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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
27-10-2009, 11.39.34 | #3 |
stella danzante
Data registrazione: 05-08-2004
Messaggi: 1,751
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Riferimento: Chi sono i veri nemici della scienza?
Se libertà deve essere sia per tutti però, quella del solo mercato vive sulla schiavitù del lavoratore e non mi pare sia per questo che si debba dare la vita e purtroppo si paga con la vita davvero sul lavoro per questa libertà, deregolamentazione, assenza di controlli, flessibilità e dunque ricattabilità dei lavoratori,
Se per la libertà del mercato dobbiamo assistere ad aziende che delocalizzano lasciando per strada tanti lavoratori (dov‘è la libertà ora per questi? Quella di cercarsi un altro lavoro?), lasciando anche la politica impotente di operare restrizioni e controlli al livello locale, l’unica cosa che può fare è lavorare per i propri feudi, come Mastella, mentre attraverso l’uso dei media trova sempre qualche distrazione di massa, ma divago … La scienza comunque versa in condizioni pessime, accusata su tutti i fronti, da quelli bioetici, a quelli ecologisti, dal fronte religioso a quello filosofico, non si spiegherebbe altrimenti come mai si moltiplicano libri come quelli sopra, o quello di Gilberto Corbellini, Perché gli scienziati non sono pericolosi, per rassicurare, ma anche in molti testi che trattano temi tutti interni alla scienza (Lee Smolin ad esempio sulle superstringhe, dedica un capitolo a come combattere fenomeni sociali interni alla scienza,) si portano alla luce tanti aspetti, eppure secondo me l’unica responsabilità è da ricercarsi nelle scelte politiche economiche sbagliate i cui problemi si ripercuotono poi sui diversi aspetti del sociale. |
03-11-2009, 11.34.12 | #4 | |
Lance Kilkenny
Data registrazione: 28-11-2007
Messaggi: 362
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Riferimento: Chi sono i veri nemici della scienza?
Citazione:
Trovo su google books questo di Israel che nello stralcio che ti quoto pare, pure lui, del tutto d'accordo con te.... <<L'evoluzione recente del rapporto tra scienza pura ed applicata Giorgio Israel Quando preparavo la mia tesi di laurea, in un ramo molto astratto della matematica, utilizzavo un libro "O. Zariski, Commutative Algebra" la cui pubblicazione, come era stampato nel frontespizio, era stata finanziata dall'Office of Ordnance Research dell'Esercito degli Stati Uniti e dall'Office of Scientific Research delle Forze Aeree statunitensi. La lettura di questa nota mi aveva assai sorpreso perché era difficile credere che gli "ideali completi negli anni regolari di dimensione 2" potessero avere un'applicazione non dico militare ma neppure pratica. Eppure un fatto come quello rifletteva una visione della scienza straordinariamente efficace ed oggi straordinariamente obsoleta. Secondo questa visione la scienza era un gigantesco circuito integrato, di cui nessuna parte può essere vitale senza che lo siano tutte, e che è efficiente soltanto se è lasciato assolutamente libero di svilupparsi secondo i suoi criteri interni. Tale circuito era inteso come l'intero sistema "scienza pura - scienza applicata", ovvero come il complesso integrato "scienza - tecnologia". Ma occorre fare attenzione. Una siffatta libertà non ha nulla a che fare con quella predicata dal liberismo economico, ovvero con quella libertà che viene di solito espressa con la metafora della "mano invisibile", tanto per intenderci. Difatti, il sistema scienza-tecnologia presenta un paradosso del tutto peculiare: le sue parti non sono egualmente "robuste" dal punto di vista sociale. La scienza pura può godere di un elevato prestigio sociale - oggi sempre più in declino - ma non gode delle stesse interessate attenzioni delle applicazioni tecnologiche. Quindi per garantire la libertà del sistema occorre proteggerne le parti più deboli. La scienza pura o fondamentale è per l'appunto una di queste. Naturalmente, una tale visione ha senso soltanto se si ammette il principio che garantire la piena libertà di sviluppo della ricerca scientifica sia un dovere sociale, e