché ci chiediamo quanto cambia la nostra responsabilità morale in funzione di condizioni oggettive date. 3. La (A) si interroga solo sul bagaglio genetico, mentre la (B) si interroga anche sul bagaglio culturale, mettendoli in qualche modo sullo stesso piano. |
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16-05-2010, 18.18.47 | #5 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 21-02-2008
Messaggi: 1,363
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Riferimento: Fattori genetici e criminologia
Citazione:
PULSIONI E LIBERTA’ Non conosco Benjamin Libet...quindi il mio discorso è generale...allo stato dell'arte! Credo che già da parecchio tempo, durante un dibattimento, la situazione psichica in cui si trova l’imputato nel corso del reato, sia tenuta in gran conto …a volte anche in eccesso…o anche in nessun conto, quando si tratti di poveracci privi di santi in paradiso. Escluderei invece che il rilievo di una situazione neurogenetica ipoteticamente criminale possa costituire di per sè un’aggravante tale da inasprire la pena…per quanto la recidività (evidenza forse di una tendenza intrinseca, ma anche di un vissuto ambientale) costituisca effettiva aggravante. Sul giudizio di una corte di giustizia non può pesare, poi, il fatto di essere nero, rom o normanno e neppure il fatto che i geni certifichino che l’imputato è discendente di un famoso mafioso e serial killer: ma mi pare lapalissiano…o la domanda adombrava una ipotesi del genere?. Non credo, in definitiva, si possa mai chiedere alla genetica molecolare un giudizio automatico circa la situazione psichica di un qualunque individuo in relazione ai suoi comportamenti più o meno leciti..ne tanto meno in relazione a comportamenti globali di classi di individui a seconda dei gruppi etnici di appartenenza o delle zone geografiche di provenienza. Comunque ciò dipende dal fatto che, dopo infiniti dibattiti e teorie opposte, svoltesi da 150 anni a questa parte, l’opinione che oggi sembra prevalere, nella biologia, nella giurisprudenza e nella filosofia in generale..,forse anche nella teologia, è che l’umano è geneticamente libero, che il suo comportamento non è codificato da istinti: l’uomo infatti non ha istinti, ma solo pulsioni…forse in qualche modo orientate... pulsioni che il nostro “Organo Dirigente” dovrebbe essere in grado di tenere sotto controllo. Se ostacoli patologici o ambientali indipendenti, impediscono tale controllo o lo decurtano gravemente allora la responsabilità dell'individuo vieme meno e quindi anche la pena deve essere adeguata o mutata. La genetica molecolare, d’altra parte, può, giustamente, dare oggi, e sempre più in futuro, un contributo tendenzialmente oggettivo nel dipanare situazioni che appaiono oggi ancora abbastanza soggettive. Il riferimento, in ogni caso è sempre al singolo individuo, da considerare caso per caso nella sua unicità, che viene alleggerito, in qualche modo, della pena, ove l’indagine genetica possa far emergere all’evidenza, o confermare, anomalie genetiche influenti circa la capacità dell’individuo di intendere e di volere al momento del reato ed in quale misura. Se poi la misura sia assoluta o parziale e quale ne sia la intensità resta sempre da valutare individuo per individuo: percio’ ci sono gli esperti...i periti: neurologi, psicologi, psichiatri, ecc…. In definitiva poi, non mi pare che, in sede penale, la cosa cambi tanto...per lo meno non a breve termine: occorre sempre valutare l'entità del danno o dell'inferenza genetico/ambientale a livello individuale. ...Piuttosto mi pare che uno scrining circa l'orientamento delle pulsioni genetico/ambientali (dificile distinguere) che faccia emergere eventuali aree o situazioni sociali a rischio, sia piu' questione di sociologia piuttosto che di giurisprudenza. |
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21-11-2012, 00.08.51 | #6 |
Ospite abituale
Data registrazione: 17-12-2011
Messaggi: 899
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Riferimento: Fattori genetici e criminologia
Potrebbe servire a chiarire lo stato dell’arte fra il rapporto scienze e diritto
Inizio scrivendo che gli articoli 88 e 89 del codice penale trattano del vizio totale e parziale di mente che compromettono la capacità di intendere e di volere. Nella sentenza del 2009 del caso Albertani il GIP di Como riconosce la presenza di alterazioni in una area del cervello che ha funzioni di regolare le reazioni aggressive e dal punto di vista genetico di fattori significativamente associabili ad un maggiore rischio di comportamento impulsivo, aggressivo e violento Sono stati eseguiti su richiesta della difesa degli accertamenti psichici tradizionali accompagnati da accertamenti di neuroimaging strumentali che hanno rilevato la morfologia del cervello e il patrimonio genetico dell’imputata.. E’ una sentenza storica in Italia e fra le prime al mondo sulla validità delle neuroscienze per l’accertamento dell’imputabilità.. Si era provveduto all’accertamento del correlato della sfera psichica attraverso indagini di imaging cerebrale e genetica molecolare..Nello specifico gli accertamenti genetici erano stati disposti per verificare la presenza o meno di alleli che secondo la letteratura scientifica internazionale, sono significativamente associabili ad un maggio rischio di comportamento impulsivo, aggressivo e violento. L’esito positivo di tre alleli sfavorevoli ha portato alla decisione di vizio parziale di mente. Allo stato attuale è possibile quasi per ogni disturbo psichico associare un’alterazione cerebrale che può essere di tipo strutturale o funzionale.. In particolare l’amigdala viene considerata una sentinella, un computer emotivo del cervello. Le tecniche di neuroimaging sarebbero in grado di individuare le componenti neurobiologiche del comportamento decisionale e comportamentale di tipo automatico e involontario, ma anche di riscontrare una base neuronale persino del giudizio morale. Quindi l’associazione psiche, neuroscienze e genetica molecolare entrano nelle scienze forensi, si tratterebbe di standardizzare le metodologie diagnostiche per le eventuali perizie. Quindi i vizi totali o parziali di mente non è che rendono innocente un imputato, semplicemente viene riconosciuto e attenuata la pena detentiva, ma chiaramente se esiste una “malattia” dovrà esserci una terapia se possibile, in quanto la persona non deve essere in condizione di nuocere socialmente con altri atti criminosi. La risposta invece alla prima domanda di Epicurus :”i fattori genetici sono importanti nella determinazione della responsabilità penale?” Dove si richiede una risposta filosofica. Non credo al riduzionismo , al determinismo scientifico, i fattori genetici possono condizionare , ma non determinare una univocità comportamentale, lasciando comunque spazio a una quota di scelta. Quindi la genetica può spiegare una attitudine, una propensione, una disposizione comportamentale , ma dove comunque intervengono processi morali, sorvrastrutture educative e culturali. Nella sentenza testè scritta non so se ad esempio la biologia molecolare avesse dato esito di alleli normali, rispetto a due posizioni invece contrarie (psichiche e neurobiologiche del cervello) sarebbe arrivata la stessa sentenza, o viceversa. Il rischio sarebbe di “bollare” dalla nascita facendo test biomolecolari sui neonati. Quindi si aprono problematiche nella sfera della morale e della libertà. Comunque direi che oltre al genotipo esiste il fenotipo, dico questo in quanto due gemelli omozigoti se allevati da famiglie diverse sviluppano comportamenti diversi e che i genetisti spiegano come influenza dell’ambiente non condiviso. Una propensione ad un comportamento non significa necessariamente un inevitabile comportamento. Porrei un altro paradosso : è più condizionabile una manipolazione genetica o una manipolazione educativa? Ritengo che nonostante una propensione genetica, un condizionamento educativo, rimane sempre uno spazio dove persino un serial kiler si pensa e prova rimorsi. Per lui la lotta è fra un impulso non rimuovibile e una sfera morale, che comunque esiste anche in lui. A me basta personalmente per farmi capire che esiste sempre e comunque seppur a volte solo un pertugio in cui c’è una possibilità di scelta, di volontà,di libertà. |
24-11-2012, 14.27.57 | #7 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 06-09-2003
Messaggi: 486
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Riferimento: Fattori genetici e criminologia
Citazione:
Mi associo totalmente alle tue osservazioni che condivido in pieno (salvo il fatto che il vizio totale di mente comporta, in realtà, la non imputabilità e non una semplice riduzione della pena). Credo che, però, l'argomento meriti una discussione più "generale", ossia relativa al concetto di responsabilità. Non è la genetica umana in sè che rimette in gioco drasticamente tale concetto su di un piano morale. Lo sono, invece, le tecniche di neuroimaging e le conoscenze neurochimiche e neurofisiologiche che, in un futuro non lontano, potrebbero essere in grado di associare habitus, ossia disposizioni ad agire, con aspetti strutturali dell'organizzazione neurale del soggetto indagato. Il rischio concreto insito in questi sviluppi della psichiatria è quello di relativizzare in senso riduzionistico ogni possibile comportamento, ogni intenzionalità in termini di ab-reazione ed interpretazione soggettiva del contesto situazionale. Senza una nosografia adeguata a queste conoscenze, coerente ed adeguata, si corre il rischio di azzerare il senso stesso della "volontà" nell'agire umano. Ogni comportamento potrebbe essere letto come la risultante di una certa struttura organizzata neurale nel suo interagire con i fattori situazionali per come quella struttura li interpreta e "legge". La volontà soggettiva non sarebbe più altro che il nome attribuito ad un riflesso particolarmente complicato, in