che la scienza rientra fra i settori considerati di interesse pubblico, come l'assistenza sociale e sanitaria. Se, al contrario, si elimina ogni forma di regolazione protettiva, il sistema inevitabilmente si squilibra. Occorre insistere sul fatto che qui si sta parlando di una regolazione che consiste nel proteggere la scienza da ogni tentativo di "condizionamento", per quanto ciò possa apparire paradossale. Una siffatta regolazione è agli antipodi dalle regolazioni ideologiche tipiche dei sistemi totalitari. Nei regimi fascisti europei si interveniva a determinare rigidamente il rapporto fra settore puro e applicato (per lo più a favore del secondo). Nel sistema del comunismo sovietico si interveniva persino per determinare i settori della scienza pura da privilegiare e quelli da non sviluppare: difatti, la teoria della relatività e la meccanica quantistica venivano considerate come "scienze borghesi" da combattere. È da notare che l'eliminazione di ogni forma di protezione che corrisponde a un processo crescente di privatizzazione della ricerca scientifica e tecnologica o all'introduzione di criteri privatistici e manageriali nel settore pubblico - conduce a risultati non molto diversi. In particolare, può condurre alla decadenza della scienza pura rispetto a quella applicata. Non è proprio questo è il fenomeno cui stiamo assistendo oggi? Se la ricerca viene privatizzata essa esce progressivamente dal campo dei settori di interesse pubblico e socialmente protetti. All'idea di "socialmente utile" si sostituisce quella di "economicamente utile" e di "redditività immediata". Oggi interi settori della ricerca fondamentale deperiscono perché non sono considerati immediatamente utili. Interi gruppi di scienziati e ricercatori si trasferiscono dalla ricerca pura (sempre meno dotata di fondi, quantomeno in termini relativi) verso le grasse praterie della ricerca applicata. Tipico è il caso della matematica, dove numerosi matematici di punta abbandonano le ricerche cosiddette "pure" a favore di quelle informatiche e numeriche. Nel campo biologico, i settori teorici sono praticati da una ristretta minoranza e, di fatto, oggi la biologia si identifica con la genetica, la biologia molecolare e le biotecnologie. Negli anni Settanta del secolo scorso il celebre biologo François Jacob scriveva: "Non si studia più la vita nei nostri laboratori", indicando così che a un ideale di conoscenza si era sostituita una prassi puramente manipolativa. Quello che appariva allora come un preoccupato avvertimento rappresenta oggi una banale constatazione. Si manifesta, al di là delle apparenze, un fastidio per la scienza pura che ricorda le parole di John Hammond, il creatore di Jurassic Park, nel celebre romanzo di Michael Crichton: "Gli scienziati vogliono fare ricerca. Questo è tutto quel che vogliono fare, ricerca. Non vogliono realizzare nulla di concreto. Non vogliono fare progresso. Soltanto fare ricerca". Eppure, dovrebbe essere evidente che l'idea di redditività immediata e di efficacia evidente non è soltanto poco intelligente. Essa è distruttiva. I più grandi sviluppi tecnologici del secolo scorso sarebbero stati impossibili senza il motore della scienza pura. Prendiamo il caso dei calcolatori. Il continuo perfezionamento delle macchine di calcolo attraverso metodi di "bricolage" non avrebbe mai condotto all'era digitale. Essa fu invece aperta dalla rivoluzione copernicana di John von Neumann che propose di mettere da parte, almeno in una prima fase, lo studio delle componenti tecniche della macchina, partendo invece da un modello astratto (il modello matematico di McCulloch e Pitts) rappresentativo di una serie di aspetti del funzionamento del cervello umano. Il rapporto EDVAC di von Neumann è il punto di partenza della rivoluzione dei moderni calcolatori proprio perché propose questo punto di vista, che si rivelò poi come il più efficace proprio dal punto di vista tecnologico.Ma è da chiedersi se abbiamo conosciuto in seguito rivoluzioni concettuali paragonabili o non siamo invece entrati nell'era del "bricolage", potenzialmente sterile.>> |
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