quanto esso si realizza in presenza di molti elementi occasionanti. Per questo fin da ora io penso che la psichiatria dovrebbe prepararsi ad una rivoluzione copernicana: non più indurre la patologia dai comportamenti, ma, al contrario, dedurre i comportamenti dalla patologia. Lo psichiatra forense, a fronte del quesito relativo all'imputabilità del soggetto che analizza, dovrebbe limitarsi a: 1) accertare la sussistenza o meno di una malattia mentale, in modo del tutto indipendente dai fatti per cui è stato chiamato a stendere la perizia; 2) stabilire se i comportamenti delittuosi messi in atto dal reo sono compatibili e coerenti con la sintomatologia specifica della malattia eventualmente accertata. L'efferatezza del crimine, l'atto impulsivo, il discontrollo degli impulsi stessi, non dovrebbero avere rilievo alcuno se non rientrano specificatamente nelle manifestazioni proprie di una malattia. I disturbi della personalità, ad esempio, oggi come oggi rappresentano un guazzabuglio nosografico in cui si ritrova tutto e nulla. Le classificazioni non sono che "raccolte" di comportamenti ricorrenti nell'esistenza di alcune persone, senza che a monte di essi possa riconoscersi una specificità patologica: la "diagnosi" stessa è posta in funzione dell'accertamento di un certo numero (minimo) di comportamenti osservati, rispetto ad un cluster più ampio. E' mai possibile che un'azione, criminale o non, possa essere giudicata semplicemente in funzione del fatto che quel soggetto la reitera comunemente e, per questa ragione, egli può ricevere una diagnosi psichiatrica? I medici pre-illuministi del'700, preso atto delle proprietà dell'oppio, ritennero di spiegarle nel seguente modo: l'oppio possedeva una virtus dormitiva. E' una "spiegazione" questa? Ci dice "perchè" l'oppio procura il sonno? Evidentemente no. Riguardo alla questione della Responsabilità, credo sarebbe opportuno aprire una discussione specifica. |
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30-11-2012, 08.23.10 | #8 | |
stella danzante
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Riferimento: Fattori genetici e criminologia
Citazione:
Grazie Paul per i tuoi chiarimenti. A me viene in mente che se una persona che ha già delle predisposizioni genetiche alla violenza cresce in un ambiente poco sano che accentua queste sue predisposizioni ha una possibilità di scelta veramente piccola, se non inesistente. A questa persona non potrei mai aggiungere una pena in più a quelle che già per sua sfortuna ha. Resta il problema però di come salvaguardare la società da una persona che potrebbe nuocere ma non è punibile. |
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30-11-2012, 19.36.54 | #9 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Fattori genetici e criminologia
Citazione:
In poche parole hai concentrato " un problemone" legato alla responsabilità che giustamente pone in causa Leibnicht. Non so se un domani l'eugenetica potrà farlo, potenzialemnte sì, ma con quali responsabilità? Costruiremo o meglio manipoleremo il dna umano come già si fa nei vegetali ? E quì si aprono discussioni a non finire . Trovare un'ambiente familiare colluso,che sa di avere in casa un"bambino difficile" che non educa e sopratutto non riempie di affetto durante la fase di maturazione del proprio carattere e personalità ,dà un' altra grande resposabilità educativa ed affettiva alle famiglie. Infine la responsabilità sociale , lo interniamo e lo " impilloliamo a vita", non più in manicomi criminali ma eufemisticamente in un neologismo dove cambia la forma "per lavare la coscienza sociale" ma in sostanza come nel film "qualcuno volò sul nido del cuculo" , lo lasciamo "vivere" fin che la morte pietosa lo piglierà, senza relazioni sociali, senza affetti? Un morto dentro nell'anima come può vivere fuori socialmente? Soprattuto se ormai "è bollato" dalla società. Una società che con la "bava alla bocca" predica giustizia e ha dimenticato il perdono e i massa media negli ultimi anni ad assecondare, dimentica che i peggiori criminali sono stati da bambini vittime di grandi traumi: la pedofilia insegna. Una regola della terra è che se semini vento raccoglierai tempesta. La vittima del carneficie rischia d diventare a sua volta potenziale futuro carnefice e così via....Vanno bene le terapie , ma la cura è l'amore di chi gli sta vicino, per rompere la catena del dolore. Dal punto di vista pratico solo le perizie psichiatriche potranno stabilire un percorso di isolamento o di relazioni sociali. Sono gli stessi che hanno avuto in cura potenziali serial killer e manco se ne accorgevano, in Italia ricordo "un mostro di non so quale posto" che era in terapia mentre compiva i crimini, ma sono a bizzeffe le casistiche a livello mondiale. L'umanità arriverà a capire prima l'universo che è fuori di lui rispetto all' l'universo che è dentro di lui: se mai ci riuscirà |
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